Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale

Disegno di legge modificato dal Senato

Aula della Camera - 11 febbraio 2002

Si riprende la discussione del disegno di legge n. 3387 ed abbinate (ore 20,15).

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione del disegno di legge n. 3387 ed abbinate.
Avverto che dal Senato è pervenuta la seguente correzione del testo, già comunicata alla Commissione cultura nella seduta del 4 febbraio 2003: «All'articolo 7, al comma 4, primo periodo, le parole: «delle risorse finanziarie e dei comuni» devono intendersi: «delle risorse finanziarie dei comuni». Vi era una «e» manifestamente ultronea.
Avverto altresì che è stata presentata la questione sospensiva Bressa n. 1, che sarà esaminata nella seduta di domani (vedi l'allegato A - A.C. 3387 sezione 3).
Ricordo che questo pomeriggio sono state respinte le questioni pregiudiziali di costituzionalità e di merito.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 3387)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore per la maggioranza, onorevole Angela Napoli, ha facoltà di svolgere la relazione.

ANGELA NAPOLI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, onorevole ministro, signor sottosegretario, colleghi, la forte permeabilità dei mercati, la riduzione degli spazi geografici e l'alto livello di interazione fra le singole comunità rappresentano i risultati di maggiore rilievo che hanno qualificato l'ultimo decennio del XX secolo. Di fronte, quindi, ad un mondo sempre più piccolo, dove le leggi della finanza e le crisi dei relativi mercati superano i confini, avvicinando gli Stati e le comunità più di quanto nessuna progettualità politica sia riuscita a fare, diventa importante individuare quali siano, oggi, gli spazi che il sistema formativo italiano deve affrontare in una realtà geopolitica e geoeconomica rivolta a realizzare un mercato globale.
Il riconoscimento del ruolo strategico che l'istruzione e la formazione assumono per il consolidamento di un comune spazio economico, sociale e culturale a livello comunitario è, ormai da molti anni, patrimonio delle classi dirigenti europee.
Il frutto più immediato e tangibile dell'affermarsi di tale consapevolezza è, sul piano politico-istituzionale, l'introduzione, all'atto di revisione del Trattato istitutivo della Comunità europea operata con il Trattato di Maastricht, di norme volte a ricondurre a pieno titolo l'istruzione tra le competenze politiche comunitarie.
Sulla carta, però, non esiste un modello scolastico «disegnato» dall'Unione europea al quale ogni paese membro dovrebbe adeguarsi. Peraltro, gli articoli 149 e 150 del Trattato istitutivo della Comunità europea attribuiscono all'Unione una competenza generale per la deliberazione degli indirizzi ed azioni incentivanti in materia di istruzione e formazione professionale, escludendo esplicitamente «qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri». In particolare, l'articolo 149 prevede il contributo della Comunità allo sviluppo di un'istruzione di qualità, sostenendo ed integrando l'azione degli Stati membri sul contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema di istruzione, nel rispetto della loro diversità culturale e linguistica. L'articolo 150 prevede, invece, l'attuazione di una politica di formazione professionale che rafforzi ed integri le azioni degli Stati membri, nel pieno rispetto della responsabilità di questi ultimi quanto al contenuto e all'organizzazione della formazione professionale.
Il Consiglio europeo di Lisbona, del 23 e 24 marzo 2000, ha fissato per l'Unione un obiettivo strategico fondamentale: divenire l'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, introducendo un nuovo metodo di coordinamento aperto, associato al potenziamento del ruolo di guida e di coordinamento del Consiglio europeo.
A seguito dell'incontro di Lisbona, il Consiglio, nel febbraio del 2002, ha adottato un programma di lavoro per i sistemi di istruzione e di formazione, individuando tre obiettivi strategici: migliorare la qualità e l'efficacia dei sistemi di istruzione e di formazione dell'Unione europea; agevolare l'accesso delle categorie di persone più vulnerabili ai sistemi di istruzione e di formazione; aprire i sistemi di istruzione e di formazione al resto del mondo.
Il Consiglio europeo di Barcellona, del 15 e 16 marzo 2002, ha invitato ad intraprendere una serie di azioni, tra le quali: introdurre strumenti volti a garantire la trasparenza dei diplomi e delle qualifiche ed una più stretta cooperazione in materia di diplomi universitari (un'azione analoga dovrebbe essere promossa nel settore della formazione professionale); migliorare la padronanza delle competenze di base, segnatamente mediante l'insegnamento di almeno due lingue straniere sin dall'infanzia; sviluppo dell'alfabetizzazione digitale; generalizzazione di un brevetto informatico e Internet per gli allievi delle scuole secondarie; promuovere, entro il 2004, la dimensione europea dell'insegnamento e la sua integrazione nelle competenze di base degli allievi.
Il Consiglio ha poi approvato, il 12 novembre 2002, un progetto di risoluzione sulla promozione di una maggiore cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale, nel quale si individua, tra le priorità, il rafforzamento della dimensione europea dell'istruzione e della formazione professionale.
Infine, la Commissione europea, nel 20 novembre 2002, ha adottato una comunicazione sui criteri di riferimento per l'istruzione e la formazione, in cui invita il Consiglio dell'Unione europea a fissare alcuni criteri di riferimento da conseguire entro il 2010, tra i quali quello di ridurre almeno della metà, rispetto al 2000, il tasso dei giovani che lasciano prematuramente la scuola, per raggiungere un tasso medio nell'Unione europea del 10 per cento.
Se l'evoluzione del quadro comunitario deve costituire un dato orientativo di indiscutibile significato, non meno importante è l'analisi comparativa del settore educativo nei maggiori paesi europei. La disponibilità di indicatori internazionali sull'istruzione forniti da fonti ufficiali, tra cui l'OCSE, consentono di trarre alcune considerazioni sul livello di efficienza e di efficacia del sistema formativo italiano. Per maggiore chiarezza, occorre subito dire che l'analisi comparativa tra più paesi richiede particolare accortezza, a causa delle differenze esistenti tra i singoli sistemi formativi nazionali; tuttavia, il punto di questa analisi sta proprio nel verificare le caratteristiche comuni dei vari paesi, non soltanto nei cicli formativi, ma anche nella loro durata.
Pertanto, da un'analisi territoriale disaggregata, è possibile verificare che: dappertutto è previsto un momento di scuola dell'infanzia, i cui tempi variano, anche se il termine ad quem è per lo più costituito dal sesto anno di età; elemento comune ai sistemi scolastici europei è ormai quello di distinguere due cicli; l'inizio del primo dei due cicli varia (in molti casi esso coincide con il sesto anno di età, ma ci sono paesi come l'Irlanda del Nord dove l'obbligo scolastico è anticipato a 4 anni ed altri paesi, come l'Olanda, l'Inghilterra, il Galles e la Scozia, dove l'obbligo è anticipato a 5 anni); di conseguenza, diversificato è pure l'inizio del secondo ciclo, anche se, per lo più, esso si pone all'undicesimo o al dodicesimo anno di età; in genere, l'obbligo scolastico si conclude a 15 o a 16 anni, fatto salvo il caso del sistema belga e di quello tedesco che, pur ponendo la conclusione dell'obbligo a 18 anni, dispongono che esso possa essere soddisfatto anche attraverso alcune forme di integrazione con il mondo del lavoro; nei Paesi europei la scuola secondaria si conclude a 18 o a 19 anni.
La disponibilità di indicatori internazionali sull'istruzione, forniti da fonti ufficiali, tra cui l'OCSE, consentono di trarre alcune considerazioni sul livello di efficienza e di efficacia del sistema formativo italiano, nel quale risaltano in particolare punti deboli e deficienze strutturali di lunga data, che condizionano la qualità dei processi formativi ed i risultati finali in termini di apprendimenti.
Passando all'analisi di qualche dato comparativo, ad esempio, si rileva che su un insieme di trentadue paesi, gli studenti italiani si trovano al ventesimo posto per competenze linguistiche, al ventiquattresimo posto per le scienze e al ventiseiesimo per la matematica, mentre sussistono grossi problemi persino per il perfetto uso della lingua italiana. Anche istituzioni internazionali di sicuro prestigio evidenziano da anni la necessità di interventi di riforma, volti ad adeguare i sistemi educativi alle esigenze che si legano alla rapidità ed alle peculiari forme evolutive dei processi di modernizzazione economica.
Per quanto attiene alla questione del ruolo della formazione professionale, oggetto di annose e spesso inconcludenti dispute ideologiche, non si può non prendere atto che l'intero settore versa oggi in una situazione di estrema difficoltà. Si registra, infatti, una percentuale altissima di respinti nelle prime classi, mentre la rilevanza quantitativa dei corsi regionali è assai limitata. Il risultato finale è che un'alta percentuale di giovani non arriva a conseguire un titolo o una qualifica che gli
consentano di entrare, in tempi ragionevoli, nel mondo del lavoro. Ben diversa, su questo piano, è, come è noto, la situazione della grande maggioranza degli altri paesi europei, dove il canale della formazione professionale svolge una reale ed efficace funzione di preparazione al lavoro, senza per questo trascurare gli aspetti formativi di carattere generale.
In Europa esistono quattro tipi di «alternanza formativa», ma mi interessa evidenziare che a livello statale in Germania vige un sistema duale che offre ampie possibilità agli studenti di fare pratica presso le aziende. Si tratta di un modello che ha registrato ampi consensi, in quanto rivelatosi efficace nel contemperare le esigenze, solo apparentemente opposte, di rafforzare la cultura generale e di fornire una preparazione tecnica immediatamente spendibile sul mercato del lavoro.
In Inghilterra gli studenti possono conseguire un diploma sia nelle discipline di carattere generale che in quelle di ambito professionale, o in una combinazione di materie che afferiscono ad entrambi gli indirizzi. Da ultimo, anche in un paese come la Francia, le forze politiche, comprese quelle della sinistra socialista, hanno preso coscienza della necessità di sviluppare sistemi di alternanza, nonché di assicurare che nessun percorso di studio sia concluso senza la possibilità di accedere ad un titolo professionalizzante. In Europa, conclusivamente, la formazione professionale è riconosciuta come parte legittima e non marginale dell'offerta formativa complessiva con pari dignità rispetto all'istruzione.
Nell'attuale contesto storico, il sistema educativo e formativo italiano non è in grado di garantire il raggiungimento delle necessarie abilità per l'inserimento nel mondo del lavoro. Da ciò la necessità di una riforma che punti sulla nozione di competenza, delineata come il patrimonio di conoscenze, abilità e comportamenti dell'individuo nel contesto di lavoro. Nella sua definizione più autorevole, il concetto trova collocazione nei tre assi fondamentali individuati dall'Unesco: sapere, saper essere, saper fare. Il sapere è il processo attraverso il quale la persona sviluppa la vera forma del suo essere come uomo. Tale processo si compie proprio mediante la trasmissione da docente a discente di informazioni orientate verso i valori. Un docente ed un sistema scolastico, infatti, mentre cercano di adattarsi al nuovo, devono affermare e salvaguardare il significato della verità e dei valori perenni, valori solidi e duraturi, che possano dare significato e scopo alla vita e costruire un terreno solido, un punto elevato su cui attestarsi, una direzione di marcia che dia senso e finalità alla vita.
Nella vexata quaestio tra sapere umanistico e tecnico, tra mondo classico o del pensiero e mondo moderno o della scienza, ritengo ci sia una complementarietà tra le due posizioni del pensiero e dell'operare, anche perché ogni campo specifico è indispensabile come elemento naturale del sapere. Alla cultura razionale e classica dei valori e del pensiero spetta, infatti, la scelta dei fini; all'altra, quella tecnica, la scelta e l'uso dei mezzi per raggiungere quei fini.
La dimensione del «saper essere» si declina nella capacità di interpretare il contesto nel quale si andrà ad agire e poiché l'azione è anche relazione fra soggetti, l'interpretazione del contesto implica necessariamente interpretazione di sé (il saper porsi, il saper riconoscersi) e interpretazione degli altri (saper capire, saper riconoscere i ruoli, saper leggere i comportamenti).
Questa dimensione, complementare a quella del «saper fare», rinvia soprattutto ai processi di apprendimento culturale di ciascun individuo. Ma sta proprio nella padronanza di questi saperi generici la possibilità di arricchire e di illuminare con ulteriori contenuti le singole abilità.
La struttura profonda del «saper essere», dunque, dopo il momento centrale dell'attività interpretativa, si ramifica in una serie di ulteriori attività che cercano connessione con la dimensione del «fare», cioè delle capacità e delle abilità individuali finalizzate ad una determinata azione. Questa multivalenza del «saper fare» ha dirette implicazioni sulle procedure
di accreditamento delle competenze in uscita, o in transito, dai diversi percorsi scolastici.
A conclusione di questo ragionamento è perciò essenziale che, uscendo da una prospettiva meramente funzionale dell'economia, la costruzione di una competenza realmente fondata sul « sapere, saper essere e saper fare» dipenda da un intreccio molto forte e, purtroppo, non scontato, tra scuola e società.
Il rapporto Censis del 2000 sottolinea, purtroppo, il rischio di una società italiana rinchiusa in se stessa, alla ricerca di un'emozione individuale, o della propria personalissima visione del mondo dimenticando spesso condivisioni valoriali vissute in dimensioni collettive allargate.
Che la dimensione sulla quale impostare la nostra analisi sia ormai quella europea e globale, credo sia cosa pacifica e stabilita, ma occorre fare molta attenzione perché accettare la sfida europea non significa cancellare i tratti indelebili della propria identità, della propria storia, della propria cultura e delle proprie tradizioni.
Accanto al contesto europeo, non va dimenticato che la ridefinizione del ruolo dello Stato e delle autonomie locali, stabilita dalla modifica del titolo V della Costituzione italiana, rende indispensabile ed urgente la riforma del nostro sistema di istruzione e di formazione.
Il disegno di legge n. 3387, trasmesso dal Senato ed assunto dalla Commissione istruzione della Camera dei deputati come testo base, definisce una disciplina generale in materia di istruzione; il provvedimento è composto da sette articoli e fa ricorso, in alcuni casi, allo strumento della delega legislativa.
Il disegno di legge in questione parte da alcuni essenziali presupposti: il rispetto della Costituzione, che sancisce il diritto allo studio per tutti; il rispetto delle specifiche competenze legislative sulla materia, ripartite tra Stato, regioni, province e comuni; il rispetto del diritto dei giovani a formarsi attraverso il sistema educativo di istruzione e di formazione professionale, dando pari dignità ai due percorsi che, attraverso diverse modalità, giungono allo stesso obiettivo: quello di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana.
Il rispetto di questi basamenti strutturali, insieme alle modalità previste per l'attuazione del riordino, garantiscono un'integrazione nel panorama scolastico europeo, ma altresì la costruzione di un sistema utile ad assicurare un'elevata qualità culturale e professionale.
L'articolo 1, comma 1, delega il Governo ad emanare - entro ventiquattro mesi - uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. I decreti dovranno essere adottati nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni, dei comuni e delle province e dell'autonomia delle istituzioni scolastiche.
Il comma 2 dell'articolo 1 stabilisce la procedura per l'adozione dei citati decreti legislativi affidandone l'iniziativa al ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, e per i soli decreti in materia di istruzione e formazione professionale è richiesta anche l'intesa con la Conferenza unificata.
Il comma 3 dell'articolo 1 prevede un piano programmatico di interventi finanziari per la realizzazione delle finalità della legge, che il ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca predispone, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, da sottoporre all'approvazione del Consiglio dei ministri, previa intesa con la Conferenza unificata. Il piano, in particolare, è volto al sostegno: della riforma degli ordinamenti e degli interventi connessi con la loro attuazione e con lo sviluppo dell'autonomia; dell'istituzione del servizio nazionale di valutazione del sistema scolastico; dello sviluppo delle tecnologie multimediali e della alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche; dello sviluppo dell'attività motoria e delle competenze ludico-sportive degli studenti;
della valorizzazione professionale del personale docente; delle iniziative di formazione iniziale e continua del personale; del rimborso delle spese di autoaggiornamento sostenute dai docenti; della valorizzazione professionale del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario; degli interventi di orientamento contro la dispersione scolastica e per assicurare la realizzazione del diritto-dovere...

PRESIDENTE. Onorevole Angela Napoli, i venti minuti a sua disposizione sono terminati.

ANGELA NAPOLI, Relatore per la maggioranza. Le chiedo, signor Presidente, altri cinque minuti di tempo. Per la parte della relazione che non riuscirò a svolgere, chiedo alla Presidenza l'autorizzazione alla sua pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

PRESIDENTE. La Presidenza lo autorizza sulla base dei consueti criteri.
Onorevole Napoli, cinque minuti è un incremento del 25 per cento, non è poco.

ANGELA NAPOLI, Relatore per la maggioranza. La ringrazio, signor Presidente, le chiedo scusa.
Vorrei solo puntualizzare due aspetti: il primo si riferisce all'articolo 5 che prevede la nuova forma di reclutamento del personale docente. Vorrei evidenziare in merito che, nell'ambito della predisposizione dei decreti legislativi attuativi, sarebbe opportuno predisporre anche la rivisitazione dello stato giuridico del personale docente della scuola che è retrodatato in quanto è disciplinato dall'ex decreto del Presidente della Repubblica n. 417 del 1974 (si tratta, quindi, di un provvedimento decisamente superato).
Vorrei, altresì, rilevare (credo sia dovuto come relatrice) che sono stati espressi pareri favorevoli al provvedimento da parte delle Commissioni I, II, IV, IX, XI, XII e XIV. La Commissione bilancio si deve ancora esprimere, ma sento il dovere di relatrice di fare riferimento al parere espresso dalla V Commissione permanente del Senato. Faccio riferimento ad essa solo ed esclusivamente perché il provvedimento non ha subito in questa sede alcuna modifica rispetto a quelle del Senato. Richiamo l'espressione del parere favorevole della Commissione programmazione economica e bilancio del Senato, con riferimento all'impianto generale del provvedimento, come meccanismo di copertura a tutti i finanziamenti iscritti annualmente nella legge finanziaria. Questa previsione è considerata ragionevole da quella Commissione.
È stato considerato, inoltre, l'ambito di intervento della legge finanziaria, confinato alla modulazione degli aspetti innovativi della riforma, senza ovviamente inerire alla componente consolidata del sistema a livello sia di istituti che di relative conseguenze sui bilanci a legislazione vigente.
Vorrei operare un ultimo richiamo al parere espresso dal Comitato per la legislazione. Il suddetto Comitato ha espresso un parere vincolante le cui condizioni non sono state accolte dalla Commissione istruzione perché ritenute non vincolanti a norma dell'articolo 16-bis del regolamento poiché il provvedimento è stato discusso in sede redigente. Lo stesso Comitato fa, peraltro, richiamo al disegno di legge di revisione costituzionale il cui esame è in corso presso la I Commissione, mentre il provvedimento in discussione fa riferimento al dettato costituzionale vigente, unico attualmente da considerare valido.
Il disegno di legge n. 3387 disciplina esclusivamente materie che rientrano nella potestà legislativa esclusiva statale, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, nel testo modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001.
Onorevole Presidente, onorevoli ministro, onorevoli colleghi, al termine della mia ampia relazione, ritengo di dover ribadire che il provvedimento in esame punta a costruire una scuola per la persona, una scuola moderna ed europea, una scuola nazionale e locale, una scuola per il lavoro, una scuola capace di formare intelligenze, nella consapevolezza che esse rappresentano un capitale per l'intera collettività.
Non mi stanco mai di dire che vi è sempre in gioco il futuro del nostro paese e che molto di questo futuro dipende dalla scuola.
Per tale motivo, sento il dovere di richiamare i colleghi della maggioranza....

PRESIDENTE. Onorevole Napoli, ha superato anche i cinque minuti aggiuntivi.

ANGELA NAPOLI, Relatore per la maggioranza. ... ad un dibattito scevro da pregiudizi - signor Presidente, ho davvero chiuso - ma proficuo e costruttivo, in un'Italia in cui cresce l'esigenza di un grande progetto educativo che parta dalla realtà e dal concreto agire del presente. La ringrazio, signor Presidente, le chiedo scusa e le chiedo di autorizzare la pubblicazione del testo integrale della mia relazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna. (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale, di Forza Italia e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. La presidenza l'autorizza sulla base dei consueti criteri.
Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Titti De Simone.

TITTI DE SIMONE, Relatore di minoranza. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, dai primi passi, tutto il percorso relativo agli interventi nel settore scolastico compiuti da questo Governo ha visto agire i suoi rappresentanti e questo esecutivo in un totale sprezzo del ruolo del Parlamento, senza alcun coinvolgimento del mondo della scuola sul quale ricadrà il delicato compito di dare attuazione a questa riforma.
La scelta di uno strumento come quello della delega per intervenire e modificare le norme generali sull'istruzione si inserisce perfettamente in questo contesto. Sarebbe stato auspicabile inserire un intervento legislativo in materia di istruzione in un ampio ed aperto dibattito che coinvolgesse realmente i diretti protagonisti interessati, cioè il mondo della scuola.
Di fatto questa delega ha sottratto alla potestà parlamentare una materia di estrema importanza per un paese democratico, in quanto risulta essere estremamente ampia ed indeterminata nella definizione dei confini degli interventi che verranno successivamente previsti con i decreti attuativi.
È alla forma, ma la forma è essa stessa sostanza, che si rivolge la nostra prima forte e netta critica. È una delega estremamente ampia dal punto di vista della materia, ma anche dal punto di vista dell'intervallo di tempo previsto per la sua attuazione; in effetti, il Governo non soltanto prevede 24 mesi, due anni, per adottare i decreti legislativi relativi, ma prevede anche un ulteriore termine di 18 mesi in cui si riserva la possibilità di modificare i decreti legislativi eventualmente già emanati sulla base della stessa delega legislativa, andando, in questa previsione, anche oltre la fine dell'attuale legislatura. In realtà, con il ricorso alla delega, il Governo manifesta soltanto la volontà di agire nella totale discrezionalità, sottraendosi all'espressione di un voto di merito e lasciando al Parlamento soltanto il compito di esprimere un semplice parere di congruità, peraltro non vincolante, sui decreti legislativi.
Il disegno di legge delega si inserisce in un contesto di attacchi ai diritti, al sistema dell'istruzione, come al lavoro, come alla previdenza e, come si evince già dal titolo, rivendica per lo Stato soltanto lo spazio dei livelli minimi, cancellando in tal modo risorse ed energie già in movimento.
La genericità della terminologia non deve trarre in inganno: essa trova compiuta definizione alla luce dei numerosi provvedimenti e della elaborazione che ha portato a questa iniziativa di legge. Ciò a cui si tende non ha nulla a che vedere con l'individuazione dei nuclei fondanti delle conoscenze, questi sì essenziali. Tutto spinge per l'appunto in direzione di una forte riduzione dei contenuti, del tempo e della qualità dell'istruzione, che dev'essere garantita a tutte e a tutti, come dice la nostra Costituzione.
Ci sembra evidente quale sia il modello sociale di organizzazione del sistema scolastico sotteso dalla proposta da voi avanzata: nulla a che fare con l'idea del sapere come formazione critica, dell'educazione e dell'istruzione come un diritto di cittadinanza e oggi, con la legge sulla devoluzione, si potrebbe dire che non ha nulla a che fare anche con l'idea di unicità del sistema scolastico su tutto il territorio nazionale. Non è una scuola che si caratterizza come il luogo della relazione fra soggetti attraverso la quale si esplica e si sviluppa il processo formativo ed educativo del singolo; ma, al contrario, è una scuola ridotta al minimo, una scuola piegata alla cura dei particolarismi, della quale viene esaltato l'aspetto confessionale e di parte.
Il disegno di legge del Governo, - è ormai chiaro -, tende a sganciare l'amministrazione pubblica centrale da qualsiasi responsabilità che non sia meramente di indirizzo; tende a spingere il sistema verso la privatizzazione, a considerare la scuola come una merce che può essere acquistata dalle famiglie, sulla base delle disponibilità economiche, e a considerare l'istruzione, non come un diritto, ma come un bene di consumo. Una scuola che non è più un diritto della persona, ma diventa un servizio a domanda individuale che viene organizzato sul modello aziendale: gerarchizzazione e competizione tra gli insegnanti, mercificazione del sapere. Una scuola completamente subalterna al mondo del lavoro, come si può vedere espressamente dalla previsione della possibile alternanza scuola-lavoro già a 15 anni che, di fatto, abbassa il limite legale da 16 a 15 anni previsto per il lavoro minorile.
Nelle idee di istruzione e di sapere del Governo l'impresa diventa luogo formativo, il che la dice lunga sul concetto di sapere, di apprendimento, di cultura e di scuola che si vuole affermare. I soggetti sapranno fin dall'inizio quale posto sia stato riservato loro sulla base del censo, del luogo di nascita, dell'estrazione sociale e del livello culturale della famiglia di appartenenza. L'introduzione di una precoce canalizzazione tra formazione e istruzione, oggetto di una scelta da operare già a 12 anni - 12 e 5 mesi per chi opera l'anticipo -, significa indirizzare verso un'opzione di apprendimento debole le fasce più a rischio dell'utenza scolastica, cioè quegli studenti che appaiono meno motivati, meno sicuri, meno preparati. Nei fatti, opererà una sorta di selezione naturale, che funzionerà più a monte rispetto all'esito finale dell'insuccesso e dell'abbandono. Ci saranno studenti di serie A e di serie B, il cui curriculum sarà già contrattato in anticipo, determinando in tal modo un impoverimento dell'apparato culturale di base e della strumentazione critica, componenti essenziali della coscienza civile che la scuola dovrebbe considerare oggetto essenziale della trasmissione del sapere. La scissione sociale dei destini formativi è base di un disegno classista che voi state portando avanti, che favorisce pochi e mette nell'angolo i più, che favorisce le famiglie ricche e istruite.
L'obbligo scolastico come principio giuridico viene abolito e si trasforma in un diritto-dovere di cui si può fruire. Riteniamo estremamente grave e pericoloso che il Governo introduca nel sistema una modifica costituzionale con una legge ordinaria. L'obbligo scolastico previsto dal secondo comma dell'articolo 34 della Costituzione diventa diritto-dovere del cittadino: una formulazione debole che snatura il principio originario per farlo assurgere nel campo dei servizi alla persona.
Inoltre, l'abrogazione della legge n. 9 nel 1999 - che aveva innalzato l'obbligo scolastico a dieci anni, pur prevedendone una prima applicazione a 9 - riconduce l'obbligo scolastico agli 8 anni precedenti, riportando il paese indietro di anni. L'Italia è il primo paese occidentale che prevede una riduzione dell'obbligo scolastico.
Non è dato sapere quali siano le motivazioni sul piano pedagogico che abbiano fatto propendere per la soluzione dell'anticipo. Sembra solo di trovarsi di fronte ad un puro espediente tecnico, escogitato con l'unico scopo di rendere praticabile il traguardo dei 18 anni di età come soglia di uscita dal percorso scolastico. Da varie
parti questo obiettivo è stato giustificato con la necessità di adeguare il nostro paese alla maggior parte degli altri paesi industrializzati, nei quali la formazione secondaria - e, di conseguenza, quella universitaria - si conclude in età più precoce. Si dimentica che l'assetto dei sistemi scolastici nei vari paesi è frutto di processi molto lunghi, determinati da peculiari contesti culturali, economici, produttivi e sociali, senza contare che la durata formale del percorso scolastico degli studenti italiani spesso non ha riscontro nella durata reale, a fronte di gravi fenomeni di dispersione scolastica, cioè di evasione dell'obbligo, di abbandoni, di selezione. Bisognerebbe quindi, più che lanciarsi in spericolate acrobazie ingegneristiche, interrogarsi su come contrastare efficacemente questi fenomeni che - è bene ricordarlo - colpiscono sempre le classi sociali più deboli.
Nel quadro della proposta di sistema scolastico delineato dal progetto governativo, è evidente che l'anticipo non contempla alcuna considerazione dei tempi e dei bisogni dei bambini e delle bambine. Si vuole proporre una visione familistica, che finisce con l'assegnare alla scuola il compito di assecondare e proseguire l'azione educativa delle famiglie. Una visione miope, poco attenta alla realtà, che non coglie l'importanza, anche sul piano educativo, dell'affidamento da parte dei genitori delle bambine e dei bambini ad un luogo eminentemente pubblico, in cui la pluralità di modelli educativi familiari viene portata a sintesi in un progetto educativo fondato su valori condivisi.
Quello che si persegue, invece, è l'addestramento dei più piccoli, la preparazione della futura massa di lavoratori flessibili, la totale subordinazione del mondo della scuola alla produzione e all'economia, senza contare il fatto di fondamentale rilevanza che le iscrizioni anticipate comporteranno situazioni tali per cui, in una stessa classe, si potranno trovare bambini con differenze di età anche di 20 mesi, che sono davvero tanti a quell'età e che comprometterebbero la possibilità di svolgere un lavoro serio.
Riteniamo si inserisca nel contesto generale di attacco al mondo del lavoro, ai lavoratori ed alle lavoratrici, anche la parte relativa al reclutamento degli insegnanti, per i quali si esplicita ormai il progetto della chiamata diretta.
La questione del reclutamento degli insegnanti e della loro relativa formazione appare troppo complessa per essere affrontata e risolta con lo strumento della legge delega, che prevede, tra l'altro, una modificazione del sistema e che, per di più, rimanda a successivi decreti delegati la definizione articolata del sistema stesso.
Non condividiamo la presenza nel testo della legge di elementi che prefigurano un'indebita interferenza in materie riservate alla contrattazione tra le parti, come avviene, invece, nell'articolo 5. Sappiamo, infatti, che dietro l'apparente neutralità di termini quali «valorizzazione professionale» si celano ipotesi di stratificazione degli insegnanti, con interventi sullo stato giuridico e sulla retribuzione: questioni, per l'appunto, non disponibili per il legislatore.
La legge finanziaria per il 2003 e gli interventi legislativi di questo Governo hanno dimostrato tutta l'intenzione di proseguire nella politica di disinvestimento e di dequalificazione della scuola pubblica, inaugurata da questa maggioranza fin dal suo insediamento e perseguita con determinazione degna di miglior causa. Lo stesso si può dire per quanto sta accadendo sul terreno del rinnovo contrattuale del comparto scuola, dove si sconta l'assoluta inadeguatezza degli stanziamenti economici rispetto alle richieste di equiparazione dei livelli retributivi degli insegnanti italiani a quelli europei avanzate da tutte le organizzazioni sindacali del settore.
Riteniamo, quindi, sbagliato introdurre nella delega elementi di questo tipo e, allo stesso tempo, ribadiamo che il Governo avrebbe tutti gli strumenti per intervenire sul piano economico, anche se dubitiamo fortemente che il suo vero interesse sia quello di «valorizzare la professionalità» dei docenti.
Il personale docente e non docente della scuola attende da tempo ben altre
riforme: soprattutto, quella di un riconoscimento anche sul piano economico del loro ruolo sociale e culturale; riconoscimento che non può più essere procrastinato nel tempo e che preveda certezza delle norme e rispetto dei diritti acquisiti. Pensiamo, infatti, anche alla politica condotta rispetto ai precari storici della scuola. Non aiuta certo il continuo intervento teso a sconvolgere i criteri e le modalità di formazione e di reclutamento dei docenti, le quali determinano, invece, incertezza, insicurezza e preoccupazione.
Nel tempo, la scuola, come spazio educativo e formativo, si è modificata: dall'obiettivo minimalista di insegnare a leggere, a scrivere e a far di conto, è diventata territorio di pluralismo, luogo della conoscenza intesa come sviluppo delle capacità di accedere agli strumenti al fine di ampliare, di approfondire, di affinare le capacità, di costruire abilità e competenze, di accrescere i saperi.
La scuola italiana, con le sue energie, è riuscita a progredire sul piano qualitativo ed a rendere pratica quotidiana i valori ed i principi dettati dalla Carta costituzionale. Solo quando le riforme hanno valorizzato le spinte positive al cambiamento che venivano dalla società si sono avuti risultati positivi che hanno lasciato tracce persistenti. È accaduto negli anni sessanta con la riforma della scuola media unica, che ha accompagnato la crescita culturale e sociale del paese; nel 1974, con la legge degli organi collegiali, che ha avviato una straordinaria stagione di partecipazione democratica; pochi anni dopo, veniva stabilito il diritto dei disabili ad essere integrati nella scuola e non solo assistiti; nel 1990, infine, la riforma della scuola elementare. Tappe fondamentali, quelle appena elencate, di un processo di crescita che, con questo disegno di legge delega, come con tutti gli altri provvedimenti varati dal Governo, si vuole definitivamente arrestare per riportare la scuola italiana indietro di quarant'anni!
Noi pensiamo, invece, che questa scuola vada difesa ed ulteriormente migliorata, che essa debba diventare, ancora di più, la scuola dei saperi, la scuola che permetta a tutti ed a tutte di potere, anche autonomamente e singolarmente, continuare ad espandere, ad affinare e ad arricchire le proprie conoscenze, una scuola che si proponga l'innalzamento del livello generale di istruzione, il luogo in cui ci si riconosce uguali e differenti, plurali e singoli, liberi nella possibilità di toccare saperi diversi e di integrarli criticamente, per una società più ricca dal punto di vista culturale e più democratica.
In questo senso, riteniamo sia necessario che la scuola resti il luogo dell'incontro e della considerazione, su basi paritarie, con il riconoscimento delle diversità e delle differenze tra singoli e dei soggetti fra di loro. Se le differenze diventano motivo di discriminazioni e si affermano e si esplicano già dalla programmazione scolastica, come voi prevedete, è certo che non inviteremo i giovani e le giovani a considerarsi, essi stessi, soggetti portatori di diritti inalienabili.
La declinazione delle finalità che si intendono perseguire attraverso un intervento legislativo organico e complessivo sul sistema scolastico non può che partire, a nostro giudizio, dalla riaffermazione della funzione istituzionale che la Costituzione assegna alla scuola. Pensiamo che sia sbagliato ipotizzare un sistema che si preoccupa unicamente di offrire pari opportunità ai giovani e che non si ponga programmaticamente l'obiettivo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e culturale che impediscono, soprattutto a chi proviene dagli strati sociali più deprivati, di raggiungere i più alti livelli di istruzione.
Ci sembra importante sottolineare la necessità della valorizzazione delle persone e del rispetto delle differenze e delle identità di ciascuno. È un richiamo forte ai principi costituzionali, quello che noi lanciamo al Parlamento, di cui la scuola pubblica italiana degli ultimi quarant'anni è diventato luogo di pratica concreta e principale punto di garanzia.
Pensiamo che il presupposto indispensabile anche per l'inserimento nel mondo del lavoro sia il raggiungimento di adeguati, alti, livelli culturali; con le proposte
emendative presentate lo abbiamo voluto sottolineare. L'idea che noi sosteniamo è quella dell'estensione dell'obbligo scolastico fino al diciottesimo anno di età e della conclusione del ciclo secondario, come già oggi avviene, ordinariamente il diciannovesimo anno di età, ben sapendo, ovviamente, che perché questo obiettivo sia realizzabile si rendono necessari adeguati interventi di sostegno all'effettivo esercizio del diritto all'istruzione, anche sul piano economico e delle riforme sociali.
Vogliamo affermare il carattere unitario del ciclo secondario, contro l'ipotesi di separazione dei percorsi scolastici in due distinti e separati percorsi: quello dell'istruzione e quello della formazione. Per questo proponiamo di raggruppare sotto una denominazione unica tutti gli istituti, evitando, anche nelle formulazioni linguistiche, l'odiosa discriminazione tra tipologie di istituti ai quali corrispondono, inevitabilmente, destini sociali differenziati.
Prevediamo la definizione di un sistema nazionale di educazione e di istruzione per affermare una concezione del sistema scolastico nazionale diversa e contrapposta rispetto al vostro disegno di legge.

PRESIDENTE. Onorevole, la invito a concludere. Anche lei ha superato di un minuto il tempo a sua disposizione.

TITTI DE SIMONE, Relatore di minoranza. Mi avvio a concludere. Pensiamo che la scuola debba avere un carattere fortemente unitario. Gli aspetti principali della nostra proposta sono chiari; li presenteremo domani nel corso del dibattito parlamentare attraverso i nostri emendamenti. Il carattere nazionale del sistema scolastico; l'inserimento a pieno titolo del segmento educativo costituito dalla scuola dell'infanzia nel sistema nazionale (un punto per noi assolutamente irrinunciabile). L'eliminazione di ogni ambiguità nel rapporto tra istituzione e formazione. Pensiamo che non possa esserci vera preparazione al lavoro senza una adeguata formazione sia culturale sia tecnico-professionale. L'inserimento degli asili nido nel sistema di istruzione nazionale, l'introduzione della seconda lingua già dalle elementari, oltre quella madre, e l'introduzione della seconda lingua comunitaria nelle medie. Questo è il nostro progetto alternativo alla vostra brutta riforma, che scrive un modello di società attraverso un modello di scuola.
È evidente che il disegno di legge delega - e concludo - in materia di istruzione esprime chiaramente il progetto di questa maggioranza per quanto concerne il ruolo di uno dei settori più strategici per lo sviluppo sociale, economico e culturale e civile del nostro paese: la scuola, la scuola pubblica.
Di fronte a questa politica di impoverimento, Rifondazione comunista ribadisce il valore di una scuola finalizzata al massimo sviluppo della persona, all'affermazione del valore universale del concetto di diritto allo studio, affinché sia garantito a tutti e a tutte l'accesso al sapere nei suoi punti più alti e per tutto l'arco della vita. Su questo terreno noi crediamo che voi possiate essere battuti, nella società, nel mondo della scuola. E crediamo che potrete essere battuti attraverso un percorso di riforma democratica dal basso che vogliamo contribuire a costruire nel paese con la partecipazione diretta di studenti ed insegnanti. È una sfida che lanciamo a questo vostro brutto progetto di società, a questo vostro orrendo progetto di scuola. È un impegno che ci assumiamo per il paese (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista)!

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LETIZIA MORATTI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Butti. Ne ha facoltà.

ALESSIO BUTTI. Signor Presidente, voglio preliminarmente ringraziare a nome del gruppo di Alleanza nazionale il ministro Moratti e l'onorevole Aprea che hanno seguito con determinazione e con intensità i lavori che pure hanno occupato la Commissione cultura non per poco tempo.
Consentitemi di ringraziare soprattutto la relatrice, Angela Napoli, per l'equilibrio e la competenza che hanno caratterizzato il suo impegno, non facile, in questi mesi. È proprio grazie all'esaustiva relazione dell'onorevole Napoli che posso evitare di svolgere, in questo mio intervento, considerazioni di tipo tecnico-legislativo dedicandomi così all'espressione del pensiero del gruppo di Alleanza nazionale in ordine alla riforma in discussione e, in qualche caso, alla comparazione tra questa riforma e la mancata, fortunatamente mancata, riforma Berlinguer.
Mi piace richiamare, in apertura, un concetto, ministro Moratti, carissimo alla parte politica che rappresento, la destra politica, e ripreso, in modo efficace, da lei stessa, la scorsa estate: l'investimento nella scuola favorisce lo sviluppo economico di una nazione. Noi abbiamo aggiunto un «anche» economico e lo spiegherò. È provato, infatti, che un adeguato investimento nella scuola genera un grande beneficio alla competitività delle imprese, ne migliora la produzione sia in termini qualitativi sia quantitativi, migliora le prospettive dell'occupazione e riesce anche ad elevare i livelli di reddito, quindi, migliora la qualità della vita in generale, ma gli effetti positivi non sono solo sull'economia - ecco il significato di quell'«anche» - perché investendo nella scuola si riducono i disagi delle fasce più deboli della popolazione, cala la criminalità, aumenta l'interesse culturale con ciò che ne consegue, anche riguardo al senso civico di una nazione con la N maiuscola. Oggi, diremmo che investire sulla formazione e sull'istruzione, cioè investire, come ha brillantemente detto il ministro Moratti, sul valore del capitale umano - è una terminologia che ci piace moltissimo - genera un grande indotto.
Il problema scuola è al centro del dibattito non solo al Parlamento italiano ma, più in generale, a livello europeo e rappresenta un pressante interrogativo per diversi governi nazionali, siano essi di centrodestra o di centrosinistra ed è diffusa l'opinione secondo cui sia indispensabile preparare le giovani generazioni alle sfide della flessibilità del lavoro e alla sfida dell'evoluzione in corso in tutti i settori.
La riforma, quella che in campagna elettorale abbiamo promesso agli elettori, era stata inserita nel programma del centrodestra per rispondere all'esigenza di una riconsiderazione complessiva del sistema educativo ed era una sfida estremamente impegnativa ed è divenuta un'esigenza ancor più pressante in seguito all'entrata in vigore della legge costituzionale che ha ridefinito, attraverso la modifica del titolo V della Costituzione, l'assetto delle competenze dello Stato e delle regioni. Oggi, questa riforma ha finalmente la possibilità di vedere la luce dopo anni di attesa snervante. Questo aspetto della riforma, quello relativo alla devolution, ha catalizzato il dibattito che a volte, anche questo pomeriggio, ha toccato toni estremamente polemici; però è a tutti ormai chiaro che allo Stato spetterà il compito di costruire quella che è stata definita l'architettura di sistema, cioè stabilire i principi di qualità didattica, di equità sociale, di garanzia del diritto, per noi sacro e inalienabile, all'istruzione.
Quante sciocchezze abbiamo letto e sentito a proposito della devolution! Però, non tutte le sciocchezze vengono per nuocere e quindi abbiamo avuto la possibilità e l'occasione di spiegare agli italiani le competenze esclusive delle regioni, l'organizzazione scolastica, cioè gli organi della scuola e l'impianto dell'amministrazione scolastica periferica e non già, come abbiamo sentito più volte, soprattutto durante il dibattito in Commissione, le norme relative al reclutamento, alla formazione, alla valutazione e allo stato giuridico degli insegnanti. Abbiamo potuto riaffermare che la parte fondamentale dei programmi rimane comunque allo Stato e quindi non può esserci alcun attentato all'unità dello stesso e Alleanza nazionale non avrebbe mai condiviso - lo sanno il sottosegretario Aprea e il ministro Moratti
- una riforma globale ed organica se la stessa avesse messo in discussione l'unità nazionale. Oltretutto, la quota e la natura dei pochi programmi di competenza regionale è stabilita dal ministero, ovviamente d'intesa con le regioni, così come le norme generali sull'istruzione rimarranno di competenza esclusiva dello Stato; alludiamo, ovviamente ai cicli scolastici che stiamo per riformare, al valore dei titoli di studio ai diritti e doveri degli studenti e così via.
È stata fatta finalmente chiarezza. Se la scuola è l'autobiografia di una nazione, quella italiana delineata dalla riforma Moratti risponde alla nuova identità di un paese che vuole essere più europeo, sicuramente più europeo, conservando però i tratti indelebili di una matrice lontana che viene dalla sua storia incomparabile e dalla sua geografia.
Abbiamo avuto il timore, durante la discussione della vecchia ipotesi di riforma Berlinguer, che il ventilato annacquamento dei programmi e delle discipline umanistiche con una forte valenza identitaria fosse in nome di un malinteso spirito di adattamento alle esigenze di una società multietnica, tanto cara alla sinistra. Ebbene, quel timore era fondato: vi è stato il tentativo di declassicizzare, di deoccidentalizzare e di snazionalizzare - passatemi questi neologismi - i contenuti dei programmi scolastici. Voglio ricordare che Berlinguer e poi De Mauro prevedevano di attribuire alla civiltà della Grecia e di Roma uno spazio pari a quello della civiltà dell'America precolombiana o dell'Africa subsahariana, in omaggio sempre alla mentalità tipica di una certa sinistra secondo la quale i problemi di una società multietnica - perché nelle società multietniche ci sono chiaramente problemi - non si risolvono facendo assimilare ai figli degli immigrati i valori e la cultura della nazione ospite, ma facendo smarrire ai giovani italiani la consapevolezza e l'orgoglio della loro civiltà e delle loro radici (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia). Così come ci conforta il contenimento della deriva novecentesca prevista dall'ex ministro Berlinguer ed il recupero della classicità latina e del medioevo cristiano, strumenti fondanti di identità europea.
È stata sconfitta una riforma ideologica, quella che avrebbe voluto il ministro Berlinguer con la sinistra per trasformare la scuola italiana in un monopolio culturale, in una palestra ideologica al servizio della sinistra stessa, dei girotondi e delle occupazione.
Alleanza nazionale, indomita nella battaglia nella passata legislatura contro la riforma dell'ex ministro Berlinguer, ha caratterizzato con il proprio contributo i più importanti passaggi della riforma Moratti e ne apprezza alcuni tratti distintivi, come quello ferocemente avversato dalla sinistra veteromarxista relativo all'introduzione di una struttura sistemica di valutazione nazionale che interviene periodicamente sia lungo i percorsi di istruzione e di formazione sia al momento degli esami di Stato; una valutazione seria, cui non deve sfuggire nemmeno il personale docente che, per la sua valorizzazione professionale, è, in questa riforma, stimolato ad un aggiornamento continuo.
Noi siamo assolutamente favorevoli, la destra politica è assolutamente favorevole, alle politiche del personale basate sulla meritocrazia, perché il sistema educativo italiano ha bisogno della qualità degli insegnanti a tutti i livelli se è vero, come è vero, che nella scuola si forgia l'opinione pubblica, si fabbrica il consenso ed il dissenso e si scrive la biografia di una nazione. Credetemi, colleghi, non è assolutamente retorica, ma la scuola rappresenta lo specchio fedele dello stato di salute di una qualsiasi società.
Il concetto di merito va esteso anche agli studenti, perché tutti hanno ovviamente - è pleonastico dirlo, ma lo ricordiamo - il diritto di studiare, tutti hanno il diritto - è altrettanto pleonastico ricordarlo - di essere seguiti; però, gli studenti migliori, onorevole Titti De Simone, gli studenti migliori devono essere messi in grado di velocizzare i propri studi e, se è il caso, di differenziarli. I talenti dei singoli non possono essere sacrificati. Una scuola dove tutti gli allievi siano uguali
significa una scuola dove bisogna per forza seguire i tempi di apprendimento dei più lenti, dei meno adatti allo studio, una scuola dove si assecondano i meno meritevoli, livellata verso il basso secondo un vecchio e fallimentare principio tanto caro al vecchio partito comunista ed ereditato ora da buona parte - non tutta, grazie al cielo - della sinistra.
È anche per questo che salutiamo con soddisfazione il grande ritorno delle scuole tecniche, che tanto hanno favorito il successo competitivo del sistema Italia negli ultimi decenni. Gli istituti tecnici forniscono il 20 per cento degli addetti richiesti dalle imprese italiane; occorre rafforzare il raccordo, rappresentato da questi istituti, tra le esigenze di istruzione dei giovani e la necessità delle imprese di poter contare anche su una cultura tecnica.
La riforma in discussione propone una logica interessante ed attenta anche alle esigenze del futuro: combinando la nuova figura del liceo tecnologico con i percorsi in alternanza è possibile aprire una nuova frontiera educativa che eviti le separazioni brusche tra i licei e la formazione professionale, capace di consentire agli studenti recuperi di scelte attuate in momenti in cui non si disponeva di tutte le informazioni necessarie per decidere della propria vita professionale, della propria vita studentesca e del proprio futuro. Su questo punto il contributo di Alleanza nazionale non è stato di poco conto. Anche l'attenzione riservata alla formazione professionale merita un plauso.
Vi è la chiara volontà di dare dignità ed importanza ad un settore dell'istruzione da sempre considerato alla stregua di un parente povero di percorsi formativi di più alto lignaggio. In questo senso, condividiamo la scelta di affidare alla competenza esclusiva delle regioni questi percorsi formativi, adattando correttamente la formazione di professionalità alla eterogenea situazione economica produttiva della nazione, così diversa di regione in regione e così diversa addirittura di distretto industriale in distretto industriale.
Bisognerà fare attenzione per scongiurare il rischio di un livellamento verso il basso, evitando l'equiparazione degli ormai diffusissimi centri di formazione professionale agli istituti professionali, maggiormente qualificati e qualificanti e in grado di fornire ai giovani una più completa formazione unita ad una discreta cultura generale. Qui mi richiamo al concetto relativo alla devolution che ho espresso poco fa. Diviene, infatti, fondamentale la definizione a livello nazionale di standard qualitativi comuni ai quali debbano necessariamente attenersi le regioni per rendere comparabili i diplomi ed i certificati, utilizzabili cioè nell'intera nazione, con la conseguente possibilità di trovare impiego in un mercato molto più ampio che non la singola regione.
Alla riforma del centrodestra sono state attribuite intenzioni che non ha. È stato detto che vogliamo favorire la scuola non statale rispetto a quella pubblica, ma abbiamo smascherato anche questa bugia. Anzi, a qualcuno potrebbe sembrare vero il contrario, se solo si verificassero gli effetti dell'introduzione nelle elementari statali della possibilità di iscrivere in prima i bambini che non hanno ancora compiuto i 6 anni di età. In questo modo, è minato un lucroso business delle parificate.
È stato detto che vogliamo abolire il doposcuola ed introdurre corsi integrativi a carico delle famiglie, ma così non è. Infatti, con la trasformazione in materie a pieno titolo di insegnamenti che prima la scuola dell'obbligo non forniva, le famiglie eviteranno di pagare i corsi di lingua e di informatica che oggi certamente sono molto di moda, ma anche indispensabili, viste le carenze dell'offerta formativa.
Venerdì scorso ho partecipato ad una scandalosa riunione sindacale presso l'amministrazione provinciale di Como: ancora si insiste nell'affermare che la riforma comporterà tagli tra gli insegnanti. Questo rischio si sarebbe verificato se fosse entrata a regime la riforma Berlinguer che, riducendo da 13 a 12 gli anni di frequenza scolastica, avrebbe fatalmente comportato drastici tagli agli organici.
Meschinità abbiamo ascoltato anche sul maestro prevalente. Alleanza nazionale ha
insistito molto su questo punto che - lo ribadiamo - non prevede il ritorno al maestro unico, che pure per molti di noi è stata una figura storica determinante; ma erano altri tempi!
Il maestro prevalente inserito nella riforma si accolla una responsabilità didattica che nell'odierna frammentazione di competenze è sempre più sfumata. Non vi è, quindi, l'anacronistico ritorno al passato del maestro unico, ma un'importante correzione della realtà esistente che, temperando l'eccessiva parcellizzazione degli insegnanti introdotta dalla riforma dei moduli, restituisce al docente la soddisfazione di svolgere un'autentica funzione formativa recando un'impronta alla classe.
Anche da questi concetti si deduce che in materia scolastica è sempre più difficile trovare punti di incontro e punti in comune con il centrosinistra o, comunque, tra Alleanza nazionale e la sinistra. È ovvio che questa impostazione non piace alle sinistre che perseguono la frammentazione delle competenze attraverso la quale imporre la solita gestione collegiale. Tuttavia, non si può per questo dire bugie e raccontare che l'introduzione della figura del maestro prevalente comporti tagli al personale. In questa riforma vi sono, pur con gli aggiornamenti del caso, le elementari che introducono nel migliore dei modi il bambino nella secondaria di primo grado, le storiche medie, che vengono riabilitate e nettamente distinte dalle elementari; così non era nella prima bozza Bertagna: ci teniamo a sottolinearlo e su questo punto Alleanza nazionale ha insistito notevolmente.
Vado a concludere. Sia per le elementari che per le medie primarie e secondarie del primo ciclo vi è un grande ritorno alla tradizione per le materie insegnate, musica per le orecchie di Alleanza nazionale: la poesia, la grammatica, la storia per la primaria, il latino per le medie; Alleanza nazionale non può che essere soddisfatta.
Aver scongiurato quello snaturamento della scuola elementare e lo smembramento della scuola media fra primaria e secondaria superiore, che costituivano uno degli obiettivi strategici della riforma dell'ex ministro Berlinguer, è stata una brillante operazione per cui il mondo della scuola sarà certamente grato al centrodestra.
Abbiamo tentato di avviare un sereno confronto con il centrosinistra sia sulla riforma sia sulla sperimentazione, perché la scuola non è un ingranaggio che è possibile modificare con mere operazioni meccaniche, gli studenti non sono bulloni o ruote dentate. La scuola non è un meccanismo, ma un organismo, una realtà vivente e, soprattutto, lo sono la scuola dell'infanzia, la vecchia scuola materna, le elementari e le medie, dove maturano quei giovani la cui natura va assolutamente rispettata.
L'eutanasia delle medie prevista dalla sinistra con l'accorpamento alle elementari avrebbe ulteriormente peggiorato i dati dell'inchiesta dell'UNICEF dalla quale si evince che il 19 per cento dei quindicenni non ha la capacità di lettura, mentre il 45 per cento è privo delle nozioni base della matematica o che un'elevata percentuale di giovanissimi ha difficoltà ad interpretare un testo scritto.
Oggi, gli studenti delle medie non studiano poco, come ha detto qualche saccentone dalle colonne del più importante giornale nazionale. Oggi, gli studenti studiano male: studiano molte materie, fanno molte ricerche, ma non lo fanno in modo approfondito, nulla di più. Hanno nei loro programmi molte - lo dico tra virgolette - educazioni: linguistica, motoria, tecnologica, psicomotoria, e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia, non conoscono quella forma superiore di educazione che è l'abitudine all'autodisciplina intellettuale ed anche materiale. Forse, sotto questo profilo, la revisione dei programmi per la scuola di base prevista dalla riforma Moratti e sollecitata da Alleanza nazionale con il ritorno all'analisi grammaticale, logica, alle poesie a memoria, ma anche con la reintroduzione di quel voto di condotta può costituire il segno di una doverosa inversione di tendenza.
Bisogna chiudere la stagione delle incertezze. Sulla riforma della scuola si è
accumulata un'eccessiva attesa. Gli studenti, le famiglie, i docenti italiani reclamano ora un solerte intervento riformatore. Questa è una riforma concreta, reale, come deve essere una riforma che guarda al futuro prossimo e, come tale, non può poggiare su piedi di argilla (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bianchi Clerici. Ne ha facoltà.

GIOVANNA BIANCHI CLERICI. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, il disegno di legge oggi in discussione, presentato dal Governo ed approvato dopo un lungo e proficuo dibattito nell'aula del Senato, è frutto della volontà della maggioranza di apportare urgenti e necessari correttivi al sistema scolastico e formativo del paese, al fine di renderlo maggiormente rispondente ai bisogni degli alunni e delle loro famiglie e maggiormente adeguato al contesto culturale, sociale ed economico dell'Europa.
Il testo di legge si basa sul presupposto del rispetto delle specifiche competenze legislative sulla materia, ripartite tra Stato e regioni, in ossequio a quanto previsto dal nuovo titolo V della Costituzione, ma contiene in nuce anche la previsione della riforma costituzionale sul trasferimento di poteri dallo Stato alle regioni, comunemente chiamato devoluzione, in particolare per quanto riguarda l'individuazione di una quota di programmi di interesse regionale. Viene confermato e garantito il ruolo dell'autonomia scolastica, peraltro già elevata a rango costituzionale, e viene ampliato l'elenco di principi a fondamento dell'istituzione scolastica, che è comunità aperta a tutti e luogo privilegiato nello sviluppo dei giovani.
La legge prevede il ricorso alla delega legislativa, in quanto strumento idoneo a regolamentare con efficacia i passaggi che la riforma impone. Da qualche parte si obietta che il Parlamento viene in tal modo espropriato delle proprie prerogative. Si dimentica, però, che il disegno di legge Moratti detta in modo assai puntuale i paletti entro i quali il Governo dovrà agire, i principi ai quali si dovrà attenere nella stesura della normativa, e soprattutto si dimentica il fatto che il testo in approvazione è stato oggetto di un approfondito dibattito all'interno delle componenti di maggioranza che hanno alla fine concordato sugli obiettivi, gli strumenti ed i percorsi delineati. A ciò si aggiunge il fatto che la delega è accompagnata dalla previsione di un piano pluriennale di risorse finanziarie, al vaglio del Consiglio dei ministri entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, allo scopo di attivare gli investimenti necessari per la riforma degli ordinamenti, le cui singole voci sono peraltro dettagliatamente elencate al comma 3 dell'articolo 1.
D'altro canto, il disegno di legge intende essere una legge di sistema, che riformi l'architettura dell'ordinamento scolastico in ogni suo aspetto, non ultimo quello della formazione e del reclutamento del personale docente.
Per questo motivo, i primi due articoli si soffermano sui principi generali. Agli obiettivi già presenti nella legislazione attualmente in vigore (favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana nel rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e delle identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia) si aggiunge ora, all'articolo 2, l'identificazione di altri principi e criteri direttivi dell'azione di riordino.
In particolare, il conseguimento di una formazione spirituale e morale ispirata ai principi della Costituzione e lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale e alla civiltà europea.
Per quanto riguarda l'assolvimento dell'obbligo scolastico, attualmente fissato in 9 anni, si è ritenuto di asserire il diritto-dovere di istruzione e formazione per almeno 12 anni, all'interno del sistema di istruzione o in quello di istruzione e formazione professionale. Questo punto costituisce uno dei cardini della riforma. Si tratta infatti di riformulare ed ampliare il concetto di obbligo in favore del diritto dello studente all'ottenimento di una qualifica entro i 18 anni di età e del dovere per l'istituzione a garantirla. L'opposizione sostiene che con questa formulazione si compromette la copertura costituzionale prevista dall'articolo 34, che è - lo ricordo - di almeno 8 anni. Va però rilevato che il ciclo primario, suddiviso in scuola primaria e in scuola secondaria di primo grado, ha la durata complessiva di otto anni e termina con un esame di Stato, con ciò soddisfacendo appieno il dettato costituzionale. Tanto meno si può ritenere anticostituzionale la previsione di assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione all'interno del sistema dei licei o del sistema dell'istruzione e formazione professionale, sulla base del presupposto che l'istruzione professionale è di esclusiva competenza regionale. Se così si ragiona, ci si indirizza infatti sulla via di una implicita svalorizzazione di uno dei due percorsi, con il risultato di creare una scuola di serie A (i licei) e una di serie B (le scuole di istruzione e formazione professionale), scelta questa assolutamente contraria alla volontà politica del Governo e della maggioranza.
La scuola dell'infanzia, di durata triennale, è concepita come un luogo concorrente dello sviluppo affettivo, relazionale e sociale del bambino, nel rispetto però della primaria responsabilità educativa della famiglia. Particolarmente importante è la previsione dell'iscrizione anticipata e facoltativa dei bambini che compiono 3 anni entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento. Questa misura è infatti a favore delle esigenze delle famiglie e consente nel contempo di liberare posti negli asili nido, che non hanno ancora una diffusione sufficiente e un costo accettabile per i ceti meno abbienti. Come è noto, Governo e maggioranza sono assolutamente impegnati nella soluzione di questo problema, che è una delle cause della nostra preoccupante denatalità. Sono già state varate agevolazioni fiscali e finanziamenti appositi e una nuova legge è in discussione presso la Commissione affari sociali. La scuola dell'infanzia, ampiamente generalizzata in tutte le comunità del paese, amplia in questo modo la gamma dei servizi a disposizione delle giovani famiglie.
L'iscrizione anticipata è prevista anche per gli alunni della scuola primaria che compiano 6 anni entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento. Questo è un punto che ha suscitato discussioni anche all'interno della maggioranza, poiché differenti sono le opinioni e le sensibilità, anche personali, all'interno dei gruppi. Non vi è dubbio che una parte dell'opinione pubblica giudichi utile l'anticipo, per un bambino che compie 6 anni nelle prime settimane dell'anno solare. Altri ritengono invece preferibile posticipare la frequenza scolastica al settembre successivo. Si tratta comunque di una questione assolutamente opinabile, che non si risolve in modo incontrovertibile. Per questo motivo maggioranza e Governo hanno ritenuto di lasciare questa scelta alla singola famiglia, che giudicherà sulla base della maturità fisica, psichica e relazionale del proprio figlio. D'altro canto anche oggi si verifica la situazione di bambini di prima elementare più o meno pronti e consapevoli a seconda anche del mese in cui sono nati.
Personalmente appartengo alla categoria di coloro che pensano sia meglio attendere il compimento dei 6 anni prima di cominciare la scuola, ma rispetto la scelta del genitore che considera una perdita di tempo la forzata attesa dell'anno scolastico successivo. Di conseguenza mi sembra corretta la nostra posizione di affidare una scelta così importante alla sensibilità della famiglia, cioè del soggetto in primo luogo responsabile dell'educazione del bambino.
A maggior garanzia della tutela di questa facoltà annuncio che la Lega nord presenterà un ordine del giorno per esplicitare ancora più chiaramente nei decreti legislativi che l'anticipo sia una possibilità e non un obbligo e che nessuna pressione in tal senso possa essere rivolta alla famiglia da parte della singola istituzione scolastica.
Nodo fondamentale della riforma degli ordinamenti è il secondo ciclo, che comprende
il sistema quinquennale dell'istruzione (i licei) e quello quadriennale dell'istruzione e formazione professionale. Quest'ultimo può essere seguito da un anno integrativo, che consenta l'iscrizione all'università, o dall'accesso all'istruzione e formazione tecnica superiore.
È garantita la possibilità di cambiare indirizzo e di passare da un sistema all'altro, secondo il metodo dei crediti certificati e mediante apposite ed assistite iniziative didattiche, ferma restando la possibilità di conseguire una prima qualifica dopo un periodo di tre anni.
Il sistema dell'istruzione e formazione professionale è, quindi, un percorso assolutamente parallelo a quello dei licei, di pari dignità - e, come tale, tutelato per legge - e di notevole flessibilità. Gli obiettivi sono molteplici: superare l'antica distinzione tra scuole d'élite e scuole di second'ordine; ampliare e diversificare l'offerta formativa; consentire allo studente di rimediare ad una scelta sbagliata; eliminare la rigidità dei percorsi formativi, diversificandoli quanto a tempi, metodologie e contenuti; valorizzare le inclinazioni e le capacità personali; contenere la dispersione scolastica.
Ci rendiamo conto che questo è il punto più delicato della riforma, quello che ne dichiarerà il successo o il fallimento. L'impostazione e la realizzazione del doppio canale sarà senza dubbio faticosa, a causa della grande flessibilità con la quale si deve connotare il sistema. Ma è anche la risposta più indicata alla domanda di migliore formazione che giunge sia dal mondo dei giovani sia da quello produttivo e sociale.
In questo senso ci sembra assai indovinata la disposizione riguardante l'alternanza scuola-lavoro, prevista all'articolo 4, come modalità di realizzazione del percorso formativo progettato, a partire dai 15 anni di età. Lungi dall'essere una forma di lavoro «mascherato», come insinua una parte dell'opposizione, la progettazione dei percorsi di alternanza impone un notevole sforzo di apertura della singola istituzione scolastica verso l'esterno, in particolare verso le imprese e gli enti pubblici e privati, anche del terzo settore, e consente allo studente un'esperienza concreta e un'occasione di verifica delle proprie inclinazioni e attitudini.
L'altra grande novità della riforma è la previsione della quota dei piani di studio riservata alle regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse, anche collegata con le realtà locali. Fortemente voluta dalla Lega nord, questa norma anticipa e rafforza in un certo senso i contenuti della legge di devoluzione, all'interno del processo di attuazione del federalismo, primario impegno della coalizione di Governo. Comprendiamo bene che tale previsione spaventi coloro che vorrebbero la conferma dello status quo. Siamo, invece, consapevoli di aver fatto la scelta giusta, soprattutto nell'avere affidato tale compito alla capacità legislativa delle singole regioni, istituzioni sottoposte al voto popolare e, quindi, controllabili dal cittadino. Rispettiamo l'autonomia costituzionale delle singole istituzioni scolastiche, ma ne temiamo anche l'eccesso di autoreferenzialità. La quota dei piani di studio di interesse regionale potrà quindi garantire l'accostamento alla cultura del territorio nel quale l'alunno vive, oltre che lo sviluppo di talune materie direttamente connesse con il tessuto economico e produttivo della regione stessa.
Da ultimo, ma non certo per importanza, le nuove modalità di accesso all'insegnamento, previste all'articolo 5. La formazione iniziale dei docenti si svolge nei corsi di laurea specialistica e mira a valorizzare sia i contenuti disciplinari sia le competenze pedagogiche e didattiche, con la previsione del tirocinio obbligatorio ai fini dell'abilitazione all'insegnamento, abilitazione che si ottiene al superamento dell'esame di laurea specialistica. Addio, quindi, al vecchio e discusso sistema dei concorsi, più o meno riservati, che tanti danni ed ingiustizie hanno procurato. E addio anche al decennale problema dei precari e del soprannumero di insegnanti rispetto alle necessità. Infatti, il disegno di legge in esame prevede che l'accesso ai corsi universitari sarà programmato sulla base dei posti effettivamente disponibili in ogni regione nei ruoli organici delle istituzioni scolastiche.
In tema di professione, preannuncio che la Lega nord presenterà un ordine del giorno per impegnare il Governo a studiare forme di incentivi costituzionalmente compatibili, al fine di incoraggiare il reclutamento di insegnanti maschi, in particolare nel ciclo secondario. Si tratta di una questione, purtroppo, assai seria. Negli ultimi decenni, la scuola si è fortemente femminilizzata, anche a causa della costante perdita di prestigio sociale ed economico che l'ha investita. Fare l'insegnante è di fatto diventata una professione femminile, perché consente di conciliare lavoro e famiglia, grazie all'orario di lavoro meno impegnativo rispetto ad altre professioni. Ciò si rivela, però, un handicap nei processi educativi e di maturazione degli adolescenti, soprattutto maschi, a cui vengono a mancare modelli di riferimento e di imitazione necessari nella loro crescita.
In conclusione, la Lega nord auspica che la riforma degli ordinamenti divenga legge al più presto, con ciò ottemperando all'impegno preso in campagna elettorale. Per questo motivo, con grande senso di responsabilità, le forze di maggioranza hanno ritenuto di non apportare modifiche al disegno di legge licenziato dal Senato, rinviando agli ordini del giorno la soluzione di alcuni aspetti minori che vanno aggiustati nei decreti legislativi. Crediamo che le linee fondamentali della riforma Moratti siano adeguate ed appropriate alle mutate esigenze degli alunni, degli insegnanti e della società in genere. Il disegno di legge ha il pregio di non compromettere il ciclo primario, che sostanzialmente funziona, mentre coinvolge in un processo di profondo riordino il ciclo secondario, attualmente anacronistico ed inadeguato, e il reclutamento degli insegnanti.
Per queste motivazioni, la Lega nord ne difende l'impianto e si adopererà per una sua veloce approvazione (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania e di Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sasso. Ne ha facoltà.

ALBA SASSO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, trovo davvero singolare che il ministro Moratti ponga ora, mentre inizia alla Camera la discussione su un testo blindato sulle norme per l'istruzione, il tema di un dibattito con l'opposizione sul futuro della nostra scuola. Trovo davvero singolare che il ministro Moratti invochi il confronto, come avviene - ella aggiunge - nei sistemi maturi, se qui, nel Parlamento italiano, maggioranza ed opposizione non avranno modo alcuno di confrontarsi.
Forse bisogna ricordare ai colleghi tutti che il disegno di legge che ci accingiamo a discutere, sapendo che nemmeno una virgola sarà cambiata, come è stato nelle quindici ore di discussione in Commissione, è una legge delega, che affida a successivi decreti legislativi del Governo ogni decisione su come sarà nei prossimi anni la scuola di tutti, sottraendo, quindi, la discussione al Parlamento. Si tratta di un testo di legge che, come già chiarito nella questione pregiudiziale di costituzionalità che abbiamo esaminato nella giornata di oggi, contravviene ad una precisa e non secondaria norma costituzionale: la Repubblica detta le norme generali per l'istruzione. Si tratta di un primo pesante limite di questa legge delega, con la quale il Governo avoca a sé una competenza che non appartiene al Governo, a nessun Governo. E trovo singolare che il ministro Moratti invochi ora il confronto, dopo aver avviato la sua azione di Governo all'insegna del «punto e a capo», dopo aver ostinatamente e pervicacemente voluto cancellare o abrogare ogni atto delle politiche del centrosinistra, a cominciare dalle legge di riforma della scuola del 10 febbraio 2000, n. 30, che era dotata di un dispositivo di verifica in itinere e sulla quale avrebbe potuto esserci un confronto e, sicuramente, anche un intervento di modifica.
Il ministro Moratti, nel bloccare quella legge, aveva dichiarato che la sua proposta sarebbe stata frutto di un'ampia discussione
e avrebbe avuto larga condivisione. Così non è stato. È una proposta nata da un confronto? No. La logica rimane sempre la stessa: quella del «punto e a capo». «Punto e a capo» rispetto agli atti del precedente del Governo ma, insieme, «punto e a capo» rispetto alla migliore tradizione di quei soggetti istituzionali che sono oggi le scuole.
Come è rappresentato, in questo disegno di legge, il patrimonio di cultura, di riflessione, di esperienze e di lavoro della nostra scuola, dei suoi operatori e dei suoi organi di rappresentanza? Che ascolto è stato garantito a questo mondo? In quali sedi? E valga un esempio per tutti: con l'anticipo della frequenza a due anni e mezzo di età di bambine e bambini si rischia di mettere in discussione quella qualità della scuola dell'infanzia italiana che ci viene invidiata nel mondo, costruita nel tempo dal lavoro generoso ed appassionato dei suoi operatori. E ciò fa la qualità della scuola dell'infanzia e la sua capacità di dare basi emotivo-affettive, sociali e cognitive per costruire potenzialità di apprendimento nei percorsi successivi e per garantire queste potenzialità a tutte e a tutti.
È in questi anni che è possibile colmare svantaggi di partenza sociali, culturali e linguistici, avviare una lotta vera, seria, fatta per tempo alla dispersione scolastica: dopo comincia ad essere tardi. C'è il problema di rispondere alla domanda dei genitori in quelle situazioni dove mancano asili nido o altre strutture, come diceva l'onorevole Bianchi Clerici? Bastava informarsi e voler conoscere le esperienze concrete della nostra scuola - e ce ne sono: le sezioni primavera, le sezioni ponte - che rispondono proprio a quelle esigenze. Non ci sono i soldi? Ma non ci saranno nemmeno soldi e risorse, visto che sono stati tagliati i fondi agli enti locali per garantire che con questo anticipo, confuso e pasticciato - lasciatemelo dire -, la scuola dell'infanzia non ridiventi asilo, parcheggio per bambine e bambini, non in grado di accudire i più piccoli e di promuovere l'armonica crescita per tutti, piccoli e grandi.
Questa proposta non nasce dal confronto, non si misura nel confronto. Non si misura con le esigenze del paese, con i bisogni sempre più ampi di sapere e di competenze delle giovani generazioni. Ignora l'enorme ricchezza del lavoro della scuola concreta e reale che ha operato ed opera per garantire diritti e qualità dell'apprendimento per tutti. In questo senso, è una proposta ideologica e di parte. D'altra parte, con ostinata indifferenza o insofferenza, sono state rispedite al mittente critiche di merito: dell'Unione delle province italiane, dell'Associazione nazionale dei comuni italiani, prima ancora, della Conferenza Stato-regioni, del Consiglio nazionale della pubblica istruzione, dei tanti soggetti associativi e sindacali ascoltati nelle audizioni al Senato e alla Camera. Nessun peso è stato data all'evidente bocciatura del progetto Moratti-Bertagna, sancita dal flop degli stati generali, dove è stato impedito persino agli studenti invitati di esprimere le proprie opinioni.
Trovo inaccettabile che si auspichi un confronto dopo un anno e mezzo, quasi due, di scelte fatte da questo Governo che, ancora prima degli effetti di questa legge, stanno cambiando la struttura concreta, le condizioni di funzionamento del sistema dell'istruzione: stanno intervenendo sulla spesa, sul governo del sistema, sulla partecipazione democratica.
Le politiche di questo Governo impoveriscono la scuola pubblica, le tolgono respiro, risorse e qualità. Meno insegnanti, non in questa legge, ma nelle leggi finanziarie. Meno personale ATA, meno finanziamenti per l'autonomia (riduzione di fondi per la legge n. 440 del 1997), meno possibilità di intercettare intelligenze e storie diverse, meno possibilità di percorsi di integrazione tra storia, culture e abilità diverse. Meno autonomia alle scuole, meno autonomia culturale del sistema. Meno democrazia nel governo del sistema, meno partecipazione, meno garanzie e libertà per chi ci lavora. Meno obbligo e meno scuola per tutti, meno diritto a un'istruzione di qualità per tutti. Per finire, questa
legge scardina il quadro di riferimento costituzionale entro cui, fino ad oggi, si è collocato il nostro sistema educativo.
Le politiche del centrodestra smentiscono i documenti europei - il vertice di Lisbona del 1999: investire sulla scuola per rendere i cittadini più forti, l'Europa più forte, garantire il diritto alla formazione per tutto l'arco della vita, per tutte e per tutti - e smentiscono anche l'articolo 3 della nostra Costituzione. L'investimento nel sapere, nell'innovazione, nella ricerca, la garanzia dell'eguaglianza dei diritti per tutti sono invece per noi una priorità, sono condizioni della democrazia. Le vostre politiche fanno di questo settore un'occasione di risparmio: risparmiano sul futuro delle giovani generazioni. Infatti, se è vero che oggi si sono moltiplicate le possibilità di accesso al sapere, è anche vero che la società dell'informazione non va naturalmente verso la società della conoscenza se non ci sono da parte dei governi politiche, strategie, investimenti, assunzione di responsabilità nei confronti di tutti. Era questa la direzione che indicava il libro bianco su «insegnare ed apprendere» dell'Unione europea del 1993, quando affermava che ogni società deve investire nel sapere, perché questo investimento svolge un ruolo essenziale per l'occupazione e la coesione sociale e per il futuro democratico di ogni paese.
Se l'altra indicazione europea è che occorre acquisire la capacità di imparare ad imparare nell'ottica di un'educazione permanente - scomparsa da questa legge -, credo sia necessario riuscire a progettare il sistema dell'istruzione prefigurando, per quanto sia possibile, scenari di vita o di lavoro per i prossimi anni.
Per tornare più volte a scuola nel corso della vita, per acquisire il sapere che permetta di vivere da cittadini responsabili in una democrazia complessa, per acquisire le competenze richieste dalla celerità del progresso scientifico e tecnologico - dall'innovazione del settore tecnologico - è necessario avere acquisito e metabolizzato solide competenze di base. Perciò, tutti i paesi, non solo quelli europei, aumentano gli anni di obbligo scolastico: voi li diminuite. Se negli Stati Uniti il programma di riaddestramento per adulti stenta a decollare - ci dice Jeremy Rifkin - è anche perché la differenza tra il livello d'istruzione richiesto dalle nuove professioni nel mondo dell'alta tecnologia e quello di chi ha bisogno di un posto di lavoro è così grande che nessun programma di addestramento può sperare di migliorare le prestazioni intellettuali dei lavoratori fino al punto da renderle compatibili con il livello di qualificazione richiesto dalle opportunità di impiego disponibili.
Il ministro Moratti ci parla del progetto Bush sull'istruzione, ma il progetto denominato «nessun bambino resti indietro» segna un'inversione di tendenza: nasce dalla verifica del fallimento di un sistema dell'istruzione basato sull'esistenza di poche scuole d'élite e di scuole pubbliche impoverite ed abbandonate a se stesse. Colgo l'occasione per ricordare che il partito conservatore statunitense ha cambiato il suo programma elettorale su pressione del paese e delle posizioni dell'opposizione. Il nuovo piano Bush attiene proprio alla possibilità ed alla capacità del sistema di intercettare intelligenze ed attitudini, di allargare la platea di coloro che a pieno titolo accedono all'istruzione, poiché un paese cresce se cresce la qualità umana e professionale della maggior parte dell'intera popolazione: la vostra legge va esattamente in direzione opposta.
Il ministro Moratti, in Commissione, ha rassicurato l'opposizione: egli intende combattere la dispersione scolastica, ma intanto riporta la scuola ed il paese indietro. La scuola dell'infanzia ridiventa asilo. Si propongono percorsi a due velocità già nella scuola di base; che altro è questo anticipo pasticciato, questa implacabile volontà di valutare il rendimento fin dei primi anni della scuola elementare, di condizionarne per questa strada i percorsi cosiddetti personalizzati?
Si ripropone la separazione tra scuola elementare e scuola media con scansioni interne che non trovano riscontro nella tradizione di ricerca e di innovazione della scuola elementare e della scuola media e
che mettono in discussione l'autonomia delle scuole. La separazione continuerà a rappresentare un fattore non marginale di dispersione, mentre si ignora o si sottovaluta il fatto che oltre il 43 per cento delle istituzioni scolastiche di base sono oggi organizzate negli istituti comprensivi (scuola materna, elementare e media) che lavorano in direzione opposta, nel senso della verticalità e della continuità. In questo modo si lasciano nella più totale incertezza oltre 150 mila insegnanti che in tali istituti operano.
Si ipotizza il ritorno al maestro prevalente, senza prendere atto, verificare, riconoscere il prezioso lavoro collegiale, l'esperienza efficace di maestre e maestri riconosciuta dalla popolazione e da quelli che voi chiamate gli utenti.
Si diminuiscono gli anni di obbligo scolastico, in controtendenza rispetto alle scelte di tutti gli altri paesi. Nel cancellare persino la parola «obbligo» cancellate un preciso dettato costituzionale: l'impegno della Repubblica ad istituire scuole statali di ogni ordine e grado. Si separano precocemente i percorsi in due canali gerarchicamente organizzati. Certo, sappiamo anche noi che la scuola italiana ha ancora il problema dei ragazzi che perde, della dissipazione culturale; ragazze e ragazzi non possiedono le competenze, soprattutto, di lettura e scrittura adeguate al titolo che hanno conseguito. Vi è ancora il problema del condizionamento dell'ambiente socio-familiare rispetto al successo negli studi. La ricerca PISA dell'OCSE ci dice con chiarezza che la canalizzazione precoce abbassa il livello di cultura e di professionalità ed aumenta la dispersione piuttosto che combatterla.
La lotta alla dispersione si porta avanti rafforzando la scuola dell'infanzia, la formazione di base, con cicli lunghi e percorsi unitari, senza cesure continue, arricchendo ed articolando l'offerta formativa della scuola, costruendo, dopo l'obbligo scolastico, percorsi diversificati di pari dignità. La lotta alla dispersione scolastica si fa nella scuola, non scaricando ad altri, alla formazione professionale per esempio, problemi che la scuola non ha saputo risolvere.
Non si va per questa strada verso il miglioramento della stessa formazione professionale. D'altra parte, differenziare precocemente i percorsi formativi non risolve il problema dei ragazzi in difficoltà, mentre mette in discussione la durata dell'obbligo di istruzione che, di fatto, torna ad essere di 8 anni, tant'è che il testo legislativo abroga la legge del 1999, ricollocando l'Italia in coda tra i paesi europei quanto a durata del percorso obbligatorio di istruzione.
Assecondare un precoce avviamento al lavoro significa avviare ad un futuro di precarietà ed incertezza. Anche la Germania sta tornando indietro rispetto al sistema duale che sembra non reggere sia rispetto al problema delle professioni non previste, sia rispetto ad una crisi occupazionale senza precedenti ed il secondo canale sembra praticamente un binario morto dal punto di vista dell'accesso ad altre opportunità di livello più elevato, non comprese nella filiera della formazione professionale.
La scuola che il provvedimento disegna si limita perciò a rilevare differenze e squilibri sociali, li rende principi regolativi della sua fisionomia e della sua funzione, riscopre, come ai tempi di Gentile, una funzione di contenimento della mobilità sociale, non promuove cultura, non garantisce diritti, non costruisce le condizioni della democrazia. La scuola che voi ipotizzate disegna due percorsi: quello dei saperi forti, formalizzati per la futura classe dirigente e quello di chi va subito ad imparare un mestiere, confermando il proprio destino sociale.
Per questa strada, rinunciate a definire un progetto pubblico condiviso d'istruzione, quasi fosse impossibile conciliare le libertà individuali con le finalità comuni di ogni società e affidate il compito di rispondere ai bisogni formativi dei cosiddetti clienti agli automatismi della competitività e del mercato. Noi pensiamo, invece, che un paese cresce, se cresce il
livello culturale di tutti i cittadini (era la scommessa degli anni sessanta alla base della scuola media unica).
Noi pensiamo che un paese cresce se cresce il sapere e la cultura, se vi è un sapere comune e condiviso, se sapere e cultura si confrontano con la storia, con la memoria del paese, con le sue radici, con la sua civiltà, ma insieme con i bisogni di sapere e conoscenza sempre più ampi e complessi rispetto all'ampliarsi continuo delle conoscenze, alla messa in discussione di distanze puramente geografiche tra paesi e popoli.
Oggi è necessario dare bussole, chiavi di accesso al sapere, strumenti ed interpretazioni. Invece, i principi ispiratori di questo provvedimento, quelli cui dovranno ispirarsi i futuri decreti, ignorano questo dibattito e quanto è stato già realizzato dalla scuola su questo terreno e ripropongono una scuola povera culturalmente che ignora la sfida della complessità e della multiculturalità. Certo, vi è necessità di una sempre maggiore integrazione di campi di ricerca, di discipline, di linguaggi, di concetti e di metodologie (per quanto riguarda l'analisi grammaticale, lasciamo agli insegnanti, e mi rivolgo all'onorevole Butti, la libertà di scegliere se usare o meno questo strumento) e, nello stesso tempo, la necessità del rapporto strettissimo, in ogni percorso formativo, tra sapere e operatività.
Voi riproponete, con una distinzione tardogentiliana, da una parte, la scuola del conoscere e del teorizzare e, dall'altra, quella del fare, del produrre e del costruire e, come corollario (istruire quanto basta, educare più che si può - si diceva all'inizio del secolo - per connotare una scuola intesa come strumento di contenimento della mobilità sociale), si rispolverano educazione spirituale e morale, il sette in condotta, crocifissi in luoghi di culto separati nella scuola, atteggiamenti che nascondono, in realtà, la volontà di attaccare il pluralismo culturale della scuola pubblica, la legittimità di dar voce a diverse opinioni, a diversi punti di vista (insieme la libertà di insegnamento e di apprendimento) e si confondono scelte individuali con etica pubblica; si agita ipocritamente il tema della libertà di scelta delle famiglie (alle quali, peraltro, non viene garantita l'uguaglianza di diritti) e si propone la scorciatoia dell'imposizione tutta ideologica da Stato etico della morale di una parte, la promozione di una formazione morale e spirituale come finalità della scuola (articolo 2). Noi la pensiamo diversamente.
E pensiamo che la scuola italiana, pubblica laica e pluralista, debba formare alla cittadinanza nel rispetto dei valori costituzionali: dell'articolo 3, dell'articolo 32, dell'articolo 33 e dell'articolo 34 della Costituzione, che debba lavorare alla difficile costruzione, attraverso la cultura e il sapere, di un'etica pubblica condivisa che rispetti le scelte, le storie, la cultura di ognuno ed ognuna.
C'è infine fra i principi ispiratori dei futuri decreti legislativi attuativi il tema della valorizzazione dei docenti. Ma risponde a questa volontà la diminuzione drastica del numero degli insegnanti prevista nella legge finanziaria? Rispondono a questa volontà un contratto non ancora concluso, le pesanti intrusioni nella loro libertà di insegnamento, l'attacco all'autonomia culturale del sistema che affida ai governi regionali una quota dei programmi, i tentativi, per ora solo annunciati dall'onorevole Angela Napoli, di modifica dello stato giuridico per legge, le minori immissioni in ruolo, il governo altalenante e contraddittorio delle graduatorie permanenti, da subito alterate con il primo decreto all'inizio dell'anno scolastico 2001-2002? Restano molti problemi irrisolti, anche nella proposta della formazione dei docenti; anche in questo caso nessuna considerazione o verifica sul lavoro fin qui svolto dalle scuole di specializzazione. Anche in questo caso restano irrisolte ed imprecisate molte questioni.
Di fronte alla necessità di integrare nella cultura professionale dei docenti i saperi disciplinari, le didattiche, la scienza dell'educazione, le attività laboratoriali di tirocinio, riaffiora l'idea di una preparazione prevalentemente disciplinare, sia
pure - lo si dice con una formula generica - in percorsi anche finalizzati all'insegnamento.
Resta tuttora in piedi il problema irrisolto del reclutamento, a meno che la voluta genericità non nasconda ipotesi successive, neanche tanto sussurrate, di reclutamento a chiamata diretta da parte della scuola, con buona pace dei diritti acquisiti, della responsabilità pubblica, della libertà di insegnamento. Valorizzare gli insegnanti, i dirigenti scolastici, tutti gli operatori della scuola è ben altra cosa: significa riconoscere la dignità del loro ruolo, della loro funzione e non decidere della loro sorte, del loro lavoro, con leggi finanziarie e con decisioni affrettate e burocratiche.
Il sapere, dice Amartya Sen, è un bene molto particolare: più se ne dà, più se ne riceve. La crescita della democrazia, lo sviluppo del sapere, la scienza in senso lato sono la continuazione di quella condivisione. Noi ci opporremo in Parlamento e nel paese a questo disegno restauratore regressivo, che intende consegnare la scuola pubblica così impoverita ad un destino di marginalità e di declino che sta in queste scelte che stanno destrutturando il sistema pubblico dell'istruzione. Infatti le famiglie più avvertite cominceranno a cercare e a pagarsi istruzione e formazione puntando sulla spesso illusoria qualità dei percorsi privati; certo il Governo li vorrà aiutare potenziando le politiche dei buoni scuola.
Le vostre scelte, la vostra politica e la vostra legge ripropongono tutti i limiti e le distorsioni dell'idea neoliberista secondo la quale la formazione delle classi dirigenti, voi anzi parlate di selezione, si realizza con l'accanita lotta di individui sul mercato delle posizioni eccellenti; queste inseguono il modello già fallito negli Stati Uniti d'America di un sistema a due velocità, con percorsi separati per il disagio e per l'eccellenza.
La vostra proposta è miope, è un boomerang per il futuro del paese. Noi abbiamo un'altra idea della società, dei diritti delle persone, della democrazia: pensiamo che l'istruzione non sia un bene a disposizione solo di che se lo può permettere. Pensiamo che sia necessario aumentare le risorse e la qualità del sistema pubblico perché la promozione sociale dei cittadini è l'obiettivo prioritario della Repubblica. È scritto in Costituzione, questa Costituzione che in questa legge vale solo come inciso.
Pensiamo che le spese per l'istruzione siano investimenti, non costi, persino in momenti di difficoltà economica, e non ci convincono i vostri ragionamenti, le vostre spiegazioni tecniche, che abbiamo sentito anche oggi. Per la vostra cosiddetta riforma non c'è uno stanziamento preciso, né volontà di investire.
Noi pensiamo che sia il possesso di conoscenze sia la capacità di saper accedere ad altre conoscenze siano oggi una forma di ricchezza e per questa ragione il sistema di istruzione deve garantire uguali possibilità per tutti, pena il rischio di nuovi e più drammatici processi di esclusione tra coloro che sanno e coloro che non sanno.
Se la formazione non diventa leva per ridurre le diseguaglianze, finisce col diventare il terreno di nuove e più profonde forme di esclusione sociale.
Pensiamo sia una grande risorsa per l'economia e la democrazia, donne o uomini, persone, non capitale umano, che sappiano attraversare nuovamente e continuamente percorsi dell'apprendimento perché ne hanno i requisiti di accesso, che sappiano vivere da cittadini e lavoratori consapevoli perché hanno consolidato gli strumenti per capire, interpretare, scegliere e progettare.
Pensiamo che non vi sia modernità, che non vi sia possibilità di crescita per il paese, se si rinuncia, come voi fate, a costruire un luogo plurale e pubblico di educazione delle nuove generazioni, se c'è meno cultura per tutti, se si dismette l'idea che l'istruzione rappresenti, oggi più che mai, una leva potente per lo sviluppo dell'economia, c'è una risorsa preziosa ed insostituibile per la democrazia.
È questo il senso di un'opposizione seria, rigorosa, serrata, ma al tempo stesso serena, perché sappiamo di interpretare le
ragioni dei diritti e della democrazia che porteremo avanti in quest'aula e nel paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garagnani. Ne ha facoltà.

FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, colleghi, confesso di essermi interrogato a lungo, in questi giorni, sull'importanza di questo disegno di legge e sulla necessità, entro limiti ben definiti, di coinvolgere in qualche modo l'opposizione su un progetto di legge che necessariamente fa riferimento ai bisogni dell'intero popolo italiano e non soltanto di una parte di esso. Credo che tutti noi ci siamo posti il problema se una legge come questa debba essere eventualmente cambiata nella legislatura successiva. Nella legislatura precedente, i Governi dell'Ulivo, senza particolare preoccupazione, hanno cambiato in modo significativo vasti settori e identità precise della scuola italiana come si era configurata nel corso degli anni, nonostante i ripetuti tentativi delle minoranze di essere in qualche modo coinvolte, di indurre ad una riflessione seria e pacata sull'opportunità di meditare una riforma così drastica.
La presenza in quest'aula di alcuni colleghi - fra cui il sottosegretario di Stato, onorevole Aprea, che allora svolgeva un ruolo significativo all'interno della Commissione - è emblematica ed è testimone della passione che in quel momento - così mi hanno riferito e così io l'ho vissuto, da consigliere regionale - caratterizzò il dibattito nella scuola.
Eppure, da parte dell'allora Governo non vi fu nessuna considerazione verso determinati aspetti della riforma che fatalmente dividevano in due la scuola italiana, lo schieramento della medesima e tranciavano di netto una cultura, una tradizione consolidata.
Come dicevo, mi sono posto questo problema, ma devo dire che gli interventi che mi hanno preceduto - e che rispetto - hanno risolto tutti i miei dubbi: le considerazioni, le riflessioni svolte in questa sede hanno disegnato non tanto una critica della riforma Moratti, quanto un aspetto volutamente paradossale della riforma medesima. Non si è dipinta la riforma per ciò che è e per come si contraddice, per ciò che è e non si condivide; si è dipinto, in astratto, un aspetto della riforma Moratti che serve per demonizzarla all'interno del paese, presentando un aspetto mistificatorio ad ogni livello della nostra società civile. Questa è la realtà! A questo conducono le considerazioni che abbiamo sentito, anche in questa sede, e che ci devono indurre a riflettere.
D'altra parte, si diceva oportet ut scandala eveniant: credo che mai, come in questo momento, sia bene che le diversità vengano alla luce, diversità che non sono ricercate, bensì sono state evidenziate già durante il dibattito in Commissione cultura. La relatrice, onorevole Angela Napoli - che ringrazio anch'io -, nella sua introduzione di allora e di oggi ha chiarito fino in fondo quali siano le matrici culturali alla base del progetto complessivo che viene discusso in questa sede e che la Casa delle libertà ha fatto proprio su input del ministro Moratti, che ringrazio anche per il notevole coraggio che l'ha caratterizzata nel delineare alcune novità significative, non sufficientemente valutate in questa legge, che noi apprezziamo fino in fondo - soprattutto come gruppo di Forza Italia - e intendiamo portare avanti, anche nelle fasi successive alla legge medesima.
Come dicevo, si è trattato di diversità non volute, ma che fanno riferimento ad un substrato, ad una cultura, ad un sentire che fatalmente ha visto in questi anni il centrodestra e il centrosinistra divisi, perché portatori di interessi, di valori antitetici molto spesso gli uni sconfitti dalla storia gli altri; invece, consapevoli di avere un ruolo ben preciso nel paese, di dover rispondere al lascito più significativo del popolo italiano.
Precedentemente, accennavo al coraggio del ministro Moratti e dell'intero Governo Berlusconi nel disegnare una riforma
della scuola che svolge una naturale funzione di compimento di quella che è stata la struttura scolastica italiana dagli inizi del novecento ad oggi. Supera, senza esserne radicalmente alternativa, la riforma Gentile che ha caratterizzato - non dobbiamo vergognarci - la scuola italiana per circa un settantennio, con aspetti pregevoli - sarebbe assurdo demonizzarli, come si fa in questa sede - superati dai tempi, ma che hanno retto per quasi un secolo e che ancora oggi caratterizzano e determinano gli obiettivi e gli sviluppi della scuola italiana in positivo o negativo, a seconda delle critiche. Tuttavia, siamo tutti costretti a misurarci su questi aspetti, sul valore della cultura classica così come è stata delineata, sulla formazione umanistica, sul rilievo dato alla persona in quanto tale.
Tale scuola, risalente ad una determinata epoca, faceva riferimento ad un sentire particolare, ad una visione, se si vuole, totalitaria. Al di là di tutto, tale scuola si è fatta carico della realtà di un popolo, con i difetti ed i limiti che tutti conosciamo.
Oggi, il disegno di legge Moratti si propone, invece, un obiettivo più limitato nel tempo ma altrettanto incisivo che dobbiamo valutare per quello che è, non per quello che vogliamo dipingere nella realtà. Credo che una prima considerazione da svolgere sia la seguente. Si comincia ad uscire - nei vari articoli il discorso è sotteso, è implicito ed esplicito - da un certo statalismo che ha caratterizzato per troppo tempo la scuola italiana. Si cerca di omologare la realtà scolastica italiana alla storia europea, all'Europa in quanto tale, pur garantendo - lo vorrei dire ai colleghi del centrosinistra e, ancora una volta, faccio riferimento al sottosegretario Aprea (so che proviene dalla scuola di Stato) e alla relatrice, onorevole Napoli - un sistema pubblico integrato (mi si consenta questo termine). Ciò vuol dire che non intendiamo privatizzare. Tuttavia, all'interno di questo sistema pubblico integrato, il provvedimento affronta il problema del pluralismo educativo, di un pluralismo che si affida, anche e non solo, alle libertà di scelta dei genitori, non solo alle libertà di educazione degli insegnanti.
In questo senso, per la prima volta con coraggio si affronta il problema della cooperazione fra scuole e genitori, accanto all'autonomia delle istituzioni scolastiche. Cooperazione fra scuola e genitori ed autonomia delle istituzioni scolastiche è un binomio che va avanti, parallelamente all'evoluzione di una società, prescindendo da dirigismi che finora ci sono stati e che oggi vengono posti, anche questa sede. Infatti, quando si rivendicano con forza il carattere statale della scuola e determinati vincoli ancorati anche ad una formazione degli insegnanti, ad una sindacalizzazione dei medesimi, quando si dice «no» ad ogni forma di destrutturazione di questo mastodonte costituito dalla classe docente italiana, non solo si è vincolati ad una visione profondamente e grettamente conservatrice della realtà italiana, ma si rifiuta anche il nuovo, si rifiuta un ancoraggio all'Europa in quanto tale.
Devo dire che mi sarei aspettato da certi colleghi intervenuti, sia in Commissione sia in questa sede, maggiore coraggio nell'affrontare le problematiche di questa importante istituzione, maggiore coraggio soprattutto nel fare riferimento ad un'analisi comparata con i sistemi scolastici di altri paesi, ai problemi della società italiana, all'evoluzione di questa società, a ciò che chiedono i giovani che, non a caso, oggi si sentono distanti da questo sistema scolastico, distanti da determinate forze politiche, sicuramente più distanti dalla sinistra che dalle forze della Casa delle libertà e, nel nostro caso, da Forza Italia.
Ho fatto riferimento al compimento finale. Non mi nascondo dietro le parole. Questo provvedimento riguarda l'intera gamma delle esperienze formative della scuola italiana. Tale provvedimento si propone - mi piace il termine - di attuare fino in fondo il sistema pubblico integrato. Credo che questo disegno di legge, a suo tempo, tenendo conto di tutte le circostanze che caratterizzano l'evoluzione naturale di una legislatura, dovrà essere il primo tassello di un'altra serie di disposizioni
legislative che porranno in essere un'autentica parità scolastica, una competizione educativa che consenta di elevare il livello degli studi non abbassandolo, come è successo finora.
È questo il problema di fondo sul quale ci dobbiamo confrontare, con il rispetto che dobbiamo alle varie istituzioni (regioni, comuni, province e Stato): dobbiamo porci il problema di un elevamento del livello culturale, non di un suo abbassamento.
Inoltre, dobbiamo chiederci cosa sia stata la scuola italiana in questi anni. Si parla, giustamente, della dispersione scolastica; ma ci si chiede da cosa sia derivata? Perché la scuola italiana - e mi riferisco soprattutto a quella dell'obbligo -, in questi anni, ha dato un livello culturale così mediamente basso agli studenti? Ci preoccupiamo, giustamente, della dispersione, ma non ci preoccupiamo di elevare il livello della scuola italiana per quegli studenti non abbienti i quali, terminata la scuola dell'obbligo, non possono seguire un percorso educativo di un certo tipo.
Si è fatto riferimento alla riforma della scuola media unica. Ma chi può essere contrario, in questa sede, ad una riforma come quella degli anni 1962-1963? Il difetto del legislatore di allora, e delle forze di sinistra, che ebbero parte determinante in quella riforma, fu quello di abbassare il livello culturale su una pretesa di omologazione e di uguaglianza tra tutti gli studenti e di pari opportunità formative. Allora, credo che dobbiamo porci il problema della progressiva svalutazione del merito che la scuola italiana ha vissuto in questi ultimi trent'anni, di un'ideologia - dobbiamo pur dircelo! - di una politicizzazione esasperata che, spesso, non ha generato un aumento delle competenze, dei cosiddetti saperi, ma è servita soltanto come veicolo di trasmissione di determinate ideologie, certo non di una cultura! Dobbiamo riflettere e dobbiamo anche avere il coraggio di fare scelte politiche precise, ponendo alcuni paletti.
Credo di dover anche accennare all'applicazione del principio di sussidiarietà. Questo principio, in questi anni conculcato, ha un suo naturale diritto di vita, all'interno della scuola italiana, con riferimento agli organi collegiali, alla famiglia, ai genitori, alla pluralità delle esperienze educative e formative. Se esso preesiste alla scuola di Stato e, per certi aspetti, alla stessa Costituzione, che, però, ne riconosce il ruolo significativo, dobbiamo pur trarne qualche conseguenza.
Accanto a questo, credo che la legge - l'ha detto molto chiaramente il ministro in varie occasioni - abbia privilegiato e preservato l'unitarietà del sapere su tutto il territorio nazionale, salvaguardando determinate peculiarità regionali che hanno positivamente segnato, ad esempio, la legislazione delle regioni a statuto speciale, le quali, anche se molti l'hanno dimenticato, già da anni attuano, al loro interno, una forma di istruzione che tiene conto della loro autonomia particolare senza per questo ledere la loro appartenenza alla Repubblica italiana.
Mi chiedo, allora, e chiedo a voi: è più pericolosa questa cosiddetta devolution (o la quota data alle regioni) o non è più pericoloso per la scuola italiana - e per me lo è moltissimo - il venir meno, ad esempio, in molte scuole superiori, di ogni forma di collegamento, sulla base di radici ideologiche, alla tradizione culturale italiana, a ciò che sono stati, per la letteratura italiana, Dante e Manzoni o, per la storia o l'arte, la dimensione e la cultura giudaico-cristiana? È in questo modo che ha operato la sinistra attraverso una presenza culturale dei suoi insegnanti i quali, molto spesso, anche se non sempre, si sono serviti del loro ruolo di docenti per manipolare la realtà, per sovvertire le coscienze e per imporre una determinata visione ideologica.
Non faccio di ogni erba un fascio, ma credo che questo fenomeno sia stato molto presente nella scuola italiana. C'è da chiedersi se il tasso di ideologizzazione ancora presente in questa scuola non continui a danneggiarla. Cosa sono queste continue dimostrazioni, queste proteste anche di dirigenti i quali, invece, dovrebbero attuare la legge di riforma? Cos'è questa
rappresentazione distorta della presente proposta se non una forma - com'è stato detto in precedenza - di pensiero marxista retró? Si è accennato alla riforma Gentile. Io dico che la sinistra, ancora oggi, ci propone una riforma superata, di stampo schiettamente conservatore.
Ora, il provvedimento che oggi esaminiamo fa riferimento ai valori della Costituzione; eccome, colleghi del centrosinistra! Direi che ogni articolo, dall'1 al 2 al 3, è compenetrato pienamente da questi valori. Proprio perché voi avete citato i padri costituenti, io vorrei citare De Gasperi, Moro, Dossetti, Saragat, Einaudi; credo che non avrebbero nulla da eccepire nel riflettere su questi articoli e su questi testi, perché oggi, tenendo conto di questa realtà, il provvedimento se ne fa carico, si fa carico di una evoluzione della Costituzione, non basandosi su una Costituzione intesa come qualcosa di fisso e di immutabile nel tempo. Allora, io credo che di fronte a questo si ponga un altro problema che è stato affrontato con coraggio: un'analisi del ruolo e della funzione del docente, affrontata senza passioni - cosa che deve essere fatta in una legge - , ma con la consapevolezza che la scuola italiana potrà far progredire l'intera società soltanto se la classe docente sarà consapevole del suo ruolo. Il riferimento ai criteri di valutazione e di selezione credo siano riferimenti precisi, un atto di responsabilità che il Governo fa nei confronti una classe docente che molto spesso è stata deresponsabilizzata in nome di logiche sindacali. In questo provvedimento che cosa si privilegia (e viene dimenticato)? La dignità ed il ruolo del docente, il quale, credo, ha tutto da guadagnare da una migliore valutazione dei suoi meriti, della sua capacità di insegnare e di trasmettere il sapere che non da una piatta omologazione tra chi sa e sa insegnare, e tra chi non sa e non sa insegnare e fa solo politica. Credo che la maggioranza degli insegnanti voglia questo, non una rivendicazione corporativa dei propri diritti che si traduce poi in un appiattimento che li sminuisce, li proletarizza - un fatto oggi evidente a tutti - di fatto li priva di una loro dignità sociale, della consapevolezza di costituire un soggetto essenziale nella trasformazione della nostra società.
Allora, non si venga a parlare delle spese per l'istruzione, della mancanza di impegno, quando un Governo come il nostro e qualsiasi Governo, anche il Governo precedente, ha di fronte una massa di centinaia di migliaia di insegnanti. Ma come potete pensare che si possa investire in progetti di qualificazione di ricerca quando l'obiettivo primario è soltanto il pagamento degli stipendi? Credo che dobbiamo porci il problema - e dobbiamo farlo con coraggio - di una destrutturazione, di una riqualificazione diversa del sistema scolastico italiano, che non significa mandare casa i docenti, ma significa premiare quelle realtà che meritano un intervento dello Stato e significa penalizzare quelle realtà che non svolgono una funzione sociale, e non rispondono ad un effettivo bisogno sociale.
Il problema degli insegnanti di sostegno e degli ATA, e via seguitando (non mi dilungo perché il tempo scorre), risponde a questa esigenza, che è stata banalizzata dalla sinistra e che noi invece rivendichiamo con forza, come pure rivendichiamo il riferimento - e mi avvio a concludere - alla tradizione, alla formazione spirituale e morale contenuta nel comma 1 lettera b) dell'articolo 2. Abbiamo avuto il coraggio di dire questo dopo anni di nichilismo culturale, contro una tendenza, diffusa ancora oggi, per la quale si pretende dalla scuola un asetticismo totale. Noi rivendichiamo non una scuola etica, ma il diritto dovere della scuola di elaborare una formazione morale e spirituale, di trasmettere valori, non la totale indifferenza ai medesimi.
Anche voi, colleghi del centrosinistra, avete fatto riferimento ai valori, forse a valori diversi dai nostri. Forse le circolari del ministro Berlinguer e l'intera politica scolastica del Governo dell'Ulivo non rispondevano ad una visione della società, soddisfacendo pertanto all'esigenza di trasmettere questi valori alla realtà scolastica italiana? Ora, io credo che dobbiamo essere molto attenti a dare giudizi, come
pure dobbiamo essere molto attenti a non dimenticarci, in nome di un facile pauperismo e di una facile integrazione, del significato, per un popolo come il nostro, della propria identità, della propria tradizione, dell'ancoraggio a determinati valori che vengono costantemente riaffermati in questa legge. Mai come oggi se ne avverte il bisogno di fronte ad una società impaurita - questo sì - da queste ondate migratorie, che chiede alla scuola cose che la scuola non può dare; ma il giorno in cui la scuola, in nome di un presunto dialogo interetnico (che deve esserci), dimenticasse però di dare ai fruitori della medesima, ai propri concittadini, la consapevolezza di appartenere - insisto su questo valore - ad una tradizione fortemente sentita, fortemente caratterizzata che ha qualificato in modo eccelso l'Europa e l'Italia, ebbene, la scuola, a mio modo di vedere, non avrebbe risposto al suo principio, al suo obiettivo, al suo valore di fondo.
È chiaro che, in questo contesto, il recupero, accanto a moderne visioni, della politica scolastica, mi riferisco all'innovazione tecnologica, alla dimensione delle lingue moderne, ma anche un della cultura classica, alla cultura storica rettamente intesa, alla riappropriazione della tradizione culturale italiana, credo siano riferimenti essenziali...

PRESIDENTE. Onorevole Garagnani, la invito a concludere.

FABIO GARAGNANI. Concludo, Presidente.
Questi sono riferimenti essenziali per noi proprio perché accanto a questi dati c'è il riferimento alla persona in quanto tale.
Nel dibattito in Commissione cultura abbiamo sentito affermazioni sul ruolo della famiglia e dello studente che ci hanno lasciato sinceramente preoccupati. Proprio perché crediamo che la famiglia non possa essere l'unica detentrice del sapere e della formazione, tuttavia essenziale, il riferimento ad un suo ruolo, tutto sommato secondario, ci ha lasciati preoccupati. Bene ha fatto il Governo ad inserire, in vari capitoli di questa legge questo riferimento soprattutto perché, di fronte ai tentativi di spersonalizzazione delle giovani generazioni che si sono verificati in passato e che continuano a verificarsi oggi, quasi che il giovane debba essere un numero, manovrato dal collegio dei docenti o dal sindacato o da un unico verbo che viene calato non so se da Roma o dalla periferia ma, comunque, manovrato, noi non possiamo fare nulla. Sono queste le ragioni che ci inducono ad essere, tutto sommato, soddisfatti della proposta che stiamo esaminando e, preoccupati, lo ripeto, preoccupati, da alcune analisi che abbiamo sentito in questa sede.
Personalmente sono molto preoccupato, non tanto perché tema il dibattito, la dialettica politica - credo sia una cosa naturale, ho sempre fatto opposizione, per quanto mi concerne, negli anni passati -; ciò che mi preoccupa è quando il dibattito politico, la dialettica, la polemica politica sfociano in considerazioni che non trovano assolutamente riscontro nella realtà e che rischiano di degenerare in una sorta di lotta civile all'interno della scuola italiana. Gli accenti che abbiamo sentito in questa sede, il voluto travisamento di determinate realtà ma, soprattutto, l'aggrapparsi ad un concetto di società più che di scuola che è stato condannato dalla storia, ci lascia, francamente, perplessi e preoccupati.
Questa è la ragione per cui - lo dicevo all'inizio - ritengo che non possiamo concordare su una legge comune, non abbiamo accettato gli emendamenti da voi proposti; è la ragione per cui, pur, ovviamente, dichiarandoci aperti al confronto, siamo fermi nel difendere, soprattutto in questo caso - parlo, ovviamente, a nome del gruppo di Forza Italia - la bontà di questa legge, l'intangibilità della medesima, almeno nei suoi presupposti essenziali, perché siamo convinti di adempiere ad un dovere civile verso l'intero popolo italiano (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Colasio. Ne ha facoltà.

ANDREA COLASIO. Signor Presidente, signor ministro, onorevole sottosegretario, con l'odierna discussione sulle linee generali del disegno di legge di delega in materia di norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale ci si avvicina, a tappe forzate, all'epilogo di un lungo processo iniziato all'indomani delle elezioni del 13 maggio.
Sin dalla sua prima audizione, in sede di VII Commissione cultura, il ministro Moratti aveva formalmente confermato, nella corretta sede istituzionale, quanto già anticipato sia in sede politica, sia alla stampa, ovvero la sua chiara determinazione a sospendere l'effettività della legge n. 30 del 2000. L'abrogazione della legge n. 9 del 1999 sull'elevamento dell'obbligo scolastico diventerà poi, per quanto ci concerne, proprio per la sua unicità, un caso di scuola.
Se si considera, insomma, il forte grado di politicizzazione che la questione della riforma scolastica e del riordino dei cicli aveva assunto all'interno dell'agenda politica elettorale, la sua vera e propria sovraesposizione, era agevole inferire come tale sovraccarico simbolico si sarebbe riverberato negativamente sulla rideclinazione delle politiche scolastiche.
Da quasi due anni, con fasi alterne di forte accelerazione e di quasi stasi, il nodo della riforma scolastica è oggetto di confronto e di scontro - non certo quello scontro tra civiltà che francamente mi sembra molto poco rappresentativo di una cultura politica moderata che ha espresso l'amico Garagnani - a livello istituzionale, sul piano mediatico, tra gli operatori del sistema, nonché a livello di società e di opinione pubblica.
Il disegno di legge oggi in discussione purtroppo sconta - è utile ricordarlo, ma mi sembra ad abundantiam - questo vizio genetico di fondo, questo suo rispondere a logiche ed a variabili la cui coerenza affonda nelle ragioni della politica, nelle contingenti necessità, negli imperativi della politica, mentre le ragioni del mondo della scuola e dei suoi operatori, degli alunni, delle famiglie appaiono sullo sfondo, sbiadite, sacrificate ad altre priorità, ad altre logiche, ad altri interessi.
Dispiace prenderne atto e non ci gratifica certo dover registrare come questo passaggio parlamentare, per noi di grande rilievo, sia stato in realtà ancor più prigioniero della vischiosità inerziale di input politici del tutto estranei ed irriducibili alle ragioni, alle esigenze, alle aspettative di quel mondo complesso e plurale che, piaccia o meno, lo ripeto, piaccia o meno, è la scuola italiana. Allora, va detto proprio come - in virtù del fatto che riconosciamo grande correttezza e passione civile alla relatrice per la maggioranza, onorevole Angela Napoli, e correttezza istituzionale al presidente della Commissione cultura, onorevole Adornato - tanto più, e sottolineo tanto più, riteniamo grave, lesivo del ruolo, delle funzioni, delle prerogative del Parlamento, l'aver proceduto con una filosofia, con un approccio metodologico che vorremmo dire modulato sull'irrilevanza del merito.
Perché procedere con le audizioni, perché celebrare il vuoto rito dell'ascolto della società italiana, delle sue categorie, delle associazioni, per poi prescindere, nel reale processo implementativo della legge, dai loro rilievi critici, dalle loro osservazioni puntuali e di merito? Tale compito dovrebbe caratterizzare, anzi, avrebbe dovuto caratterizzare il processo legislativo e noi, come Margherita e come l'Ulivo, riteniamo di averlo assolto nell'interesse prioritario del mondo della scuola, nel tentativo, almeno ciò ci sia consentito, di apportare quelle correzioni necessarie ad un testo la cui filosofia ci sembra regressiva, perché certo non in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze del paese, alla crescita del suo capitale culturale globale, alla crescita della sua competitività, alla crescita del suo status e del suo rango europeo. Come gruppo della Margherita insistiamo, ed insisteremo molto, su questa mancanza di prospettive europee della legge delega, sulla sua mancanza di respiro strategico; noi non vi diciamo, non vi diremo che volete privatizzare la scuola, non vi diremo che volete
destrutturarla: vi diciamo che la risposta che avete approntato è inadatta, è inidonea, è del tutto insufficiente rispetto alle esigenze, alle necessità con cui si confronterà la società italiana nel futuro scenario competitivo.
È proprio il divario competitivo nel campo formativo tra Italia ed altri paesi dell'Unione europea che costituisce il fattore critico a partire dal quale doveva essere declinato un autentico processo riformatore: solo il 40 per cento della popolazione adulta italiana ha un diploma di scuola secondaria, contro il 61 per cento della Francia e l'84 per cento della Germania, un deficit di capitale culturale che si riverbera sul peso dei laureati rispetto alla popolazione adulta, poco più del 7 per cento contro valori pari al 21 per cento in Francia ed al 23 per cento in Germania. Si tratta di uno squilibrio in parte strutturale ma in parte riconducibile anche al ritardo - su tale punto dissento dal collega Garagnani - con cui si approvò la sola vera, grande riforma scolastica operativa che il paese abbia conosciuto negli ultimi anni, quella della scuola media unica siglata dal ministro Gui nel lontano 1962. Allora, superando le resistenze di chi voleva una scuola media articolata in canali con esiti e sbocchi differenziati che assecondasse la vocazione lavorativa dei ragazzi (come si legge nel dibattito dell'epoca), si optò per una scelta coraggiosa, riformista, che spinse verso l'alto i processi di scolarizzazione del paese.
Del resto, le grandi riforme scolastiche o, meglio, le mutate funzioni del sistema scolastico hanno accompagnato le vicende della genesi e del consolidamento dello Stato nazione, fino ad evidenziarne i limiti e il suo cortocircuitare in conseguenza del ridefinirsi dei rapporti tra le periferie e il centro, a partire dalle mutate esigenze e dalle nuove domande funzionali e di identità delle periferie.
Le nostre risposte, le risposte dell'Ulivo sono state congruenti con la consapevolezza che lo scenario mutava. Si tratta di risposte flessibili, funzionali ad incrementare la ricettività, la capacità di conversione da parte del sistema scolastico delle nuove domande della società italiana, prima fra tutte l'autonomia scolastica da noi costituzionalizzata per evidenziarne la centralità, tutto il valore e il significato che incorpora rispetto al nostro modello di scuola, partecipato e condiviso, una comunità educante legata al territorio, alla sua storia, modulata sulle esigenze educative di crescita culturale della singola persona e in stretto raccordo con il suo universo: la famiglia, i genitori, l'insieme relazionale.
L'autonomia organizzativa, l'autonomia didattica vengono messe in discussione dalla lettera l) dell'articolo 2, dove si evoca con assoluta indeterminatezza una quota per i piani di studio riservata alle regioni, lesiva sul piano dell'autonomia e sbagliata sul piano culturale, come se le regioni fossero espressive di un'identità culturale univoca e non, invece, articolata territorialmente e, quindi, esprimibile più coerentemente nell'ambito dell'autonomia della singola istituzione scolastica.
A che serve, onorevole Garagnani, evocare la sussidiarietà orizzontale? Questo è il nodo. Qui si parla di sussidiarietà orizzontale che è la cifra, a nostro parere, di un'autentica società federale.
Veniamo al tema, difficile e controverso, del doppio canale, della correlata canalizzazione precoce e del sistema delle passerelle. Sia chiaro: come gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo siamo perfettamente consapevoli dell'importanza, del ruolo e delle funzioni delicate che il sistema della formazione professionale svolge nel nostro paese e, nello specifico, in alcune regioni italiane. Siamo per la pari dignità dei due canali; il diritto all'istruzione che non si declini e che non si concreti in successo formativo non ci entusiasma. Qui si situa uno stretto intreccio tra qualità ed equità del nostro sistema scolastico. Il fatto che, su 665 mila diciottenni, il 33 per cento (oltre 200 mila) abbia fatto ben 11 anni di scuola, ma l'abbandoni senza aver ottenuto nemmeno una qualifica professionale siamo convinti sia un problema cui devono essere date risposte concrete.
Non è forse vero che nel nostro sistema scolastico, grande vettore di democratizzazione
e regolatore della struttura delle opportunità, permangono tuttavia fattori di vincolo ascrivibili al contesto culturale e socio economico di pertinenza dei nostri ragazzi, al capitale culturale e allo status socio economico familiare? Non è forse vero che la partecipazione scolastica dei ragazzi italiani in età compresa tra i 15 e i 19 anni, pur in crescita costante, è tuttavia relativamente contenuta (pari al 69,8 per cento contro una media OCSE del 76,3 per cento).
È emblematico e dovrebbe indurre qualche riflessione ed ingenerare qualche dubbio rispetto alle granitiche certezze della maggioranza il fatto che nell'ultimo rapporto Censis si segnali una perdurante tendenza positiva del tasso di scolarità nelle medie superiori, che ha raggiunto la quota dell'84,7 per cento nel 2000-2001 e che si situa, per il 2001-2002, su valori stimati pari all'87 per cento. È una tendenza positiva ascrivibile - sia chiaro - all'innalzamento dell'età dell'obbligo scolastico e all'introduzione dell'obbligo formativo.
Il ministro Moratti evoca spesso la ricerca internazionale PISA sulla qualità dell'offerta formativa e i livelli di apprendimento degli studenti nell'area OCSE. È noto come i risultati collochino l'Italia nella fascia di quegli Stati con un risultato significativamente inferiore alla media. Perché, allora, ministro, non interrogarsi anche sul risultato negativo della Germania, il cui sistema integrato di istruzione e formazione viene reiteratamente da voi assunto a modello? Eppure, per indicatori di equità ed efficienza, al sistema Germania spetta sicuramente tra i paesi OCSE la collocazione più bassa.
Ancora, mentre si evidenzia come l'organizzazione scolastica sia un fattore strategico per l'equità, la democratizzazione e le performance globali, è corretto sostenere, sulla base dei dati PISA, che i sistemi comprensibili - lo ha ricordato anche la collega Sasso: sono quei sistemi che evitano di incanalare gli alunni in scuole con obiettivi e curricoli diversi prima dei 15 anni - risultano avere risultati migliori in termini di profitto medio, di efficacia e di qualità, nonché di equità sociale.
Su tali nodi strategici e su altri punti della riforma su cui interverranno i colleghi Rusconi, Bimbi e Squeglia avremmo voluto, come gruppo della Margherita, tentare un confronto serio, nel merito. Tuttavia, dobbiamo prendere atto che, a dispetto della tanto conclamata, anche oggi in questa sede, logica bipartisan quale principio ispiratore di una politica scolastica al servizio del paese, ci dobbiamo in realtà scontrare con altre logiche ed altre necessità squisitamente politiche della vostra maggioranza.
Permangono ancora notevoli perplessità e la nostra assoluta contrarietà su molti aspetti della legge delega. L'anticipo dell'ingresso dei bambini nella scuola dell'infanzia crea il rischio di una caratterizzazione assistenzialistica della stessa e di un suo radicale mutamento di identità con bambini che andranno a frequentare la medesima classe ed a svolgere la medesima attività di altri che potranno essere fino a 16 mesi più grandi. Al nido vi sono sei-otto bambini per insegnante. Alla scuola dell'infanzia ve ne sono circa 28 per classe con due insegnanti in compresenza solo per poche ore al giorno. Non crediamo sia sufficiente cambiare struttura o sede per ridurre il diverso grado di cura, attenzione ed assistenza che le varie età evolutive comportano. Diverso è il progetto didattico ed educativo dei due tipi di scuola. Diversa la formazione e la professionalità dei docenti. Allo stesso modo, l'anticipo alle elementari rischia di ingenerare una dequalificazione globale dell'offerta formativa, senza qui soffermarci sui problemi concernenti le strutture e le sedi sollevati da ANCI ed UPI e con il rischio di generare soluzioni differenziate nelle diverse realtà del paese.
Restano irrisolte, nella assoluta indeterminatezza della delega, questioni nodali come l'uniformità territoriale dei livelli essenziali delle prestazioni e la loro universalità. A ciò si aggiunga che il disegno di legge non si raccorda alla devolution
scolastica ed alle rilevanti competenze di legislazione esclusiva attribuite alle regioni in materia di istruzione.
Indeterminato resta, poi, il nodo delle risorse. Al comma 3 dell'articolo 1 è previsto un piano programmatico di interventi finanziari per la realizzazione delle finalità della legge che il Ministero, entro 90 giorni dall'approvazione della stessa, deve sottoporre all'approvazione del Consiglio dei ministri previa intesa con la Conferenza unificata.
Ferma restando la nostra assoluta contrarietà all'uso della delega per l'elaborazione di norme di attuazione costituzionale vogliamo ancora sottolineare che la delega così ideata non definisce in modo adeguato principi e criteri direttivi. È sommaria, generica e ha precluso un serio confronto non solo tra maggioranza ed opposizione ma, quel che è peggio, tra il Parlamento, il mondo della scuola e varie componenti della società italiana. A tale quadro irrisolto tra autonomia scolastica, titolo V della Costituzione e devoluzione qui si accompagna una grande incertezza sulle risorse che determina la nostra assoluta contrarietà alla legge delega ed al suo impianto.
Non meno grave è il fatto di correlare gran parte delle azioni strategiche alla previsione di un piano programmatico di interventi finanziari soggetto a potenziali rimodulazioni ad opera delle leggi finanziarie annuali, piano a cui si correda la stessa attuazione dell'obbligo scolastico ridefinito nel generico diritto-dovere all'istruzione e formazione di cui si prevede persino la progressività. Si tratta di un piano che verrà presentato ed approvato dal Consiglio dei ministri senza che questo Parlamento sia chiamato ad esprimere il suo parere.
Resta, poi, indeterminato il come e la modalità della copertura finanziaria. La qualità dell'offerta formativa non pare, tuttavia, aver costituito una priorità nella vostra agenda politica ed i tagli apportati dalle ultime finanziarie alle risorse per la scuola - i tagli al personale docente ed ATA, i tagli all'autonomia scolastica - sembrano delineare uno scenario dove la tanto evocata scuola delle tre «i» assume contorni sfumati ed irrealistici del tutto incongruenti con i processi reali in corso di devalorizzazione, demotivazione del corpo docente, compressione dell'autonomia scolastica. Si tratta di una realtà che difficilmente porterà il paese ad essere attrezzato ed a confrontarsi adeguatamente con gli imperativi di sistema e le sfide che una società complessa della conoscenza impone.
Purtroppo - dico purtroppo - per il paese non di riforma si tratta, ma di una scelta di politica scolastica miope, sbagliata e regressiva, che non farà certo crescere il nostro capitale culturale e che temiamo accentuerà il divario competitivo con i nostri competitori europei. Non una riforma, signor ministro, ma purtroppo una grande occasione perduta (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capitelli. Ne ha facoltà.

PIERA CAPITELLI. Signor Presidente, signor ministro, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, vorrei innanzitutto fare una premessa sui fatti del giorno. Di fronte ad un attacco globale alla struttura della scuola pubblica che non ha precedenti, avvertito come fatale, è scattato in tante persone il bisogno di farsi carico della difesa di un sistema di diritti oggetto di una pesante offensiva. Siamo qui in quest'aula semivuota, domani faremo un dibattito compresso da tempi contingentati (e temo distratto), ma per fortuna oggi per tutto il giorno sulla piazza di Montecitorio si sono alternate persone impegnate a sostenere le proprie ragioni di cittadini che sanno di dover esigere disposizioni legislative chiare per il governo di una scuola moderna ed efficiente, per tutti e per tutta la vita. Non si rassegnano i cittadini al timore di avere una legge che ci riporterà indietro di anni e che non soddisferà i bisogni della società della conoscenza.
Il Governo di centrodestra, sin dall'inizio della legislatura, ci è apparso molto
incerto, ma oggi con la sua fretta e le sue assurde blindature pare ancora più in difficoltà nelle sue stesse scelte in materia di istruzione. Dietro la sicurezza con la quale vengono affrontati alcuni temi si ravvisa un crescente disorientamento: basti pensare che si dichiara politicamente urgente l'approvazione della riforma della scuola e contemporaneamente si procede sulla strada della devolution. Due provvedimenti che non stanno insieme, considerato che l'approvazione del progetto Bossi, ovvero il superamento di una scuola unitaria a favore della sua consegna alle maggioranze che governano le diverse regioni, determinerebbe l'obbligo di riscrivere integralmente la riforma.
Il Governo attacca la funzionalità delle scuole con un'azione di progressivo strangolamento delle stesse, limitando e condizionando così l'offerta di istruzione pubblica. In pochi anni scompariranno 70 mila posti di lavoro tra personale docente, personale ATA e dirigenti scolastici, come risultato di finanziarie contro le quali noi ci siamo fermamente opposti. In realtà la riduzione effettiva riguarderà almeno 100 mila posti di lavoro (circa il 10 per cento). Le conseguenze saranno pagate dal personale che perderà il posto, dai precari che saranno sempre più numerosi (ma con sempre minori garanzie e certezze) e dalle famiglie, perché sarà limitata l'offerta formativa.
La scuola sta già diventando più rigida, più condizionata dalla mancanza di personale e più lontana dai bisogni delle famiglie. L'educazione degli adulti viene via via drasticamente ridimensionata e gli interventi sull'università denotano incertezza. La ricerca molla gli ormeggi dell'ultima posizione in Europa, in quanto a investimenti, per sprofondare ulteriormente verso il basso.
Le politiche finanziarie stanno producendo una riduzione di oltre 2 mila miliardi di vecchie lire: si taglia su tutto e mediante il drenaggio della liquidità si impoverisce la capacità di spesa delle scuole. Solo poche settimane fa, sono stati sottratti al bilancio del ministero circa 700 miliardi delle vecchie lire per ritardata registrazione dei provvedimenti da parte della Corte dei conti. Le carte sono state trasmesse al Ministero dell'economia e delle finanze ai primi di novembre; questi le ha inviate alla Corte dei conti il 27 dicembre e visto che non sono state registrate entro il 31 dicembre il Tesoro ha bloccato i fondi per l'handicap, le pulizie e gli straordinari. Così si impoverisce il territorio e si condiziona pesantemente la capacità delle scuole, formalmente autonome ma in tutto condizionate dal ministero.
Per i disabili poi il diritto all'integrazione sarà messo in discussione nei fatti - almeno lo temiamo -, a causa del prevedibile ridimensionamento degli insegnanti di sostegno previsti dalla finanziaria. Le risorse per la scuola non statale sono le uniche che non hanno conosciuto tagli: non c'è più un euro della scuola pubblica che non venga esteso e condiviso anche dalla scuola non statale. Ma fin qui niente di scandaloso. Il fatto è che le condizioni per il riconoscimento della parità sono ormai tali che per non averla bisogna chiederlo espressamente ed inoltre le scuole private sono continuamente favorite dalle norme di alcune regioni che, anziché intervenire sul diritto allo studio di tutti, discriminano milioni di ragazzi per favorirne solo alcuni.
Nel delineare il contesto in cui si colloca il disegno di legge delega, vorrei ricordare il problema della dirigenza. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è il ministero nel quale è stata applicata, nel modo più esteso, la legge Frattini, con la conseguente espulsione di quasi tutti i direttori generali nominati dal Governo precedente. Il clima è di forte pressione culturale, mentre aumentano le interpellanze parlamentari per denunciare presunti covi di oppositori in cattedra. È di pochi giorni fa la riproposizione di un nuovo stato giuridico dei docenti, da attuarsi per via legislativa.
Dopo le lezioni sulla magistratura e sull'informazione, il Governo intende porre sotto tutela la scuola. Gli obiettivi sono quelli di eliminare o ridurre in modo
consistente la contrattazione e di arrivare a libere assunzioni del personale docente da parte delle singole scuole.
La vicenda della censura dei libri di storia rappresenta, in questo inequivoco quadro, un episodio non casuale. Questa maggioranza non ama la scuola pubblica e non si fida di chi ci lavora, questa è la sostanza! L'intervento di questa sera di un autorevole esponente della maggioranza, come l'onorevole Garagnani, né è una conferma.
Per quanto riguarda più nello specifico il disegno di legge Moratti, temiamo fortemente che esso produrrà un arretramento generalizzato del livello di istruzione del nostro paese. Riportare la durata dell'obbligo al termine della scuola media, riducendolo di un anno - evento che non ha precedenti nella storia dell'intero globo terracqueo -, eliminare il principio costituzionale dell'obbligo scolastico, sostituendolo con il molto più elastico concetto di diritto e di dovere, prevedere che a 12 anni si separi chi frequenterà la scuola e chi sarà destinato ad un rapido avvio al lavoro, produrrà come conseguenza una riduzione della cultura individuale e collettiva. Cambieranno così le fondamenta del nostro sviluppo, perché limitare l'accesso agli studi e al successo scolastico per un grande numero di ragazzi e ragazze di famiglie non economicamente agiate o non culturalmente attrezzate e destinabili ad un precoce inserimento lavorativo significa avere un paese meno istruito, meno capace di sfide sulla qualità del proprio sviluppo socioeconomico e sulla competizione internazionale. Così si riporta indietro l'orologio della storia del nostro paese, quando studiare era un privilegio per pochi e un lavoro precoce fin da ragazzi rappresentava un destino inevitabile per troppi.
Il disegno di legge oggi in discussione riduce tutto a merce, anche il tempo dell'infanzia. Che dire, infatti, della leggerezza delle proposte che autorizzano un artificioso e confuso anticipazionismo scolastico? Mandare i bambini a scuola prima, togliere loro il diritto ad una propria scuola per inserirli precocemente in una scuola formale è una risposta sbagliata. Dietro tanta domanda di anticipo si nasconde una situazione sociale che vede asili nido e scuole d'infanzia assenti, molto costose o non sufficientemente diffuse sul territorio. E a questa domanda non si stanno fornendo risposte. Un esempio: la scuola dell'infanzia è ben lontana dall'essere stata generalizzata, anche gradualmente, come prevede la legge n. 30 del 2000.
Ci avviamo, ormai, all'ultima fase dell'iter parlamentare del disegno di legge alla Camera e, ancora, noi parlamentari dell'opposizione abbiamo fiato; abbiamo ancora qualche velleità e speranza di riuscire a migliorare questo provvedimento che, se applicato come la delega indica e come si prevede saranno i decreti delegati, lascerà la scuola nell'incertezza e le famiglie nella disaffezione nei confronti della scuola pubblica.
Il Governo, orgoglioso di un progetto che riporterà la scuola indietro di cinquant'anni, sembra essere consapevole di alcuni errori contenuti nel testo, determinati da scelte frettolose: fiducia mal riposta nelle sperimentazioni e scarsa esperienza di chi prepara i disegni di legge. Tuttavia l'esecutivo, noncurante com'è delle norme vigenti e della discussione parlamentare, lascia intendere di voler rimediare a tutto con qualche ordine del giorno già concordato con i parlamentari di maggioranza, ovviamente.
Il gioco è scoperto e noi non vi prenderemo parte; non presenteremo ordini del giorno, anzi invitiamo anche i parlamentari di maggioranza a non farlo. Ma è possibile interloquire con i parlamentari di maggioranza dei quali, salvo rare eccezioni, non abbiamo conosciuto fino ad ora opinioni di merito?
Se la maggioranza non parla, continuerà a farlo l'opposizione, spiegando al paese i motivi della propria contrarietà e le proprie ragioni di principio, di merito, di costituzionalità e di progetto alternativo. Sì: un progetto alternativo. Il progetto alternativo dell'Ulivo è stato recentemente esplicitato a Bologna l'11 gennaio con un documento ampiamente condiviso dalle
forze politiche e da molti movimenti che costituiscono l'Ulivo stesso. Si tratta di un documento preciso e puntuale che richiama principi e valori che fanno riferimento alla Costituzione: una scuola laica e pluralista; una scuola che ha il compito primario di elevare il livello culturale di una nazione; una scuola che fornisca a ciascun soggetto in formazione l'acquisizione di conoscenze e di competenze e lo sviluppo dello spirito critico; una scuola che è per tutti e per ciascuno per tutta la vita; una scuola autonoma di cui sono soggetti protagonisti gli studenti, i docenti, le famiglie, i dirigenti e il personale non docente; una scuola radicata nel territorio che costruisce l'identità nazionale; una scuola responsabile del suo progetto culturale e didattico, che nasce in rapporto all'individuo in formazione e in rapporto con le autonomie locali, le regioni, lo Stato, l'Europa. Non è tutto qui il fondamento del progetto dell'Ulivo, ma spero che questi cenni, che fanno esplicito riferimento al documento dell'Ulivo, siano evocativi dei concetti e delle scelte profonde che ne sono la base e che hanno costituito in questi anni l'ossatura delle riforme dei governi di centrosinistra.
Come si rapporta l'opposizione parlamentare al disegno di legge delega? In senso antagonista, perché esso è fortemente antitetico sul piano dei valori, delle scelte e delle strategie, ma anche in modo molto concreto e costruttivo. Non rinunceremo mai ad emendare. Non rinunceremo allo sforzo di essere convincenti, al fine di migliorare il testo. Il progetto dell'Ulivo assume concretezza anche dagli emendamenti presentati al disegno di legge, la maggior parte dei quali sono a firma di tutte le componenti dell'Ulivo. Non sono affatto irrilevanti, ai fini politici, le scelte emendative adottate sia perché ricostruiscono un'ispirazione di fondo che fa riferimento alla legge n. 30 del 2000 sia perché sono contemplate nuove prospettive molto pertinenti con i bisogni della scuola, della famiglia, della società, del mondo economico e della produzione, sui quali il Governo e la maggioranza avrebbero interesse ad aprire una discussione non soltanto in Parlamento ma anche nel paese. È una linea emendativa ricca e molto minuziosa ma di natura niente affatto ostruzionistica, che prende in esame tante questioni perché nasce da più esigenze. Si vuole ricostruire, riproporre una vera riforma di sistema e riavviare il dibattito su problematiche ancora aperte: carattere unitario e triennale della scuola dell'infanzia e sua generalizzazione; unitarietà e continuità del ciclo di base; integrazione fra scuola e formazione professionale; realizzazione dell'obbligo formativo nel contesto del diritto all'educazione e alla formazione per tutta la vita.
Tutto questo mira a limitare i danni di un disegno di legge che non affronta i veri problemi della scuola. Forse il Governo e la maggioranza pensano di risolverli applicando al sistema scolastico e formativo le medesime regole del mercato, scaricando di impegno e di responsabilità la Repubblica - come se fosse possibile -, per affidarsi alla libera scelta delle famiglie in un contesto di regole molto larghe. Si tratta di un modo singolare di procedere: davanti al grande bisogno di conoscenza ed al crescere della complessità, ci si attrezza con un sistema che ha meno regole e minori garanzie. Nel momento in cui avvengono trasformazioni epocali della società che dovrebbero indurre ad interventi di grande cambiamento e di modernizzazione, la risposta fornita ai cittadini da parte di chi governa si concretizza nel disimpegno, nella sottrazione di risorse, nel tentativo di far apparire come moderno il concetto di diritto-dovere all'istruzione e alla formazione e desueto l'antico e nobile concetto costituzionale di obbligo scolastico. È evidente che nel ridefinire l'obbligo scolastico un diritto-dovere si indebolisce fortemente l'impegno della Repubblica nei confronti delle nuove generazioni.
Il processo riformatore iniziato nella precedente legislatura e portato ad un livello molto avanzato con i piani attuativi della legge n. 30 del 2000 avendo, invece, come obiettivo primario il riordino del sistema nazionale di istruzione e formazione, al fine di elevare il complessivo
livello culturale della nazione, prevedeva un maggiore impegno della Repubblica. La maggioranza di centrodestra ha dimostrato di non perseguire questo obiettivo, attraverso due scelte fondamentali e tra loro coerenti: la delega al Governo e l'indebolimento con il taglio continuo delle risorse e l'attacco ai diritti individuali e collettivi del personale della scuola pubblica.
La scuola da fattore potente di inclusione sociale, chiamata ad offrire a tutti uguaglianza di opportunità, sembra diventare un servizio a domanda individuale, così chi più ha in termini economici, ma soprattutto di capacità, meglio sceglie e alla fine più sa e più conta. Le differenze sociali vengono registrate ma non superate; anzi hanno molta probabilità di essere aumentate.
La delega al Governo in materia di scuola è inaccettabile perché deprime il Parlamento di un suo diritto e collocandosi poi in una situazione di totale incertezza del quadro istituzionale e costituzionale si rende ancora più incomprensibile e inadeguata. Come non ricordare che la scuola non è del Governo ma dei cittadini? Quindi, solo una legge ordinaria che scaturisce da un approfondito dibattito parlamentare, esito del confronto tra diverse culture politiche che rappresentano la società nazionale, potrebbe avere la forza di rinnovare la scuola italiana rendendola adeguata alle profonde trasformazioni che la società sta vivendo.
Nel paese c'è maggiore consapevolezza di quanto il centrodestra non pensi intorno ai propri diritti di cittadinanza, prova ne è che il rifiuto dello strumento della delega è stato pressoché condiviso da tutte le forze sindacali, culturali ed associative, professionale e studentesche consultate nelle audizioni di Camera e Senato. Questo atteggiamento è stato pure fortemente rappresentato e formalizzato dai pareri negativi espressi dal Consiglio nazionale della pubblica istruzione e degli organismi rappresentativi delle autonomie locali - ANCI, UNCEM, UPI - e, seppure in misure e con modalità diverse, persino dal Comitato per la legislazione di questa Camera. La nostra ferma opposizione allo strumento della delega e la conseguente presentazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità sono da ascriversi alla convinzione che non solo la delega non era opportuna perché toglie spazi alla discussione e al controllo del Parlamento, ma anche perché è uno strumento non adeguato a definire quanto compete esclusivamente allo Stato ai sensi del nuovo titolo V della Costituzione, cioè le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni. La delega presuppone criteri certi e definiti e ciò confligge con il fatto di dover emanare norme generali.
Inoltre, come può il Governo assumersi una delega ad emanare decreti legislativi riguardanti materie che non gli competono, perché già attribuite alle regioni, agli enti locali e alle scuole stesse? Come può il Governo avere una delega che, mutilando l'autonomia delle istituzioni scolastiche, non riconosce la scuola come soggetto autonomo, così come affermato dal nuovo titolo V della Costituzione? È veramente curioso questo nostro modo di procedere, così come la scelta, incostituzionale ma soprattutto sbagliata sul piano culturale, di attribuire alle regioni la facoltà di definire una quota dei piani di studio.
Anche volendo prescindere dagli aspetti critici di natura tecnico-professionale, che rendono assolutamente fastidioso sentire ancora parlare di piani di studio anziché di curricula, come è possibile non lanciare un segnale d'allarme sul fatto che con il localismo dei piani di studio c'è il forte rischio che vengano messi in discussione elementi fondamentali dell'identità e della cultura nazionale? È curioso che nell'epoca della globalizzazione e della comunicazione mondiale ci si debba trovare nella circostanza di doversi guardare dal localismo e dalla ricerca esasperata di identità e specificità culturali che spesso non esistono o si sono perse nel sovrapporsi degli eventi e delle situazioni storiche. Ma davvero pensiamo che ai cittadini lombardi - faccio un esempio - sia utile, ai fini di una corretta maturazione del proprio senso di appartenenza, riscoprire
e analizzare le proprie origini celtiche attraverso un percorso differenziato dello studio della storia?
Quante ideologie in certe scelte e quanto poco sapere, oltre che scarsa conoscenza, di quanto effettivamente accade nella scuola italiana, dove la storia locale non è affatto bandita e dove viene però utilizzata per ricostruire la storia del processo unitario del nostro popolo! Quanta condiscendenza a progetti che forse non hanno mai una concretizzazione!
Se la scelta dei curricula regionali costituisce una seria adesione alla prospettiva culturale prevista dalla devolution non si capisce perché non si voglia attendere il nuovo quadro costituzionale prima di procedere ad una riorganizzazione di sistema che verrà radicalmente messa in discussione a devolution ultimata. Se invece siamo in presenza di tante finzioni politiche, ha effettivamente ragione chi - come me ed il mio gruppo - sostiene che molte delle incoerenze del disegno di legge siano da attribuirsi alle diverse visioni e prospettive culturali che albergano nella Casa delle libertà. Cattivi pensieri? Forse, ma anche l'uso dei termini pseudo-pedagogici, come piani di studio personalizzati, fa nascere alcuni cattivi pensieri.
Perché non piani di studio individualizzati? Sembrava superata la contrapposizione ideologica tra individuo e persona, o almeno l'avevano superata sia i programmi del 1985 della scuola elementare sia la legge n. 30 del 2000; o forse la politica ha bisogno di fornire alla pedagogia nuovi termini che quest'ultima non conosce? È personalizzato un percorso che si sviluppa semplicemente ed unicamente come alternativa consapevole tra domanda ed offerta, o lo è un percorso che pone al centro l'individuo con le sue diversità e i differenti livelli di partenza per accompagnarlo a raggiungere i massimi traguardi possibili? Le differenze sono evidenti, il termine «personalizzati» non convince. D'altra parte, tutto l'articolo 1 e gran parte dell'articolo 2 risultano assolutamente inadeguati a definire i principi ispiratori della legge. Non emerge nemmeno un'idea di scuola e non si evincono i fattori pedagogici di riferimento. Ma forse i conti tornano: il centrodestra non vuole meno scuola pubblica, vuole meno scuola per tutti e per tutta la vita (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rusconi. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUSCONI. Signor Presidente, signor ministro - che ringrazio per il paziente ascolto -, mi sembra opportuno fare una riflessione preliminare sulla volontà della maggioranza che ha ammesso nei lavori in Commissione errori, limiti alla riforma, ma ha deciso di non discutere nulla per non far tornare il disegno di legge al Senato. Prendiamo atto che gli interessi della politica e la vuota ritualità di parte sono più importanti della scuola italiana, degli interessi di famiglie ed alunni, del futuro di questo paese. Vi è stata poi la scelta della legge delega e la volontà di non approfondire compiutamente i nodi fondamentali e il reale rapporto con la legge per la devolution.
L'onorevole Angela Napoli, la relatrice, ricorderà benissimo nelle audizioni il continuo ritornello inascoltato e sordo: quale legge avrà la priorità? Io non so se nella revisione dei libri di testo o di storia che l'onorevole Garagnani auspica, e di cui ha dato incarico al Governo, arriveremo a studiare, insieme alla difesa dei crocifissi, anche la storia delle sacre ampolle del Monviso. Dico solo che su questa storia - storia con la «s» minuscola - della devolution il Governo e la maggioranza, neppure in Commissione, hanno saputo dare risposte serie e chiare. Noi parliamo di nuove iscrizioni alla prima elementare e al primo anno di scuola dell'infanzia e dimentichiamo, abbiamo vergogna di ricordare, che entro il 25 gennaio, in tutte le scuole italiane, sono state prese le preiscrizioni con le vecchie norme e con le vecchie regole: questo in un paese normale non dovrebbe accadere. Il primo aspetto paradossale, kafkiano, è che oggi la riforma è alla Camera per una scuola più
unitaria, mentre al Senato si è approvata, con grande enfasi, la legge sulla devolution, che definisce l'istruzione di esclusiva competenza regionale. Vorremmo chiedere al Presidente del Consiglio dei ministri se stia con il ministro Moratti o con il ministro Bossi, che non più tardi dell'altro giorno ha promesso che il 24 febbraio la legge sulla devolution sarà alla Camera per l'approvazione definitiva. Su questo punto cito un breve articolo de Il Sole 24 Ore del 30 novembre su quelli che sarebbero i disastri della legge sulla devolution: «Le regioni non hanno la preparazione per gestire una cosa delicata come la scuola; con la devolution anche le direzioni regionali dell'istruzione scomparirebbero ed avremmo in uno Stato venti scuole diverse; il contratto nazionale di lavoro potrebbe sparire per lasciare posto a tanti contratti regionali; i docenti di una regione potrebbero guadagnare più di altri docenti appartenenti a diverse regioni; passerebbero alla gestione delle regioni persino i licei classici; la devolution Berlusconi-Bossi potrebbe mortificare i passi avanti compiuti da comuni e province su cui oggi gravano le responsabilità e le spese maggiori».
Vi è una seconda assurdità: al Senato con un ordine del giorno presentato dalla maggioranza, nel corso dell'esame del disegno di legge Moratti, si chiedeva (ai primi di dicembre) che nella legge finanziaria per il 2003 fossero stanziate risorse per la stessa riforma, mentre alla Camera, negli stessi giorni, si tagliavano in finanziaria 465 milioni di euro solo sulla scuola.
Noi siamo dalla parte del ministro Moratti nella sua reazione contro il ministro Tremonti, ma attendiamo fatti, risposte concrete, a fronte dei timori delle note tecniche, che la Commissione bilancio ha potuto constatare come reali. Inoltre, l'autonomia scolastica va in crisi: vi è la riduzione della scelta delle autonomie degli istituti per una regionalizzazione mai chiarita. Vi domando e domando soprattutto ad una collega, che so preparata come la relatrice, onorevole Napoli, se questo paese ha bisogno di un maggior senso dello Stato, se anche l'origine storica del difficile equilibrio sulla libertà educativa nasce sulla piemontesizzazione anche dell'istruzione di questo paese, in primo luogo, perché si voleva una scuola italiana. Dovendo regionalizzare e togliendo la quota di autonomia alle scuole, forniamo una risposta di reale libertà?
Per quanto riguarda l'altro tema, vale a dire la scelta del doppio canale (a 13 anni e mezzo) tra liceo e formazione professionale, si registra una mancanza assoluta di equilibrio ed il rischio che senza risorse, lo affermava precedentemente il collega Colasio, non funzionano le passerelle. Proprio la scelta dello strumento della delega e la volontà politica dichiarata da parte della maggioranza e del Governo di non accogliere, durante il dibattito in Commissione e in Assemblea alcuna modifica al disegno di legge Moratti impediscono di approfondire e di riaffrontare uno dei pochi, rari nodi strutturali della riforma, ovvero la scelta del doppio canale tra istruzione e formazione professionale. Sembra dunque opportuno, nel silenzio assoluto di interventi da parte delle forze politiche di maggioranza, evidenziare alcuni dei numerosi problemi già emersi nelle audizioni rimasti inascoltati, ribadendo innanzitutto una premessa, quella che nel centrosinistra non si è pregiudizialmente contrari alla scelta del doppio canale formativo. Si è contrari a questa soluzione perché non affronta nessuna delle seguenti questioni fondamentali. La prima è la precocità della scelta che, in attuazione dell'anticipo, porterà alla scelta di un canale o dell'altro praticamente a 13 anni, quando il rischio di condizionamenti familiari, culturali o territoriali può essere prevalente. La seconda è che non emergono dalla legge delega gli strumenti di passaggio dal sistema dei licei a quello di istruzione e formazione professionale e viceversa. Se ci si riferisce, inoltre, alle cosiddette passerelle presenti nel documento Bertagna, la drastica riduzione di risorse e di personale, decisa nella legge finanziaria per il 2003, ne impedisce di fatto la pratica attuazione. La terza questione
è la seguente: la scelta di un doppio canale che funzioni presuppone un equilibrio di scelte da parte degli alunni.
Con la diminuzione dei trasferimenti dei fondi statali per l'acquisto di attrezzature tecniche e scientifiche sembra arduo prevedere un incentivo per entusiasmare gli alunni alla scelta dell'istruzione e formazione professionale che si presenterebbe inevitabilmente come la serie B della scuola. Quale equilibrio di scelte si dovrebbe dunque ipotizzare se fino al corrente anno scolastico in Italia solo il 7 per cento dei ragazzi, dopo aver assolto l'obbligo scolastico, sceglie la formazione professionale anziché il prosieguo degli studi? Il disegno di legge di riforma dei cicli propone un canale parallelo di istruzione e formazione professionale di pari dignità da affidare, secondo il nuovo titolo V della Costituzione, alle regioni che avranno competenza concorrente anche in materia di istruzione.
Di fatto, se non sarà costruito un canale professionale forte e realmente competitivo, si teme che avverrà il passaggio in massa al canale dell'istruzione e cioè dei licei. A tale proposito, il fatto che da oltre un anno si parli di questa divaricazione precoce del sistema ha provocato negli ultimi tempi una notevole ed eccessiva domanda di trasferimenti da parte di insegnanti in ruolo degli IPSIA per il timore di trovarsi in una scuola dequalificata e demotivata come i sindacati hanno opportunamente segnalato.
Inoltre riesce tuttora difficile, soprattutto nelle regioni del nord d'Italia, dove esiste un importante ed autorevole tradizione di formazione professionale, convenzionata con la regione e collaborativa con le associazioni imprenditoriali, ipotizzare programmi coerenti ed omogenei tra questi CFP, attualmente con corsi di durata biennale e docenti e discipline quasi esclusivamente professionali, e gli IPSIA, di fatto nell'ultimo decennio diplomi quinquennali con equilibrio fra materie formative professionali e personale esclusivamente statale.
In effetti dunque questa, che dovrebbe rappresentare l'unica scelta innovativa della riforma che appare confusionaria ed approssimativa, è difficilmente realizzabile in tempi brevi e per i problemi che lo stesso presidente della Conferenza Stato-regioni Ghigo ha bene evidenziato. Pertanto tutto lascia presumere che nel medio periodo si avrà una assoluta liceizzazione delle scelte, con il rischio ulteriore che Ipsia e CFP diventino la serie B e la serie C, umiliando e mettendo in difficoltà proprio quella formazione professionale che funziona.
D'altra parte, che si tratti di una scelta affrettata e riduttiva lo dimostra il fatto che per i portatori di handicap è prevista all'articolo 4 la possibilità di percorsi integrati di istruzione e formazione professionale, ma non presso i licei, dove non risulta sia vietata l'iscrizione di questi alunni.
E ancora una volta, come è frequente in questo progetto di legge, si è persa una buona occasione per essere di livello europeo. Aggiungo un altro nodo fondamentale che è rappresentato dalla proposta di anticipo scolastico a due anni e quattro mesi per la scuola materna e a cinque anni e quattro mesi per la scuola elementare. Non si tratta soltanto dell'infanzia rubata, ma della assurdità presente nel testo circa l'obbligatorietà dell'iscrizione fino al 31 agosto e la facoltatività dell'anticipo a partire dal primo settembre fino al 30 aprile dell'anno successivo. Questo non è mai accaduto in nessun paese europeo: la facoltatività di quasi un anno di scelta porterà il risultato che vi saranno bambini di cinque anni insieme a bambini di sette nelle classi, con quasi due anni di differenza. Pensate al problema degli enti locali e nelle scuole materne per quanto riguarda l'anticipo, le aule del sonno e per il personale ATA che non viene neppure calcolato nella nota tecnica allegata.
Pensate al personale ausiliario di sostegno che la legge finanziaria ha già «tagliato» anche per la richiesta per i disabili che sono stati certificati dalle ASL.
Ma i problemi sulle risorse finanziarie, che costringeranno il provvedimento probabilmente a tornare all'esame del Senato
per gli anticipi, non si limitano ad aspetti formali e educativi. Ricordiamo infatti che i fondi stanziati: 13 milioni di euro per il 2003, 46 per il 2004, 66 per 2005 non sarebbero sufficienti se tutti gli aventi diritto agli anticipi si iscrivessero in massa al prossimo anno scolastico.
Il Ministero dell'istruzione in quell'ipotesi sarebbe costretto a varare una sorta di numero chiuso per i bambini (e, nel caso, con quali criteri), oppure ad alzare il numero medio di alunni per classe. Non è un caso del resto che la Commissione bilancio della Camera abbia richiesto al Governo una relazione tecnica integrativa che dovrebbe essere esaminata solo domani. Cosa dovremmo dire della parità scolastica, dei ritardi negli accreditamenti addirittura del 2001, del fatto che il fondo non è stato accresciuto, dell'aumentare del numero degli enti riconosciuti? Si darà inizio alla guerra tra poveri, ovvero tra istituti che hanno meno fondi e che li richiederanno agli enti locali, che hanno identici problemi di bilancio.
In effetti, l'unico scopo della legge delega è ottenere un rinvio di 24 mesi per verificare l'effettiva riforma, dove viene evitato ogni strumento concertativo e di confronto, di arricchimento del dibattito. Come conciliare o come affrontare il piano programmatico di interventi finanziari previsti entro 90 giorni, con i tagli previsti dalla legge finanziaria 2003? Vogliamo ricordarli brevemente: le diciotto ore obbligatorie di cattedra, dove sono tolti sostegno, recupero scolastico, supplenze; gli organici dei collaboratori scolastici ridotti in un triennio del 6 per cento; l'ampliamento delle funzioni dei collaboratori scolastici all'accoglienza e alla sorveglianza degli alunni, alla vigilanza e all'assistenza alla mensa; il passaggio obbligatorio e il collocamento in pensione dopo cinque anni dei docenti dichiarati non idonei; l'esternalizzazione di tutti i servizi di pulizia e la diminuzione del personale ATA; soprattutto - e questo è grave, per la dichiarazione che il sottosegretario Aprea ebbe a fare in Commissione - la revisione dei criteri per il riconoscimento delle condizioni di portatore di handicap e dei requisiti per la deroga per l'assegnazione dei posti di sostegno.

VALENTINA APREA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Sta nella finanziaria!

ANTONIO RUSCONI. Vorrei ricordare uno scrittore della mia terra, Pontiggia, che in uno splendido libro autobiografico, Nati due volte, ha ricordato che questi ragazzi nascono due volte: la prima è la nascita biologica, la seconda quando impariamo ad amarli. Con questa legge, dopo tutti gli emendamenti sull'handicap e sul disagio che ci avete bocciato in Commissione, vorrei che in aula imparassimo un po' ad amarli.
Infine, vorrei rivolgere alla maggioranza un appello alla riflessione, per modificare e migliorare questa legge, perché in un paese dove si tagliano i fondi per l'università, la ricerca e la scuola si toglie speranza e futuro a questo paese. Provate a rileggere le parole introduttive dell'articolo 1: «Al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell'età evolutiva, delle differenze e dell'identità di ciascuno» - è ciò che dicevo prima sull'handicap - «e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche e secondo i principi sanciti dalla Costituzione» (...). Io vi chiedo: dove troviamo attuato, concretizzato questo nei tagli della finanziaria e di questa supposta riforma? Come restituire motivazioni agli insegnanti che oggi, dall'ultima finanziaria, hanno orari europei e stipendi italiani? Noi avremo solo una scuola più vecchia, anche dal punto di vista anagrafico, con 28 mila posti tagliati nei prossimi tre anni e - cosa che l'onorevole Butti ha dimenticato - col monte ore delle scuole medie, che è l'unico che oggi conosciamo, già tagliato del 10 per cento e, quindi, con altre cattedre che verranno meno con l'attuazione della riforma.
Penso che oggi il paese abbia di fronte a sé due sfide enormi, di grande qualità:
la sfida all'innovazione e alla modernità, che non può essere affrontata con i tagli che avete fatto alla legge n. 440 del 1997, e una sfida ad un di più di educazione. Tanti drammi adolescenziali, a cui assistiamo ogni giorno e di fronte ai quali sentiamo il vuoto delle nostre risposte, ci chiedono una scuola con un di più di educazione, dove non si può continuare ad avere lo psicologo due ore alla settimana per 1200 alunni.
Non vi è nulla che incoraggi ad affrontare queste due sfide, per cui dovremmo parafrasare la sentenza di Seneca, verba rebus proba: i fatti devono provare la bontà delle parole, con questa legge, con questi provvedimenti.

PRESIDENTE. Onorevole Rusconi, la prego di concludere.

ANTONIO RUSCONI. Ho finito, signor Presidente. I fatti ingannano la bontà delle parole e, se non avremo il coraggio di affrontare il tema delle risorse e di modificare il progetto, non perderà il centrosinistra o la legge n. 30 del 2000: sarà sconfitta ed umiliata la scuola italiana e con essa quanti - ed io per anni ho avuto l'orgoglio di essere uno di loro - con passione e competenza hanno profuso energie e intelligenze (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

LINO DUILIO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, ho chiesto di intervenire perché sono rimasto colpito dal fatto che, mentre il collega Rusconi iniziava a parlare, il ministro si è alzato, ha raccolto le sue carte e se ne è andato.

ANTONIO RUSCONI. Perché mi apprezza!

VALENTINA APREA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Non è andata via, è fuori!

LINO DUILIO. Siccome stiamo discutendo di una questione di rilevanza storica - almeno nell'ambizione - oltre a sottolineare e a stigmatizzare un atto di poco garbo, vorrei chiedere al Presidente se, per rispetto non solo del collega, ma anche del Parlamento e delle istituzioni, non ritenga sia il caso di sospendere i lavori per chiedere al ministro - anche se è rappresentato dal sottosegretario - di tornare in aula.

PRESIDENTE. Onorevole Duilio, sono buon testimone. Il ministro Moratti è stata presente in aula fino ad una certa ora. Credo che tornerà perché desidera replicare. Le assicuro che è piuttosto raro che un ministro segua le discussioni sulle linee generali e replichi egli medesimo a quest'ora della notte. Vorrei dare atto di ciò.
In ogni caso, è presente nei banchi del Governo il sottosegretario Aprea. Proseguiamo, dunque, nello svolgimento del nostro ordine del giorno. Dal momento che sto parlando, vorrei, per ragioni umanitarie, sospendere la seduta cinque minuti, poiché è la quarta ora che il vostro Presidente è fisso qui seduto e ha cominciato a presiedere questa mattina presto. Il prossimo collega che interverrà sarà l'onorevole Patarino.

La seduta, sospesa alle 23,15, è ripresa alle 23,20.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Patarino. Ne ha facoltà.

CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, signor ministro, signor sottosegretario, il disegno di legge al nostro esame, che ha già avuto l'approvazione del Senato, nel mese di novembre, riguarda una delle riforme più qualificanti nel programma del Governo e dell'intero Parlamento. Da tempo, nei più diversi ambienti, si parla della necessità di riformare la scuola. Sono in tanti - docenti, alunni, imprenditori, politici, intellettuali e cittadini comuni - a dire che l'Italia ha bisogno di una legge che indichi con chiarezza le cure per guarire la grande ammalata - la scuola - e che offra gli strumenti per rinnovare quella che, sia pure indebolita dalla malattia, resta sempre l'istituzione fondamentale per qualsiasi società civile, rilanciandola in direzione delle attitudini individuali e di un rapporto più stretto sia con il mondo sempre più piccolo che cambia, sempre più vorticosamente, sia con le radici della nostra comune appartenenza.
Sosteneva, più di vent'anni fa, un fine intellettuale e politico di grande serietà e competenza, Nino Tripodi, che, per quante riforme possano essere architettate, di due funzioni primarie non è possibile privare la scuola e l'università: la prima è quella di trasmettere una cultura che faccia conoscere l'uomo a se stesso, nella contestuale conoscenza degli altri uomini e della natura; la seconda è quella di apprestare gli studi che consentano all'uomo di realizzarsi in un lavoro che lo qualifichi come cellula attiva della società. E, per l'una e l'altra funzione, occorrono docenti, strutture ed attrezzature in grado di garantire la formazione dei discenti.
Questa legge ha il grande merito di concludere, in termini assolutamente positivi e con una straordinaria rapidità di esecuzione, un'interminabile e, finora, sterile marcia nella quale la scuola italiana è stata condannata irresponsabilmente a vivere in uno stato di perenne precarietà e, quindi, di crisi sempre più grave, di fatto impedendole di svolgere efficacemente la sua insostituibile funzione, progressivamente, da un lato, astraendola dal mondo concreto che le vive intorno e, dall'altro, pericolosamente allentandone le radici nella straordinarietà della nostra storia millenaria e della nostra cultura.
In quella marcia, troppo spesso dissennata, nulla è stato risparmiato nella nostra povera scuola, fatta oggetto di esperimenti e di violenze di ogni tipo che l'hanno, infine, frustrata e prostrata. In quella marcia, si scagliavano di continuo contro la scuola italiana e, quindi, contro le prospettive della nostra gioventù, utopismi farneticanti e ideologismi preconcetti, che hanno finito per minarne addirittura le fondamenta alimentando lo scoramento e la frustrazione negli operatori ed un'inevitabile sfiducia negli studenti.
Questa lunga e rovinosa follia, finalmente, è finita! Oggi, abbiamo di fronte a noi un disegno di legge che non punta a sconvolgere e, quindi, a distruggere ma, al contrario, consolida ed anche restaura laddove occorra e, al tempo stesso, innova ed ammoderna laddove sia necessario. È un disegno che ha lo straordinario merito della coerenza e della limpidezza e che ribalta, finalmente, quella filosofia dell'appiattimento che ha guidato, finora, tutti i velleitarismi pseudoriformisti, per puntare, invece, sulla valorizzazione della persona, delle sue vocazioni e delle sue abilità in funzione del miglior inserimento possibile del giovane, nel mondo del lavoro, dell'impresa e delle professioni, sulla base delle sue personali attitudini e potenzialità.
Un inserimento che non può partire se non dalle scuole dell'infanzia e delle elementari, dall'ammodernamento complessivo della scuola, che va dalla alfabetizzazione digitale alla padronanza delle lingue straniere. In molti hanno ricordato - soprattutto la relatrice per la maggioranza - i dati dell'OCSE che pongono le scuole italiane, gli studenti italiani, tra i 32 paesi, al ventesimo posto per competenza linguistica, al ventiquattresimo per le scienze, al ventiseiesimo posto per la matematica. E, al tempo stesso, non può non partire dal recupero di un importantissimo presidio pedagogico, il più capace di un rapporto personalizzato e simbiotico con la famiglia e quindi profondo e fecondo con lo scolaro, quale è il maestro prevalente. Un inserimento che non può non proseguire nella scuola secondaria di primo grado nella individuazione delle abilità personali e quindi dell'indirizzo di studio successivo verso il quale proiettare con le migliori possibilità di successo lo studente. Un inserimento che la ripartizione della scuola secondaria di secondo grado in due sistemi di pari dignità, quello dei licei e quello della formazione professionale, concretizza attraverso le specializzazioni e, nel caso della formazione professionale,
un'integrazione immediata operante già all'interno della scuola con il mondo del lavoro.
Contro questa ripartizione sono in campo polemiche antiche - ne abbiamo sentite tante anche questa sera - all'insegna, per esempio, di una visione classista della società, che in realtà si rivelano pretestuose ove si consideri che non soltanto la scelta per l'uno o per l'altro sistema è libera, ma che vige nell'ordinamento proposto il criterio della comunicabilità, con la possibilità di spostarsi dall'uno all'altro.
La verità è che questo sistema rompe i meccanismi dell'appiattimento che hanno risucchiato verso il basso la qualità della nostra scuola, con il risultato non di eguagliare le posizioni di partenza, ma al contrario di perpetuarne le distanze, di fatto impedendo al giovane di origini meno fortunate di superare con le proprie capacità ed i propri meriti il gap iniziale.
Questa riforma avvantaggerà quanti si sentiranno fortemente attratti da tematiche concrete del mondo del lavoro, per i quali la scuola tornerà ad essere un ponte verso la piena estrinsecazione delle loro potenzialità, che sono per la società non meno importanti delle altre e, per chi le detiene, sovente fonte di alte e concrete soddisfazioni. Costoro disporranno di una scuola che interagirà con il mondo delle imprese e del lavoro, cui offrirà risorse umane dotate di competenze reali e di solide esperienze, ponendo il mondo della produzione in condizione di utilizzare tali risorse subito ed al meglio e non più di doversi di fatto sostituire alla scuola stessa con aggravio di tempi e di costi e con danno secco per gli interessati in una attività di formazione tanto più importante in una economia ideologicamente avanzata. Questa riforma avvantaggerà anche quanti hanno invece vocazioni per studi particolari, che potranno disporre di un sistema diversificato di licei finalmente al riparo da tentazioni iconoclaste che pure non sono mancate negli anni passati nei quali gli attacchi alle nostre scuole più prestigiose, come il liceo classico, venivano sferrati da parte di una egemonia culturale che puntava palesemente ad allentare se non a troncare le nostre radici in un attualismo senza respiro; da qui, per esempio, la guerra al latino che è la radice più gloriosa ed universale della nostra civiltà o il superridimensionamento degli studi storici del novecento, letto peraltro nel modo più antistorico, e cioè con la lente deformante della faziosità politica fino alla sostanziale emarginazione di grandi autori, come Manzoni, Foscolo, Leopardi, financo di Dante, provvidenzialmente riscoperto da Benigni, che in questi ultimi tempi ha anche fornito al sommo poeta un preziosissimo salvacondotto all'insegna del politicamente corretto. Processi negativi e devastanti, in atto da tempo, dai quali questa riforma ci deve aiutare e ci aiuterà finalmente ad uscire, all'interno di una ricostruzione delle nostre profondissime quanto vivificanti radici di cui si avverte sempre più la necessità. Anche perché è nella profondità del nostro antico essere molto più che nella superficialità del contingente che possiamo rinvenire le ragioni unificanti, i valori condivisi della nostra nazione.
Questa riforma avvantaggerà, infine, l'intera nostra comunità nazionale, che potrà disporre di una scuola finalmente non più alla deriva, ma fortemente agganciata a quella dimensione europea nella quale dobbiamo imparare a riconoscerci molto di più e a muoverci molto meglio, anche per evitare di soccombere sistematicamente al suo interno per costituzionali difetti di competitività.
Con queste convinzioni, nel ringraziare l'onorevole Angela Napoli per l'ottima relazione, esprimo tutta la soddisfazione di Alleanza nazionale e mia personale per questa legge di altissimo significato civile che possiamo tranquillamente segnare tra le più importanti poste attive di questa legislatura (Applausi del deputato Angela Napoli).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Grignaffini. Ne ha facoltà.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Signor Presidente, se c'è un titolo che forse può esprimere ciò che è accaduto stasera, che sta accadendo in questa lunga seduta notturna dell'Assemblea parlamentare - è curioso; una seduta notturna, quasi deserta, per una questione così importante come la scuola - è: «questa sera si recita a soggetto». Si tratta, infatti, di un titolo che descrive piuttosto bene ciò che è accaduto questa sera nella quale, finalmente - lo dico salutando il fatto con favore -, per la prima volta, dopo giorni e giorni, durante i quali, in Commissione cultura, la maggioranza è rimasta muta di fronte alle osservazioni, alle proposte, agli interventi dell'opposizione, la maggioranza si è scatenata ed ha manifestato la propria interpretazione di questa legge delega. Il collega Butti di Alleanza nazionale ha detto che è una barriera contro la devolution, che dice una parola chiara nei confronti della devolution; la collega Bianchi Clerici ha detto che, finalmente, con questa riforma si accentua il carattere del decentramento e della devoluzione, quindi si va oltre il dettato della revisione dell'articolo 117 della Costituzione; il collega Garagnani è entrato in conflitto anche con se stesso definendo e facendo intravedere, attraverso una serie di anatemi nei confronti dei docenti, degli studenti, forse anche dei genitori, il fatto che la situazione della scuola ci mette di fronte ad una sorta di guerra civile e potremmo continuare nell'elencazione.
Ogni esponente della maggioranza, stasera, qui, è venuto a ritagliarsi il proprio spazio di interpretazione: operazione legittima, operazione dovuta; forse si poteva fare anche prima. Soprattutto, è una recita che, per quanto mi riguarda, è resa possibile dall'ambiguità, dalla non chiarezza, dal contravvenire in radice al principio stesso della delega che questa legge di riforma mette in campo.
Lo abbiamo detto mille volte in Commissione, lo abbiamo ripetuto con la pregiudiziale: siamo di fronte ad una legge delega che dice e non dice, non detta norme e principi generali vincolandoli a principi precisi e ad indirizzi ma è talmente generica nella sua articolazione che contravviene al principio stesso cui devono uniformarsi, per l'appunto, le deleghe; principi che vengono enunciati in maniera generica ed entro i quali, appunto, può vivere di tutto e di più: la devolution e il contrario della devolution. Non a caso, questa recita è diventata una specie di farsa quando la maggioranza, manifestando tutte le proprie perplessità nei confronti di molti punti di questa delega, ha detto che le tradurrà in ordini del giorno, cioè, vale a dire, non c'è stato il coraggio politico di esplicitare con posizioni nitide e con emendamenti chiari le varie questioni in gioco.
Tuttavia, credo, che al di là di tutto ciò, questa legge avrà un percorso difficile, ministro Moratti, in primo luogo per le questioni pregiudiziali che noi abbiamo sollevato oggi, la prima delle quali sostiene che non c'è chiarezza tra il principio federale introdotto già nella Costituzione, il principio della devolution e il restringimento rispetto alle competenze ormai maturate da parte delle regioni che questa delega introduce. È vero che noi qui ci troviamo di fronte a norme generali ma queste norme generali, ministro, saranno rese attuative da decreti e regolamenti che il Governo, attraverso questo provvedimento, assumerà per delega.
Dunque, in quei decreti e regolamenti saranno espulse dal processo legislativo decisionale proprio quelle regioni che, invece, vantano ormai una competenza concorrente nelle materie disciplinate. Si tratta, quindi, di un conflitto che dovrete prima o poi sciogliere e che comunque darà luogo ad una serie innumerevole di ricorsi, innanzitutto da parte delle regioni ma, credo, anche da parte delle singole istituzioni scolastiche che hanno visto già specificato in Costituzione, con la riforma dell'articolo 117, il principio della loro autonomia.
Pertanto, con quelle norme generali che dettano regole più specifiche e dettagliate per i corsi di studio e l'organizzazione scolastica - è vero che ciò non lo dite esplicitamente - attribuite al Governo, attraverso la delega, con nessun passaggio parlamentare se non quello di un parere non vincolante, la possibilità di normare la
materia in oggetto. Dunque, la non costituzionalità è in radice e, nello stesso tempo, è virtuale, cioè non è ancora attualizzata; essa, però, è posta nelle premesse e nell'articolazione stessa del vostro provvedimento.
Un altro macigno che ingombrerà la strada di questa riforma è rappresentato dal fatto - ciò lo si può leggere molto più esplicitamente, rispetto a quanto la riforma dice e non dice, nel parere reso dal Comitato per la legislazione - che in essa non si parla mai né di Repubblica né di obbligo scolastico. Non vi è mai un soggetto che deve essere il primo attore, l'attore principale dei processi, delle articolazioni, delle prestazioni, delle offerte che vengono messe in campo; non è la Repubblica il soggetto fondante dell'insieme di percorsi che voi qui individuate, ma vi è sempre un generico «si deve», «si dovrà», «si potrà».
Chi sta dietro queste forme generiche? Dove è la funzione della Repubblica nel fatto di dover garantire - ecco l'altra questione - il famoso obbligo scolastico? Non è un caso, allora, che anche la parola «obbligo» scompaia dalla vostra riforma, perché, appunto, essa implicherebbe un impegno, un'assunzione di responsabilità, sia da un punto di vista economico sia da un punto di vista progettuale, legislativo e regolativo, da parte di un soggetto preciso che invece, nel testo, non viene mai nominato.
Aggiungo un altro fatto direttamente connesso alla questione dell'obbligo, un altro macigno che secondo noi rallenterà, o quanto meno renderà disagevole, il cammino di questa riforma che voi vi apprestate ad approvare tra questa sera e domani; mi riferisco alla copertura finanziaria, della quale hanno già parlato molti colleghi, e sulla quale, brevemente, intendo però soffermarmi. La collega Angela Napoli ci ha ricordato la deliberazione del Senato; i rilievi della Commissione bilancio erano già stati sollevati anche in quella sede. In quell'occasione si trovò come escamotage il fatto di ricorrere, per la copertura, alla legge finanziaria 2002, allora in discussione al Senato, quando pure lì si esaminava la presente riforma. Ovviamente, la possibilità per il presente testo di essere approvato al Senato è stata vincolata al fatto che, ad esame della legge finanziaria in corso, era possibile prevedere - appunto nella finanziaria - una copertura; questo provvedimento, infatti, non individua una posta economica sicura e certa alla quale attingere, ma rinvia alle leggi finanziarie per poter coprire i costi connessi alla riforma.
Dunque, il 2002, che è la data rimasta nella norma sottoposta alla nostra attenzione, designa lo stato dei lavori al Senato. Questa è la ragione per cui, essendo riportata oggi nel testo la data del 2002 (lo sappiamo tutti, anche se state cercando di nasconderlo), questa legge dovrà ritornare al Senato. Infatti, il riferimento alla legge finanziaria per il 2002 è reso inattuale dal fatto che ormai quest'ultima è consegnata alla storia ed in essa, ministro Moratti, non sono previsti i fondi per questa riforma.
Dunque, questa riforma non ha i fondi e, per questo motivo, è vincolata a questo pregiudizio di carattere economico-finanziario che la renderà del tutto inapplicabile e, dunque, la trasformerà in una sorta di manifesto, in una sorta di bandiera da sventolare sul mondo della scuola, sapendo voi perfettamente che la sua capacità di tradursi in provvedimenti e in procedure di carattere più stringente sarà del tutto virtuale.
Per tutte queste ragioni, vi invitiamo ancora una volta - ve lo abbiamo proposto in Commissione e nei dibattiti anche attraverso i nostri emendamenti - a sospendere l'esame di questo provvedimento. Fermatevi un attimo: questo provvedimento dovrà comunque tornare al Senato. Se è così, la fretta con cui avete imposto questa calendarizzazione e la fretta con cui avete regolamentato il dibattito (domani avremo a disposizione cinque ore per concludere l'esame del provvedimento) vi sembrano ragionevoli rispetto alla portata, al senso, alla caratteristica di un provvedimento come questo? Fermatevi, riflettiamo ancora. Non ve lo diciamo solo noi, ma ve lo hanno chiesto anche tutti
coloro che sono intervenuti nelle audizioni in Commissione. Il mondo della scuola, i sindacati, le organizzazioni sociali hanno assunto il nostro stesso atteggiamento. Essi hanno invocato un confronto, l'idea di poter mettere in campo un percorso condiviso, di ascoltare maggiormente la voce della scuola, delle forze politiche, economiche e sindacali, in nome di una regola elementare: la scuola è un bene troppo prezioso e comune per renderlo oggetto di scorribande politiche, come invece voi di fatto state facendo.
La storia della scuola ci parla di un percorso di autoriforma, di sperimentazione e di innovazione rispetto a cui i provvedimenti legislativi sono stati la forma intelligente di interpretazione ed accompagnamento. Non vi sono state rotture traumatiche nel percorso di sviluppo del sistema scolastico nazionale; vi è stata una scuola che ha inventato, sperimentato e progettato nel vivo rapporto tra docenti, ricercatori, genitori e studenti. Questa è la realtà del mondo della scuola, un mondo che si autorinnova e di cui la politica deve tener conto nel momento in cui definisce le procedure, i modi e le forme per accompagnare, rendere visibile e stabile e rilanciare questo processo.
Affermando che questo processo si interrompe e dicendo «adesso arrivo io: ghe pens mi», di fatto avete già ottenuto un esito negativo. Avete gettato nel disorientamento la comunità scolastica, i docenti e gli studenti e nell'incertezza le famiglie che non sanno più qual è la scuola che si sta configurando sotto i loro occhi. Vi è una legge che - se diamo ascolto ad un famoso opuscolo diffuso in centinaia di migliaia di copie da questo Governo - dà già per acquisita questa riforma da mesi, mentre - per fortuna dico io - siamo ancora qui a discutere ed il cammino non è ancora ultimato.
Gettate il mondo della scuola nell'incertezza e quest'ultima è il grande pericolo del nostro tempo. L'incertezza, infatti, genera paura, chiusura, voglia d'ordine ed anche, forse, voglia di tornare indietro.
Non so se con gli effetti annuncio sulla riforma già attuata e che, invece, ancora materialmente non c'è nei suoi esiti di fatto vi stiate rivolgendo alla parte più vecchia e corporativa del mondo della scuola richiamandola ad antichi messaggi, ad antiche illusioni.
Noi abbiamo proposto emendamenti, abbiamo discusso, posto problemi. Voi avete sempre parlato di confronto: di fatto tale confronto si è ridotto ad un puro esercizio formale e retorico, visto che nessuno degli emendamenti proposti dall'opposizione è stato preso in considerazione e nessuno degli emendamenti nell'animo della maggioranza ha visto la luce. Eppure, vi erano molte ragioni per avviare davvero il suddetto confronto.
La prima parte della relazione della relatrice per la maggioranza è, a nostro avviso, ampiamente condivisibile (mi riferisco a quando si analizzano i problemi della scuola). Si tratta della questione ancora drammatica della dispersione scolastica, dell'esigenza di dare efficacia al sistema, dei dati non del tutto confortanti sull'obbligo scolastico, dell'idea che ci stiamo avviando verso una società del sapere e della conoscenza, della risoluzione di Lisbona del Consiglio d'Europa, del libro bianco dell'Unione europea che ci dicono: sapere e formazione sono risorsa strategica delle nostre società. Siamo d'accordo, condividiamo, perché questi sono i luoghi di formazione della cittadinanza, della democrazia, ma anche della competitività di ogni paese.
La Commissione europea ed il Consiglio d'Europa sono pronti a stabilire un piano straordinario di investimenti ai paesi membri ed invitano questi ultimi a fare altrettanto invertendo il rapporto tra PIL e spesa per l'istruzione. Invitano gli Stati membri a mettere in atto, anche attraverso finanziamenti europei, atteggiamenti virtuosi che portino sempre più risorse nella scuola.
Quindi, vi è una comune consapevolezza di un processo di cambiamento necessario, graduale e condiviso. Noi Democratici di sinistra siamo convinti delle indicazioni della Commissione e del Consiglio d'Europa. Ne siamo convinti perché esse ripetono convinzioni, valori ed un
sentire comune della sinistra secondo cui la scuola non è, e non è mai stata, oggetto, magari residuale, di politiche di settore. La scuola è l'oggetto centrale e strategico di ogni analisi, di ogni proposta, di ogni ispirazione di tutte le politiche: le politiche delle priorità, delle energie, delle risorse.
Nella nostra agenda politica la scuola è al numero 1 per molti fattori. Innanzitutto, perché essa definisce la tenuta del tessuto sociale, luogo primario dell'integrazione e del confronto, aperto alla multiculturalità. Ciò tanto più in una fase come questa attraversata dall'ansia, dalla paura, dall'incertezza, dallo scontro e dalle sfide culturali che ci impongono il confronto con altre culture. Multiculturale, certo, muovendo dalla convinzione che ogni cultura generi il proprio barbaro, cioè il proprio nemico e che il dialogo tra culture sia tanto più importante in quanto unica civile forma di prevenzione dei conflitti. Ciò è molto diverso da quell'idea di guerra preventiva in cui, invece, si esercita lo spirito incivile e guerriero della cultura occidentale identitaria, cioè il punto in cui la cultura occidentale ha dato il peggio di sé nel novecento, il luogo in cui la cultura occidentale si presenta come forma malata.
Stasera in quest'aula ho sentito richiami che andavano in questa direzione: confronto, multiculturalismo, ma anche giustizia sociale, cioè pari opportunità per tutti, contro ogni discriminazione; scuola, come elemento centrale strategico, in quanto spazio della libertà. E anche su questo, intendiamoci, per noi libertà vuol dire costruzione delle condizioni che rendono possibile l'esercizio della libertà individuale, secondo l'equazione in base alla quale più sapere equivale a più libertà. Per voi invece libertà è la scelta dei genitori di decidere in quale scuola mandare i loro figli. I giovani, la cui libertà difendete prima della nascita, definendo lo statuto giuridico dell'embrione, diventano un soggetto non più portatore di diritti, nel momento in cui la libertà è unicamente la libertà della famiglia di decidere se anche il ragazzo dovrà seguire il destino di cultura «confessionale» determinato dalla cultura della famiglia di origine.
Per noi libertà è in questa accezione: come costruzione delle condizioni che rendono possibile l'essere libero dei giovani: l'essere libero dalle proprie condizioni materiali di partenza; l'essere libero, attraverso la consapevolezza di poter scegliere e costruire la propria vita, sia nella scelta del canale formativo appropriato, sia nelle scelte più impegnative che riguardano la propria attività civica di socialità ed anche la propria vita affettiva. Ma la scuola come elemento centrale strategico anche per la competitività di un paese, secondo l'equazione in base alla quale una società che sa è una società che vale, nella convinzione però che questa competitività è legata al fatto che l'innovazione e le tecnologie incorporano una forma di sapere che implica prima di tutto una nuova disponibilità al cambiamento e all'accrescimento culturale continuo, che nessun sapere costituito o precostituito sarà in grado di garantire.
È per tutte queste ragioni che anche a noi, colleghi della maggioranza, interessa l'efficacia di questo sistema, così come ci interessa che in questo sistema vi siano molte risorse e che allo stesso tempo non vi siano sprechi. Infatti, ogni risorsa buttata al vento è un'opportunità in meno per un ragazzo e per noi la regola, l'obiettivo al quale la scuola deve rispondere è: non uno di meno. Voi invece fate il ragionamento esattamente opposto: partite dall'economia, dicendo che la scuola italiana costa troppo e che ha una spesa troppo vincolata, in particolare per quello che riguarda il personale docente e non docente e così decidete di risparmiare proprio sulla scuola. Vi erano anche tanti altri campi sui quali risparmiare: dalle rogatorie al calcio, alle assicurazioni, ma voi avete scelto la scuola, con l'idea appunto che i servizi possano diventare degli optional e che la scuola, così come la sanità, non siano diritti sanciti dalla Costituzione.
Vi sono dunque una serie di scelte, che certo non sono esplicite in senso proprio in questo disegno di legge, ma che voi
avete già consegnato al nostro paese con le Finanziarie, con i decreti, con i vari provvedimenti e che in qualche modo vengono portate a compimento da questo disegno di legge, laddove si esplicitano alcuni principi ispiratori che sottendono appunto a questa logica, cioè all'idea che la scuola di qualità per ciascuno e per tutti, che l'obbligo scolastico e la sua estensione, che la formazione continua (ed anche una scuola che attraverso l'innovazione e la sperimentazione sappia coniugare qualità di massa ed eccellenza) siano per voi un lusso che questo paese non si può permettere.

PRESIDENTE. Onorevole Grignaffini, la invito a concludere.

GIOVANNA GRIGNAFFINI. Concludo, Presidente.
Dunque, non cercate l'efficacia del sistema, ma un risparmio generalizzato, indiscriminato, che ci consegna una scuola più povera e senza futuro. Infatti, con le vostre politiche, costruite un primo sistema duale, sul quale il sistema duale dell'istruzione e della formazione si inserisce con una seconda catena. Il primo sistema duale che costruite riguarda l'idea di un'offerta formativa ridotta e dequalificata per molti e un'offerta formativa di eccellenza o qualificata per pochi, offerta ovviamente a pagamento.
L'idea che si possa scindere qualità di massa ed eccellenza, creatività, sapere, ricchezza dei molti e perpetrazione politico-culturale dei pochi è contraria, contraddittoria ed incapace di rispondere alle grandi sfide che il nostro paese ha di fronte. Proprio dalla mescolanza di questi due livelli, dalla possibilità di incrociare queste varie potenzialità può nascere quella risposta all'altezza dei tempi di cui la nostra scuola e il nostro paese hanno bisogno e che voi, invece, con la vostra logica di taglio, risparmio, divisione, non saprete certo offrire alla nostra nazione (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bimbi. Ne ha facoltà.
Onorevole Bimbi, le ricordo che del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo è iscritto a parlare anche l'onorevole Squeglia e che il tempo complessivamente a disposizione di entrambi è di 14 minuti.

FRANCA BIMBI. Signor Presidente, signor ministro, signor sottosegretario, colleghi, certo l'ora è molto tarda, quindi cercherò di fornire abbastanza velocemente l'idea della distanza culturale esistente tra il progetto che stiamo discutendo e la nostra prospettiva.
Infatti, questo testo intonso potrebbe far pensare che l'opposizione ha trovato perfetta la proposta. In realtà, il testo senza nessun cambiamento implica una grandissima distanza, oltre alla violenza della non accettazione di nessun cambiamento nemmeno su aspetti sui quali, pure nella sostanza dei limiti, ci trovavamo d'accordo.
Esiste, davvero, una distanza di tipo culturale che viene da lontano. La scuola, come tutto il sistema formativo, sino all'università e alla ricerca, ha già fatto le spese dei restringimenti di finanziamenti e di autonomia sia nelle due finanziarie passate sia in diversi provvedimenti ad hoc.
In particolare, per la scuola gli interventi del Governo sembrano voler porre un alt a quel processo di riforme che, pur in maniera oscillante, ha segnato in positivo la storia italiana degli ultimi cinquant'anni, soprattutto dagli anni '60 in avanti - dal primo centrosinistra, per intenderci -, secondo un percorso spesso discontinuo e accidentato, ma nei suoi momenti migliori chiaramente orientato da alcuni obiettivi, almeno 4, non sempre certo virtuosamente concordi.
Il primo obiettivo è quello dell'innalzamento del livello di istruzione, che non troviamo in questo disegno di legge. Il secondo è costituito dallo sviluppo di una formazione scolastica e professionale coerente con le sfide culturali e professionali di una società complessa, in ordine al quale nel presente provvedimento troviamo abbastanza segmentazione e banalità. Il terzo obiettivo è quello della ricerca
di approcci pedagogici e di una strumentazione didattica volta a rendere la scuola più rispettosa dei processi di crescita degli allievi e, allo stesso tempo, più produttiva rispetto all'acquisizione di conoscenze e competenze.
Il quarto riguarda la valorizzazione della professionalità degli insegnanti e delle capacità di autorganizzazione della comunità scolastica. E, in particolare, mi soffermerò sugli insegnanti.
Però, il perseguimento di questi obiettivi ha avuto un presupposto di approccio epistemologico e politico comune ai pezzi e ai momenti più felici del processo riformatore scolastico del paese, costruito anche attraverso confronti aspri ma mantenuti all'interno del quadro condiviso della Costituzione della Repubblica, in sintesi volto a costruire una scuola capace di produrre mobilità sociale per i singoli cittadini, ciò di cui non c'è quasi traccia in questa proposta, e a dare un senso collettivo di integrazione e coesione sociale tra i diversi ceti sociali, i differenti modelli culturali, i molteplici riferimenti ideologici tra la scuola, le giovani generazioni, le famiglie e la società tutta: una scuola pubblica in una società pluralista, pensata in base al vincolo dell'implementazione dell'istruzione come bene pubblico non mercantile e non da mercanteggiare. Questa prospettiva ha voluto sconfiggere, e in parte c'è riuscita, la scuola di matrice gentiliana delle vestali della classe media, apparentemente meritocratica, in realtà sede di spreco di capitale umano e intellettuale, spesso contesto di umiliazione per chi era portatore di modelli culturali e di modalità di conoscenza non conformi.
Non possiamo dire che la scuola italiana sia sempre stata all'altezza di queste sfide né in passato né in tempi recenti. Il sistema di istruzione in ogni società è al centro di un conflitto attorno alla riproduzione culturale di atteggiamenti e di valori e alle modalità di formazione e di utilizzazione del capitale umano. Tuttavia, di fronte a nuove problematiche poste dall'accelerazione delle conoscenze, dalla mondializzazione dei processi di trasferimento delle medesime e dalla frammentazione delle coerenze identitarie, il segno di una continuità nel disegno riformatore del sistema educativo si ritrova nella definizione del sistema pubblico integrato voluto dalla legge di parità dell'Ulivo e nello spirito della riforma voluta dalla legge n. 30 del 2000, al di là delle soluzioni tecniche prescelte, che talvolta, forse, peccavano di un eccesso illuministico.
Però, al contrario, la pretesa riforma qui in discussione nega lo spirito di una tale prospettiva di scuola per una democrazia progressiva e, perciò, non è soltanto sui suoi aspetti tecnici che dobbiamo soffermarci. Essa consegna la società italiana ad una opzione di scuola verticalizzata nel disegno gestionale, irrigidita in quello organizzativo, impoverita, banalizzata e orientata all'autoritarismo sul piano pedagogico, segmentata su quello sociale, mortificata per quel che riguarda la professionalità degli insegnanti. Inoltre, questo disegno si copre ideologicamente con il richiamo, per buona parte retorico, ad un comunitarismo e ad una sussidiarietà che, lungi dal riconoscere la reale consistenza delle sinergie tra scuola, famiglie e comunità locale, tende a sminuire soprattutto l'autorevolezza dei docenti, vale a dire di quelle figure di adulto significativo che avrebbero bisogno di essere adeguatamente supportate e riconosciute nei confronti di generazioni più giovani, con cui si fa fatica a trovare rispondenza comunicativa.
Questa premessa delinea anche il contesto in cui si colloca il testo di legge e, in particolare, l'articolo 5 relativo alla formazione degli insegnanti. Già da quest'anno il dirigente scolastico si è trovato definito in un ruolo di capo ufficio piuttosto che di sintesi organizzativa ed educativa del progetto scolastico, costretto com'è a tagliare servizi e a mortificare le esperienze più innovative o, persino, l'integrazione dei diversamente abili. Gli insegnanti, d'altro canto, si trovano ristretti in diciotto ore che consentono quasi soltanto il metodo della lezione frontale, già inadatta da sola a sollecitare le curiosità intellettuali degli studenti di cinquant'anni fa, che eravamo noi.
In sintesi, quello che critichiamo in questo testo di legge è, prima di tutto, il clima morale di riduzione della relazione pedagogica all'addestramento cognitivo e all'inculturazione normativa in cui si vuole immergere nuovamente la scuola italiana. Questo ci sembra più negativo dell'ingegneria specifica con cui si ridisegnano i cicli e i modelli organizzativi dell'istruzione e della formazione dei professori. A questo proposito, sarebbe utile analizzare con attenzione i documenti ministeriali che definiscono, ad esempio, il profilo educativo culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo, come pure le indicazioni nazionali per i piani personalizzati delle attività educative per la scuola d'infanzia e primaria, come pure le relative raccomandazioni.
Si tratta di documenti rivolti a dirigenti ed insegnanti e per questo corollari non secondari di ciò che stiamo qui discutendo. Dovremmo leggerli bene per renderci conto del fatto che agli insegnanti italiani viene proposto uno stile professionale orientato soprattutto al riempimento delle teste sul piano dell'apprendimento e alla proposizione di contenuti eteronomi su quello morale-educativo con scarsissima attenzione alla sollecitazione critico-riflessiva di fronte alle differenze culturali o al riconoscimento delle risorse di pluralismo culturale che significa: il mondo nel quale viviamo, il nostro mondo, è uno solo dei mondi possibili. Su questo si fonda la comunità in cui viviamo, ieri come oggi; solo che oggi è più visibile. D'altra parte manca in questi documenti l'ispirazione al dubbio metodico che dovrebbe essere tipico della formazione scientifica.
Questi elementi critici, se attentamente considerati - non c'è il tempo per approfondire - mettono in luce la reale prospettiva revisionista del disegno di legge in discussione rispetto a tutto il percorso riformista coperto in cinquant'anni della scuola della Repubblica. Quali docenti nella scuola del futuro? In realtà, la proposta in discussione non tiene conto delle esperienze sin qui fatte, né con la laurea in scienza della formazione primaria, né con le scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario, mentre sceglie, in particolare per l'insegnamento del secondo ciclo, la strada stretta di una laurea specialistica con preminenti finalità di approfondimento disciplinare tra i tre modelli possibili, scegliendo quello con il vincolo più rigido che limita maggiormente la professionalizzazione dell'insegnamento e che contrasta sostanzialmente con i modelli europei.
Al di là delle formule tecniche, non c'è dubbio che per la formazione degli insegnanti c'è bisogno che ci sia una riflessione epistemologica sulla disciplina ...

PRESIDENTE. Onorevole Bimbi, vi sono quattro minuti residui. Ogni secondo che parla in più, lo toglie all'altro oratore.

FRANCA BIMBI. C'è bisogno di un'integrazione tra conoscenze disciplinari specifiche e conoscenze psicopedagogiche: questo manca assolutamente e lo vedremo nei prossimi giorni con gli emendamenti. Voglio finire molto semplicemente ricordando un documento della Commissione europea di madame Reading che si riferisce all'educazione, alla formazione e alla cultura orientate verso la coesione sociale che non può esistere senza la tolleranza e il rispetto delle culture degli altri, quello che forse è mancato nella discussione tra di noi (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Tocci, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Squeglia. Ne ha facoltà.

PIETRO SQUEGLIA. Signor Presidente, all'indomani del Consiglio dei ministri che approvò il disegno di legge delega sulla riforma della scuola, Berlusconi ebbe a dire che si trattava di una operazione strategica, una riforma organica di tutta la scuola, aggiungendo che si trattava di un intervento che dopo la riforma Gentile si attendeva da molti anni. Sicuramente per chi vive i complessi problemi del mondo della scuola questi apparvero annunci pubblicitari. Sicuramente, frasi ad effetto per chi ha consapevolezza che la scuola è un'istituzione dove si promuove la crescita e lo sviluppo dell'uomo chiamato a vivere e a convivere in un preciso contesto storico politico ed economico. Sicuramente, slogan per chi ha la consapevolezza che nella scuola si gioca il destino delle persone, il destino e il futuro di un popolo. Ma questo non è il punto di vista del Premier e del suo Governo. Il testo della proposta che abbiamo in esame, oltre ad avere impedito l'applicazione della riforma varata dai governi del centrosinistra, non contiene in fondo delle particolari novità: gli ordini e i gradi restano gli stessi, la scuola superiore viene solo riarticolata; per le altre cose, oscilla tra fumosità, genericità e contradditorietà. Quindi, appare non comprensibile enfasi del capo del Governo. Ma all'interno della riforma c'è un punto preciso nel quale si condensa tutta la politica e la cultura di questo Governo e partendo dal quale si può anche comprendere l'enfasi berlusconiana sull'argomento.
Con il provvedimento in esame questo Governo cerca di raggiungere un obiettivo molto preciso: mettere mano al sistema scolastico e, particolarmente, alla formazione professionale per adeguarla alle esigenze del mercato del lavoro, dell'impresa e del mondo economico. Questa è l'idea di fondo, un'idea di ordine economico non pedagogico. In questo provvedimento, i soggetti non sono la scuola, gli alunni, gli insegnanti, le famiglie, ma questi ultimi sono strumenti rispetto al soggetto vero che è l'impresa e l'economia. Questo progetto di riforma nasce, quindi, non da un'esigenza pedagogica, ma da un'esigenza politica, quella di definire il rapporto tra il sistema della formazione professionale ed il sistema istruzione. È un problema delicatissimo e fa male chi sottovaluta la questione. L'iniziativa, d'altra parte, non è estemporanea, ma nasce da lontano: affonda le sue radici in una cultura ed in una sensibilità ben precise. Sicuramente, esiste un grande problema, quello del rapporto tra scuola e società. Sappiamo bene che si tratta di un argomento, tanto fondamentale, quanto delicato, che richiede un'ampia riflessione ed il coinvolgimento di intelligenze e di professionalità specifiche. Su questo argomento vi è chi non va tanto per il sottile, chi ha idee fin troppo chiare. La tavola rotonda europea degli industriali (ERT), il potente gruppo di pressione padronale presso la Commissione europea, ha pubblicato nel lontano gennaio 1989 un rapporto dal titolo: «Istruzione e competenza in Europa». Vi si possono leggere frasi come quella secondo cui l'istruzione e la formazione sono considerate come investimenti strategici, vitali per il successo dell'impresa. Inoltre, si lamenta che l'industria ha soltanto una modestissima influenza sui programmi didattici. In un nuovo rapporto del 1994 si precisa che la responsabilità della formazione deve, in definitiva, essere assunta dall'industria, poiché sembra che nel mondo della scuola non si percepisca chiaramente quale sia il profilo dei collaboratori di cui l'industria ha bisogno; inoltre, secondo tale rapporto, l'istruzione deve essere considerata come un servizio reso al mondo economico. In questo contesto, ci rendiamo conto dell'enfasi del Premier e del perché attribuisce una valenza strategica a questo provvedimento. Ci rendiamo conto che ci troviamo di fronte ad un preciso modo di concepire l'istruzione e l'educazione; essa è ritenuta come elemento strumentale rispetto al mondo del lavoro, alle imprese e alle richieste del mercato. Ci rendiamo conto che, sotto questo punto di vista, la proposta della Moratti è veramente una riforma, o meglio l'avvio di una grande controriforma, un'inversione di tendenza rispetto alla linea evolutiva che la scuola italiana ha avuto dall'unità d'Italia ad oggi.
Pur partendo da premesse politiche, filosofiche e pedagogiche diverse, le leggi che si sono avute in questo campo sono andate sempre nella direzione di una scuola che allargasse gli spazi dei diritti di libertà e di uguaglianza: si pensi all'obbligo scolastico, all'istituzione della scuola media, al grande processo dell'autonomia
iniziato negli ultimi anni e non ancora portato completamente a termine. Nella proposta Moratti, partendo da una cultura individualistica, privatistica e mercantile, si opera nella scuola con un criterio economico e funzionalista; si parte dalle richieste del mercato, si stabilisce un piano di studio ad esso funzionale e lo si cala sulle persone.
Chiedo alla Presidenza l'autorizzazione alla pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna delle considerazioni integrative al mio intervento.

PRESIDENTE. La Presidenza la autorizza secondo i consueti criteri.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 3387)

PRESIDENTE. Ricordo che sia il relatore per la maggioranza, onorevole Angela Napoli, che il relatore di minoranza, onorevole Titti De Simone, avrebbero esaurito i tempi a loro disposizione.
Do ad ogni modo la parola al relatore per la maggioranza, onorevole Angela Napoli, che intende svolgere una breve considerazione.

ANGELA NAPOLI, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, non replico però ritengo doveroso dare spazio, anche se l'ora è tarda, al ministro Moratti ringraziandola e riconoscendo che, forse, è l'unico ministro di questo Governo ad avere avuto tanta pazienza rimanendo con noi in un'aula pressoché deserta, dimostrando, certamente, di avere a cuore e di credere fermamente in questa riforma, forse - lasciatemelo dire - anche perché è una donna.

PRESIDENTE. L'avevo fatto anch'io, onorevole Napoli, ma se calca troppo la mano sembra una critica a tutti gli altri ministri. Non vorrei allargarmi a tanto. Comunque la ringrazio, avevo già espresso questa attenzione in sua assenza.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LETIZIA MORATTI, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Signor Presidente, gentili onorevoli, vorrei, in primo luogo, rivolgere un ringraziamento alla VII Commissione, che ha preparato con competenza e grande serietà i lavori per l'Assemblea, nonché a tutti i deputati che sono intervenuti in questo dibattito, in maniera particolare alle relatrici di maggioranza e di minoranza, onorevoli Angela Napoli e Titti De Simone.
Le questioni che sono fin qui emerse, grazie a tutti gli interventi, mi consentono di richiamare le ragioni di fondo che ci hanno portato al disegno di legge di riforma che oggi discutiamo, dopo un approfondito esame anche al Senato. Al di là delle divergenze e delle diverse opinioni dettate da un confronto di tipo politico, mi auguro che il Parlamento ed il paese possano riconoscersi nei principi, nei valori di fondo che ispirano questo disegno di legge. Vorrei ricordarlo anche perché il suddetto provvedimento si richiama fortemente al lavoro parlamentare lungo ed al dibattito molto ampio che vi è stato nella scorsa legislatura, in maniera particolare anche con riferimento ai principi contenuti nella legge n. 30 del 2000.
In questo senso vorrei rassicurare l'onorevole Titti De Simone: possiamo avere visioni diverse sui mezzi e sugli strumenti per realizzare la riforma del sistema scolastico, ma credo che possiamo riconoscerci nelle finalità generali del sistema, quelle che lei stessa ha definito, facendo riferimento al valore di una scuola finalizzata al massimo sviluppo della persona, all'affermazione del valore universale del concetto di diritto allo studio, affinché sia garantito a tutti e a tutte l'accesso al sapere nei suoi punti più alti e per tutto l'arco della vita.
Credo ci si possa anche naturalmente riconoscere nell'importante obiettivo dell'integrazione europea che l'onorevole Angela
Napoli, relatrice per la maggioranza, ha sviluppato ampiamente, in modo particolare arricchendo il dibattito di quegli elementi di comparazione tra i diversi sistemi europei, richiamandoci anche al rispetto di un confronto dialettico che, anche in sede europea, sta avvenendo.
Credo che, in merito a tale aspetto, ciascun paese naturalmente potrà e dovrà mantenere la propria identità culturale e nazionale, ma non si potrà rinunciare ad individuare strategie di convergenza sull'efficacia e sugli esiti dei percorsi di istruzione e formazione e ciò non solo per garantire effettivamente una reale mobilità professionale all'interno della nuova Europa, ma soprattutto perché, senza una nuova cultura europea, sarà molto difficile costruire l'Europa politica.
Le scelte contenute nel disegno di legge hanno tenuto conto di questi scenari, sempre però partendo dalla tradizione culturale e pedagogica, dalle nostre radici classiche, cristiane e umanistiche che pongono al centro del sistema scolastico la persona umana e ci portano a riaffermare l'importanza del patto educativo con le famiglie.
Sul piano organizzativo ed ordinamentale, abbiamo dovuto declinare questi principi con vincoli conseguenti alle modifiche costituzionali introdotte dalla legge n. 3 del 2001. Questa legge ha, infatti, modificato sostanzialmente la natura e la struttura delle decisioni legislative dello Stato che, d'ora in avanti, dovrà stabilire esclusivamente i principi generali e le norme fondamentali del sistema ai quali si dovranno necessariamente ispirare le legislazioni delle autonomie locali.
È per tali motivi che abbiamo quindi incluso i livelli essenziali di prestazione del sistema di istruzione e formazione professionale e così facendo abbiamo inteso assicurare, sia pure in un sistema diverso, in un sistema pluralistico di decisioni, l'unitarietà e la pari dignità degli standard e degli obiettivi di tutti i percorsi del sistema formativo a garanzia di tutti i cittadini.
La complessità del nuovo quadro istituzionale ci ha portato a fare ricorso allo strumento della legge delega per garantire successivamente, nella fase di decretazione delegata, il massimo coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti in materia. Ricordo peraltro che lo strumento della legge delega è stato ampiamente utilizzato negli interventi di riforma scolastica fin dagli anni settanta e più recentemente anche nella scorsa legislatura.
La legge delega per noi è allo stesso tempo una norma di principio ed uno strumento efficiente per accompagnare le tappe del processo di attuazione che dovranno essere graduali, flessibili e sottoposte ad una sistematica valutazione dei risultati, come peraltro da molti di voi è stato richiesto.
Vorrei rispondere anche agli onorevoli che sono intervenuti circa la compatibilità delle scelte contenute in questo disegno di legge di riforma con quelle della devoluzione avanzate recentemente dal Governo. Ribadisco nuovamente che non c'è contraddizione tra questa legge di riforma e le modifiche costituzionali in esame al Parlamento: si tratta di due livelli diversi di intervento legislativi, il primo di tipo ordinamentale, ovvero la legge delega al nostro esame, l'altro istituzionale.
Tornando al tema dei principi generali, vorrei soffermarmi su un'altra scelta caratterizzante la proposta di legge in discussione e che ha anche animato il dibattito sia al Senato sia qui alla Camera, vale a dire il diritto-dovere all'istruzione ed alla formazione che ha sostituito sul piano formale il concetto di obbligo scolastico e formativo. Innanzitutto, vorrei chiarire che non vi è nessuna riduzione di obbligo scolastico se riferito al diritto-dovere di frequenza di corsi di istruzione o formazione professionale. Il disegno di legge, al contrario, pone tra gli obiettivi prioritari del sistema il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o sino al conseguimento di una qualifica. Per questo motivo, questo nuovo concetto comprende e ridefinisce quello dell'obbligo scolastico e formativo, che peraltro si è rivelato inefficace nel raggiungere lo scopo di eliminare la dispersione
scolastica - grave problema che molti di voi, quasi tutti, hanno richiamato -, l'abbandono e l'insuccesso scolastico, che ancora oggi nel nostro paese sono presenti a livelli assolutamente intollerabili.
D'altra parte, nel nostro paese la mancanza di un'alternativa valida al sistema dei licei, alternativa che negli altri paesi d'Europa è presente, ha privato e continua a privare troppi giovani delle opportunità formative che possano valorizzare le loro inclinazioni, le loro attitudini, le loro vocazioni, le loro capacità, consentendo loro di realizzarsi come persona e come cittadino ed inserirsi nel mondo del lavoro e delle professioni con un adeguato bagaglio di competenza certificato.
Noi vogliamo lasciarci alle spalle la cultura dell'obbligo come funzione coercitiva dello Stato per affermare una nuova cultura in cui istruzione e formazione sono considerati i nuovi diritti-doveri di cittadinanza e nel contempo vi è il dovere delle istituzioni nel garantire ai cittadini l'esercizio di tali diritti.
In questo senso l'opportunità di iscriversi al sistema dell'istruzione e formazione professionale al termine del primo ciclo non esclude, anzi valorizza, la necessità di conciliare il percorso professionalizzante con la conquista dei saperi di base e di cittadinanza, importantissimi, così che coloro che si qualificano in questo percorso possano affrontare anche i livelli più alti di istruzione e formazione superiore e universitaria.
E al tavolo della Conferenza Stato-regioni lavoreremo insieme perché per questi percorsi si raggiunga l'effettiva pari dignità dei tre sistemi pubblici, quello nazionale, quello statale e quello regionale, attraverso alcuni strumenti che già abbiamo delineato nel disegno di legge delega. Li ricordo: la circolarità tra istruzione e formazione professionale; il profilo in uscita unitario; l'innalzamento dei livelli qualitativi dell'istruzione e della formazione professionale; la garanzia, per entrambi i sistemi, di esiti superiori, professionali e accademici; il potenziamento della formazione tecnica superiore; infine, la valorizzazione della formazione lungo tutto l'arco della vita.
Si è discusso molto nel dibattito anche di un'altra innovazione nel secondo ciclo: l'introduzione dell'alternanza scuola-lavoro. Ai deputati che hanno manifestato perplessità su questo punto della legge, vorrei ribadire che si tratta di una modalità di apprendimento già presente peraltro in moltissimi altri paesi dell'Unione europea, modalità che prevede, all'interno di percorsi scolastici e formativi, lo svolgimento di stage nel mondo produttivo e del lavoro e nel campo del sociale, inseriti coerentemente nei piani di studio personalizzati dei ragazzi e valutati dalle istituzioni scolastiche e formative frequentate.
D'altra parte, penso che la rigida scansione temporale della vita, secondo cui ad un periodo di formazione iniziale ne segue uno lavorativo, sia una separazione che vada superata e sostituita da un continuo processo circolare interattivo dei due momenti. Questo è anche il concetto della formazione durante tutto l'arco della vita, il lifelong learning. In tal senso, quindi, l'alternanza scuola-lavoro e il lifelong learning sono risposte complementari ad un'unica esigenza.
Riteniamo che l'attuale netta separazione tra scuola e lavoro non prepari i ragazzi al loro futuro, perché non consente loro di sperimentare attraverso periodi di stage le loro inclinazioni, le loro vocazioni, le loro attitudini, per essere meglio preparati nel momento in cui saranno chiamati a fare una scelta rispetto all'ingresso nel mondo del lavoro. L'obiettivo che vogliamo perseguire con queste misure, quindi, è quello di favorire la realizzazione di tutti i ragazzi, nessuno escluso, attraverso una molteplicità di luoghi, di modi e di soggetti formativi, certificati nel portfolio delle competenze di ciascuno dei ragazzi.
Con riferimento a questa pluralità di percorsi del secondo ciclo, vorrei ricordare all'Assemblea che nel passaggio al Senato abbiamo accolto la proposta delle forze di opposizione di mantenere anche l'integrazione
tra i due sistemi, quello dell'istruzione e quello della formazione professionale. Riteniamo che ciò riduca la distanza tra la visione contenuta nella legge di un secondo ciclo fortemente diversificato ancorché unitario e quella delle forze di opposizione che puntano invece all'integrazione dei percorsi. Ma io credo che la migliore garanzia di unitarietà, e quindi di integrazione dei due sistemi, resti comunque il fatto che questa legge mira a definire la qualità, le garanzie, i diritti, i doveri nazionali e universali in materia di istruzione e formazione che dovranno essere rispettati in ogni sede deputata alla funzione educativa delle giovani generazioni.
Questi standard saranno il legame che potrà assicurare una continua comunicazione tra le varie parti del sistema stesso. Con tali strumenti di regolazione, assieme al nuovo sistema di valutazione nazionale, noi pensiamo di poter meglio garantire da una parte il pluralismo, la diversificazione, la flessibilità e, dall'altra, l'integrazione, l'unità e la qualità dei percorsi.
Ritornando ora al dibattito, molti deputati si sono soffermati sugli elementi di flessibilità strutturale introdotti dalla legge, con particolare attenzione all'età di ingresso e di uscita dal sistema. Intendo riconfermare, anche in questa sede, che la facoltà di anticipare l'ingresso nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria è un'opportunità offerta a sostegno delle famiglie che decideranno liberamente se utilizzarla in accordo con le istituzioni scolastiche. E non abbiamo mai sottovalutato, peraltro - su ciò voglio rassicurare l'Assemblea -, la delicatezza dei problemi connessi all'anticipo, specie nella scuola dell'infanzia, e la complessità della sua realizzazione.
A questo riguardo, voglio richiamare l'attenzione sul fatto che, recependo le indicazioni dell'ANCI e del Senato, il disegno di legge ha previsto che il processo di attuazione dell'anticipo previsto in questo ordine di scuola sia graduale e subordinato ad alcune precise condizioni: l'intesa con gli enti locali, l'adeguatezza delle strutture, la scelta delle famiglie, il consenso degli organi decisionali delle istituzioni scolastiche e la presenza di figure specializzate.
La realizzazione di questa innovazione, come, peraltro, l'attuazione di tutte le altre previste dal disegno di legge, sarà soggetta ad un monitoraggio specifico in base al quale verranno assunte le successive decisioni.
Il sistema educativo definito dal disegno di legge è, d'altra parte, caratterizzato dalla flessibilità dei percorsi. Sono certa che le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia didattica ed organizzativa, in raccordo con gli studenti, con le famiglie e con il territorio, sapranno utilizzare al meglio tutti gli strumenti e tutte le opportunità formative che il disegno di legge prevede.
Se un sistema educativo fortemente accentrato richiede docenti che siano esecutori di procedure amministrative prestabilite, certamente il sistema educativo prospettato dal disegno di legge, per le sue caratteristiche di flessibilità e di personalizzazione, esalta la figura del docente quale professionista dell'insegnamento. Siamo assolutamente consapevoli che non esiste una scuola di qualità senza insegnanti di qualità.
Il dibattito alla Camera si è particolarmente distinto per le osservazioni e le proposte sul tema della formazione, sia della formazione iniziale sia della formazione continua degli insegnanti. Con questa consapevolezza, il disegno di riforma prevede nuovi percorsi di formazione iniziale, coerenti con il nuovo ordinamento universitario, e percorsi di formazione in servizio, finalizzati ai nuovi compiti ed alle nuove figure di docente previste dalla riforma.
La formazione specialistica del docente direttamente abilitante e l'attività di tirocinio riteniamo siano efficaci strumenti di qualificazione del personale docente che includeranno, anche per tutti gli insegnanti, moduli formativi sulle varie tipologie di disturbi di apprendimento, considerato anche l'estendersi di questo fenomeno.
Il disegno di legge, nel prospettare i docenti di domani, non trascura chi, già oggi, sta operando nella scuola. In questo senso, voglio rassicurare gli onorevoli deputati che, nella fase di attuazione della legge, verranno considerate con estrema attenzione tutte le sollecitazioni pervenuteci dalla VII Commissione e, ora, da numerosi ordini del giorno. Sono previsti, infatti, itinerari di riqualificazione professionale tra vecchi e nuovi percorsi abilitanti.
In tale contesto, una specifica attenzione sarà riservata ai docenti di sostegno, perché essi svolgono un ruolo particolarmente delicato all'interno della scuola e perché, più di ogni altra categoria di insegnanti, sono stati oggetto di numerose modifiche legislative.
Sono altrettanto degne di considerazione e di accoglimento le proposte relative alla formazione degli insegnanti finalizzate al recupero di particolari difficoltà di apprendimento, su cui molti deputati hanno richiesto il nostro intervento. Il percorso formativo dei futuri docenti dovrà riservare uno spazio adeguato a queste problematiche, in modo da contribuire a realizzare una scuola dove l'accoglienza, la disponibilità degli adulti, la capacità di ascolto e la capacità di guida dei docenti stessi siano coniugate con l'efficacia degli apprendimenti e dove i risultati siano adeguati alle capacità degli allievi ed alle aspettative dei genitori, alle sfide del mondo, alle sfide della vita.
Intendo rassicurare tutti i deputati circa l'attenzione che il disegno di legge riserva alle fasi transitorie di formazione, reclutamento, organizzazione e gestione del personale docente. Quest'attenzione, naturalmente dovuta per le situazioni contingenti, non ci può far trascurare l'importanza di un tema posto con particolare importanza dalla relatrice, onorevole Angela Napoli: la riformulazione dello stato giuridico dei docenti.
Anche in questo il confronto con l'Europa, dove da anni si dibattono i problemi di una nuova professionalità docente, ci stimola ad aprire una discussione a tutto campo, a prendere l'iniziativa con il contributo delle associazioni, dei sindacati, delle università, del mondo del lavoro e naturalmente del Parlamento. Onorevoli deputati, io credo che l'approvazione di questo disegno di legge apra per il modo della scuola, per il paese, una sfida, una sfida di lungo respiro, cui ciascuno, per il ruolo ed i doveri che competono, dovrà rispondere. La scuola di oggi è inadeguata alle sfide della società, alle sfide di un mondo - già è stato già ricordato da molti onorevoli - che cambia a ritmi vertiginosi.
Pensiamo ai cambiamenti istituzionali, dalla costruzione politica della nuova Europa al suo allargamento, pensiamo ai grandi problemi sociali, dalla multiculturalità ai grandi cambiamenti climatici, pensiamo agli scenari di una economia che è alla ricerca di nuovi modelli organizzativi per essere più competitiva, pensiamo alle sfide poste dalla scienza, poste dall'innovazione tecnologica.
Questo mondo richiede una scuola diversa, una scuola capace di dare ai ragazzi l'idea di sé, che si costruisce solo radicando il presente nella comprensione della propria storia; una scuola capace di motivare i giovani, troppo spesso demotivati e disinteressati rispetto alla scuola stessa; una scuola capace di insegnare ai giovani a ragionare, a liberare la loro creatività, una scuola capace di crescere persone libere e responsabili che sappiano realizzarsi come uomini e donne, come cittadini pronti a dare il proprio contributo alla costruzione di una società che possa creare maggior benessere economico e sociale, ma anche una società più equa e più solidale.
Questa è la scuola che vogliamo costruire e lo faremo con tutte le forze del paese che condividono questi obiettivi (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Guida scolastica   Discussioni     Informazioni

*** pubblicità ****

Abbonati alle notizie scolastiche!

*** pubblicità ***

Scuola Elettrica