Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale

Disegno di legge

 

Seguito della discussione dei disegni di legge:

(1306) Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale

(1251) CORTIANA ed altri. – Legge-quadro in materia di riordino dei cicli dell’istruzione

PRESIDENTE . L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 1306 e 1251.

Ricordo che nella seduta pomeridiana di ieri ha avuto inizio la discussione generale, che ora riprendiamo.

Ringrazio il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per la sua presenza.

È iscritto a parlare il senatore D'Andrea. Ne ha facoltà.

*D'ANDREA (Mar-DL-U). Signor Presidente, signora Ministro dell'istruzione, colleghi, la nostra discussione generale su questo provvedimento è stata preceduta ieri dalle comunicazioni del Governo sul luttuoso sisma che ha colpito Molise e Capitanata. Il nostro pensiero, mentre affrontiamo questi temi, non può non andare soprattutto al luttuoso evento di San Giuliano di Puglia.

Presidenza del vice presidente DINI

 

(Segue D'ANDREA). Ne ha parlato ieri la senatrice Dato, con toni commossi ed efficaci. Noi pensiamo a quei bambini sepolti sotto le macerie, alle loro maestre, a quelle decedute nell'adempimento del loro dovere e a quelle sopravvissute a stento, che hanno dato tutte prova non solo di altruismo, di generosità e di umanità, onorevole Ministro, ma anche di straordinaria professionalità, in quei lunghissimi, tragici momenti.

Questa è la vera grande risorsa, a volte nascosta, della scuola italiana, di cui troppo spesso non sappiamo apprezzare compiutamente il valore. Così come scopriamo solo ex post quel che significa la scuola per un piccolo centro di montagna, in Umbria e nelle Marche, nel Friuli o in Sicilia e in Basilicata; quel che significa anche in termini simbolici, di identità culturale, di impegno civile. E facciamo bene ad imprimercelo nella mente mentre poniamo mano con eccessiva disinvoltura ai processi di razionalizzazione e alle cosiddette misure taglia-classi.

È bene che riparta proprio da qui la nostra riflessione sulla possibile riforma della scuola. Lei, signora Ministro, ha fatto bene a partecipare alla cerimonia funebre e ha fatto bene a promettere impegno per il rapido ritorno alla normalità della vita della scuola, che deve riprendere a scorrere presto nelle aree colpite dal sisma per accompagnare il ritorno alla normalità.

Ma la maniera migliore per onorare la memoria di quelle vittime innocenti e per restituire alla terra martoriata del Molise il "futuro rubato" è di fare il possibile, da parte nostra, da parte di tutti noi, perché quel che è accaduto non si ripeta, come ci ha chiesto domenica la mamma di una di loro.

Mi permetto di dire, a questo proposito, che non basta il pur indispensabile stanziamento nella finanziaria, piccolo o grande che sia, che noi stessi abbiamo chiesto in Commissione con un ordine del giorno prima che si verificasse l’evento tragico del Molise; è giunto il tempo, finalmente, di una iniziativa straordinaria, da realizzare di concerto con le Regioni, come noi stessi proponiamo con un disegno di legge che abbiamo presentato questa mattina, come Gruppo della Margherita, primo firmatario il senatore Scalera.

Abbiamo bisogno di un'iniziativa straordinaria che ci permetta di guardare con ottimismo al futuro, alla sicurezza e all'idoneità delle aule nelle quali i nostri figli trascorrono metà del loro tempo e che, qualsiasi sarà l’assetto della scuola italiana, noi speriamo - anzi, dobbiamo impegnarci perché ciò accada - sia un tempo impiegato al meglio.

Abbiamo bisogno di scuole da riattare e di scuole nuove, non della robotica, perché si tratta di creare scuole vive, inserite nella vita normale delle nostre comunità, non scenografie virtuali di improbabili fiction televisive.

Sono problemi aperti, questi, e direttamente connessi con uno dei capisaldi della riforma alla nostra attenzione: quello dell’anticipo, che ha incontrato le obiezioni più forti e diffuse. Alle già ben note argomentazioni di valenza psicopedagogica, relative ai ritmi dell’età evolutiva e dell’apprendimento, si aggiungono, in maniera ormai prepotente, a questo punto, dopo essere state senza successo segnalate più volte anche dall’ANCI in sede di parere sulla sperimentazione breve intanto avviata, tutte quelle relative alla sicurezza dell’edilizia destinata ad ospitare anche la sperimentazione di questi mesi, che mi auguro sia stata attentamente verificata anche sotto questo profilo, per neutralizzare il rischio di danni patiti, questa volta, con il nostro concorso di colpa.

Una proposta, quella dell’anticipo, che non ha incontrato il favore né della maggioranza né dell’opposizione, se è vero, come è vero, che dalla Commissione è stato approvato un emendamento del relatore che declassa l’anticipo da opzione strategica a mera ipotesi di sperimentazione transitoria e facoltativa, come ha sottolineato ancora ieri sera il senatore Valditara, senza peraltro chiarire che cosa accadrebbe nel frattempo nelle realtà che non vi faranno ricorso.

È questo un altro elemento di incertezza destinato a gravare sulla scuola italiana, che per il secondo anno consecutivo è paralizzata da un processo di ibernazione volto ad impedire intanto l’applicazione della legge n. 30 del 2000, legge dello Stato tuttora in vigore, sicuramente perfettibile, che nessuno ha impedito di correggere e di integrare.

Governo e maggioranza hanno scelto di non farlo per cedere ad esigenze propagandistiche sbandierate durante il confronto elettorale e hanno scelto la strada pericolosa di congelarne l’attuazione, aprendo una spirale di carattere giuridico e costituzionale, sulla quale ci siamo soffermati più volte, foriera di conseguenze anche in sede giurisdizionale, soprattutto se, nel perdurare della stasi in atto, dovesse prevalere, come mi sembra persino ovvio, il riferimento alla fattispecie dell’atto dovuto.

Ebbene, si è detto che al congelamento si sarebbe posto termine con l'approvazione di questa legge, è stato ripetuto anche ieri sera. Diventa chiaro, invece, che quand'anche questo provvedimento completasse il suo iter - se mai ciò dovesse accadere - il suo incerto e faticoso cammino, non si porrebbe termine alla provvisorietà, perché tutto l'impianto della nuova scuola prefigurata dal disegno di legge governativo poggerebbe, a questo punto, su una norma adottata solo in via sperimentale e transitoria, anzi facoltativa, come specificato ieri dal senatore Valditara.

E se si decidesse di non trasferire a regime la norma sull'anticipo? Ci sarebbero seri problemi, senatore Asciutti, a mantenere la previsione della durata quinquennale della scuola secondaria superiore in aggiunta agli otto anni del primo ciclo, così come si capisce anche dalla previsione dell'attuale articolo 2, lettera g), di quel quinto anno "ballerino". Ed allora, dopo il congelamento, passeremo (è facile prevederlo) ad uno stand-by, ad un bagnomaria che non ci fa gioire.

Gli studenti e le famiglie avvertono la frustrazione di un percorso formativo non più all'altezza delle nuove sfide ed il messaggio che passa è di una svalutazione dell'istruzione pubblica, mentre si ingigantiscono le ombre di una selezione per censo e non per merito e di un ritorno al passato di scelte premature tra chi potrà continuare gli studi e chi è obbligato a lavorare subito: un tempo che ritenevamo definitivamente superato con la riforma Gui della scuola media unica per tutti, tra le più significative compiute in questo cinquantennio.

Gli operatori scolastici hanno bisogno di certezze per programmare il loro impegno, per prepararsi ai nuovi compiti, per aggiornarsi ed affinare le loro attitudini. Hanno bisogno di rimotivarsi e anche di andare oltre le angustie di un approccio alle esigenze di razionalizzazione della spesa che si rivela sempre più aziendalistico e ragionieristico e che pone in causa la continuità delle sedi di lavoro, non solo dei precari e dei soprannumerari, ma anche di quanti vedono smontare progressivamente le loro cattedre grazie ai nuovi criteri di formazione delle classi che discendono dall'applicazione della finanziaria 2002 e da quella in discussione alla Camera.

Un disagio generale diffuso. Tutte le organizzazioni sindacali se ne sono rese interpreti. Un coro unanime di insoddisfazione. Per la prima volta l'azione concreta di governo si è rivelata addirittura peggiore delle sue promesse al vento e ha ridotto l'area di consenso nel mondo della scuola. Ma questo lo sapete tutti. Ve ne accorgete parlando con le persone, così come ce ne siamo accorti tutti noi nell'ampio ciclo di audizioni svolto in Commissione.

E francamente non riesco ancora a capire perché non cambiate rotta, perché non cerchiate di riannodare i fili del dialogo con il Parlamento ed il Paese, mentre si capisce benissimo perché abbiate accompagnato - mi rivolgo ai colleghi della maggioranza - così svogliatamente e senza entusiasmo il cammino della riforma in Commissione ed ora qui in quest'Aula.

Le ragioni della nostra opposizione sono note, le abbiamo più volte espresse e sono riassunte nella relazione di minoranza esposta con grande lucidità dalla collega Soliani. Proverò brevemente a ricordarle. Per quel che riguarda il metodo, esse si rivolgono al ricorso ad una indifferenziata delega che vi siete ostinatamente opposti a riempire di contenuti, riproducendo una situazione di palese incostituzionalità opportunamente e molto efficacemente sollevata dal presidente Mancino, sia con riferimento alla sovrapposizione tra competenze esclusive dello Stato e potestà legislativa concorrente sia con riferimento al rapporto tra delega legislativa e delegificazione.

Vi sono poi i problemi relativi alla copertura finanziaria, anche qui sia dal punto di vista formale che dal punto di vista sostanziale. La Commissione bilancio (mi dispiace che non sia presente il presidente Azzollini) è arrivata al paradosso, signor Presidente, di dare il via libera solo in cambio di un ulteriore ricorso alla flessibilità e alla gradualità, togliendo valore effettivo alle norme che si stavano varando e rinviando, in realtà, la realizzazione delle previsioni contenute nella riforma alle possibilità concrete di copertura e condizionando il suo parere finale positivo all’introduzione di un emendamento di chiusura del comma 5 dell’articolo 7, che fa obbligo al Ministro di modulare persino l’anticipo in funzione del tetto di spesa prefissato, con evidenti implicazioni costituzionali relative allo standard minimo delle prestazioni che bisogna assicurare in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale senza condizionarle ad obiettivi di contenimento della spesa, come ci hanno ricordato le sentenze n. 309 del 1999 e n. 282 del 2002 della Corte costituzionale.

Nessun cenno alle esigenze finanziarie non collegate all’anticipo (c'è un'omertà su questo punto) che pure riguardano aspetti qualificanti della riforma. E non ci si venga a dire che basta a superare questo tipo di riserve l’ordine del giorno approvato dalla Commissione, che aveva un senso durante la fase precedente per spingere una previsione della finanziaria in discussione, ma non lo ha più, ora, a finanziaria aperta, in presenza di una finanziaria che non contiene le risposte sollecitate dall’ordine del giorno.

Ma oltre alle obiezioni di metodo (perché queste possono essere considerate tali) ci sono quelle di merito, relative all’anticipo di cui abbiamo già parlato ed alla rigidità eccessiva dell’articolazione interna del primo ciclo, che non valorizza l’unitarietà della scuola di base e manomette la scuola elementare, la quale, insieme a quella dell’infanzia, resta ancora oggi (non solo fino agli anni Ottanta, come lei, senatore Valditara, ha maliziosamente sottolineato) uno dei gioielli del nostro sistema scolastico.

Altri elementi che provocano una valutazione molto critica sono il modo attraverso il quale viene affrontato il nodo dell’integrazione e dell’obbligo scolastico, o del "doppio canale", nonché la maniera con la quale si disciplina la formazione degli insegnanti. Forse sarebbe stato il caso di stralciare quel complesso di norme e di farne oggetto di una riflessione approfondita, come in definitiva, senatore Asciutti, ci era stato chiesto nel corso delle audizioni dagli interlocutori che si occupano più direttamente di questo tema.

Ancora, ci preoccupa la debolezza delle previsioni relative alla formazione continua, non legate ad alcun piano di utilizzazione di risorse finanziarie né ad alcun collegamento con il momento dell’istruzione e della formazione. Noi riteniamo che il rapporto tra esperienza scolastica e formazione al lavoro sia delicato. Nel testo che ci viene proposto restano percorsi paralleli: un vero, rigido doppio canale, una formula pasticciata e, in ultima analisi, poco moderna e poco coraggiosa.

Valorizzando le competenze regionali del nuovo Titolo V si potrebbe puntare ad un livello più alto e compiuto di integrazione, affrontando magari attraverso questa strada le modalità di realizzare un obbligo scolastico innalzato, non aggirato con una norma ordinaria che presume addirittura di correggere il dettato costituzionale, così come accade con l’incredibile lettera c) dell’articolo 2, comma 1.

In Commissione avevamo dichiarato la nostra disponibilità ad un confronto di merito se si fosse spostata dal Governo al Parlamento la sede delle scelte vere e ci eravamo illusi, ascoltando la replica del Ministro a conclusione della discussione generale, che su questo punto vi fossero delle aperture. Ad essa però ha fatto seguito una pressoché totale indisponibilità su qualsiasi emendamento.

Quasi tutti gli emendamenti dell’opposizione hanno incontrato il parere negativo del Governo, fino a trascinare il parere negativo del relatore che - gliene va dato atto - peraltro ha fatto il possibile, da Presidente, almeno per garantire un adeguato esame in Commissione, ma che non credo possa dichiararsi del tutto soddisfatto per il testo che approda all'esame dell’Aula, soprattutto in rapporto alla pregevole relazione con la quale ne aveva avviato l'iter in Commissione, ormai sei mesi fa.

Questo atteggiamento di chiusura del Governo e della maggioranza ha visto, ad uno ad uno, cadere sotto la scure dell’invito al ritiro persino gli emendamenti correttivi timidamente avanzati da esponenti della Casa delle libertà per affrontare le questioni più controverse.

Fa bene il presidente Pera ad occuparsi dello Statuto dell’opposizione con riferimento alle norme regolamentari di completamento del sistema maggioritario, ma anche alla luce di questa esperienza, forse bisogna pensare piuttosto ad uno "Statuto della maggioranza", per consentirle di esprimersi più liberamente rispetto alle posizioni del Governo, sulle quali si appiattisce anche nei dettagli, senza ragione.

Il Parlamento non è una fossa dei leoni pronti a sbranare; abbiate più fiducia in esso. Quando i parlamentari propongono emendamenti, non vanno temuti, signora Ministro, come Danaos et dona ferentes, almeno quelli della maggioranza (certo, i senatori Compagna, Gaburro, Favaro, Brignone e la stessa senatrice Bianconi meritavano un altro trattamento) ...

 

PRESIDENTE. Senatore D’Andrea, la invito a concludere.

 

D'ANDREA (Mar-DL-U). .. e noi avremmo voluto esaminarli nel dettaglio in Commissione, in uno spirito di costruttiva disponibilità.

In conclusione, per noi resta centrale la scuola dell’autonomia; da essa si può ripartire e da essa si può ricostruire ogni rapporto e fare della scuola il vero riferimento per la crescita della comunità italiana. Senza il rilancio della scuola dell’autonomia nell'ambito del sistema nazionale d'istruzione e sovrapponendo un burocratismo o un centralismo che rivendica spazi anche nella definizione del dettaglio dei programmi non ci sarà, signora Ministro, per la scuola italiana quel futuro che anche lei auspica. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-U e dei senatori Crema e Michelini. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Gubert. Ne ha facoltà.

GUBERT (UDC:CCD-CDU-DE). Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Ministro, onorevoli Sottosegretari, una delle scelte giuste operate dal Governo in carica e dalla sua maggioranza è stata la sospensione della riforma dei cicli scolastici voluta dal centro-sinistra nella scorsa legislatura. Lo ha ben motivato ieri il collega Valditara.

A parte l’insostenibile motivazione di quella riforma con il dovere di adeguare il sistema educativo scolastico a quello europeo (non mi consta che vi sia stato o vi sia tale obbligo), il suo aspetto meno condivisibile stava nel non riconoscere come la diversa maturazione delle capacità intellettuali e più complessivamente personali del bambino, del preadolescente o adolescente imponeva la ripresa dei contenuti disciplinari e formativi prima delle scuole superiori, in un ciclo successivo a quello delle elementari, adatto all’infanzia. La scuola secondaria superiore veniva, inoltre, sacrificata con un biennio iniziale la cui utilità formativa era assai difficile da configurare per chi avrebbe poi proseguito gli studi.

Ciò premesso, l’attuale proposta paga alla precedente una semi-concessione circa l’età alla quale si inizia la formazione scolastica e quella alla quale si termina la scuola secondaria superiore. Non si comprendono le ragioni per le quali si preferisca l’omologazione alla parte forse maggiore degli altri Paesi dell’Unione europea anziché l’orgoglio di mantenere una propria identità nazionale basata su una lunga e positiva esperienza.

Come sa chi ha avuto figli che, durante le scuole superiori, hanno trascorso un anno in scuole di Paesi stranieri, non si può dire che la scuola superiore italiana sia inferiore ad altre, anzi, si può dire spesso l’opposto, e con certezza, se il confronto è con la high school statunitense. Non sono trascorsi molti mesi da quando una ricerca ha dimostrato i bassi livelli della scuola superiore tedesca, che pur ambisce ad essere la migliore d’Europa. Allora, perché non dire che in Italia si comincia la scuola elementare a sei anni compiuti (o quasi) e si finisce quella secondaria superiore a diciannove?

I mesi trascorsi alla scuola dell’infanzia per i bambini dai cinque anni e mezzo ai sei sono solo perduti? Che senso ha il compromesso di cominciare facoltativamente a cinque anni e mezzo per poi finire a diciotto anni e qualche mese? Meglio difendere la specificità della propria esperienza.

Vi sono sempre stati genitori ansiosi che vogliono che il loro bambino o la loro bambina siano "bambini prodigio". Devono andare a scuola prima del normale perché sono intelligenti, perché non devono perdere tempo, anni preziosi per la carriera. Il Governo non cede del tutto a queste ansietà, ma dobbiamo dare a questi genitori una mezza possibilità di realizzare le loro ambizioni o non sarebbe meglio lasciare che il bambino compia interamente la sua esperienza infantile prescolare? E i genitori che sceglieranno di non mandare a scuola il figlio o la figlia a cinque anni e mezzo devono rischiare di essere percepiti come se avessero un’opinione poco favorevole delle capacità mentali del loro figlio o della loro figlia?

Una seconda questione che ho inteso sollevare, anche con un emendamento, concerne le finalità dell’educazione nella scuola materna. Mentre giustamente tra le finalità generali dell’intero sistema di istruzione si menziona, accanto ad altre, la formazione spirituale e morale, nella declinazione di tali finalità generali, in riferimento ai diversi cicli, restano più articolate le altre finalità mentre queste - quelle morali e spirituali - scompaiono.

Vi sono interrogativi radicali circa il senso dell’esistenza, l’origine e il destino del mondo, che in senso lato sono denominabili come attinenti alla sensibilità religiosa, ai quali la scuola dell’infanzia non può rispondere con la censura. La coscienza dell’esistenza di azioni buone o cattive, la formazione della sensibilità morale in senso generale, non certo precettistico, devono trovare nell’educazione dei bambini nella scuola dell’infanzia una specifica attenzione.

Più tardi, nelle scuole elementari, medie e superiori, famiglie e studenti possono trovare, attraverso l’insegnamento della religione o di materie sostitutive, occasioni di formazione religiosa e morale, come nell’educazione morale concorrono altri insegnamenti, quale l’educazione civica. Nella scuola dell’infanzia, però, siamo ad un livello diverso; non è utile stabilire cesure tra la sensibilità religiosa e morale vissuta dal bambino in famiglia e l’opera educativa della scuola.

Gli orientamenti pedagogici che, più in dettaglio, dovrebbero specificare attenzione alla sensibilità di tipo religioso potrebbero trovarsi senza base legislativa se tra le finalità della scuola dell’infanzia dovesse essere assente ogni riferimento alla dimensione religiosa, così come analoga considerazione si può fare per la dimensione morale, peraltro richiamata tra le finalità generali dell’intero sistema di istruzione. Il riferimento alla dimensione spirituale non è al riguardo sufficiente, essendo tutta la cultura, tutte le scienze attinenti alla dimensione spirituale.

Altre osservazioni, anch’esse tradotte in emendamenti, sono di portata minore, ma pur sempre - a mio avviso - meritevoli di attenzione.

Sempre con riferimento alla scuola materna o dell’infanzia si parla di "rispetto dell’orientamento educativo dei genitori". Se davvero siamo convinti che la responsabilità primaria dell’educazione è affidata ai genitori e se veramente assumiamo il principio regolativo della sussidiarietà dello Stato rispetto alla società civile, la scuola, ed in modo accentuato nel periodo dell’infanzia, non deve avere finalità sue che sviluppa solo rispettando gli orientamenti dei genitori, ma dovrebbe avere come finalità quella di contribuire al pieno esercizio della responsabilità educativa dei genitori, certo avvalendosi delle capacità professionali degli insegnanti, con il loro coinvolgimento. È qualcosa di più del semplice rispetto.

Un’ultima annotazione concerne le finalità generali del sistema di istruzione e formazione di favorire la coscienza "di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale e alla civiltà europea". Mi trovo ad aver studiato, tramite ricerche in Italia e in Europa, da almeno trent’anni, come sociologo, il fenomeno dell’appartenenza socio-territoriale e devo rilevare come la formulazione sia apprezzabile per il richiamo ad una dimensione spesso dimenticata o ridotta, come in passato, alla sola appartenenza nazionale. Si debbono considerare appartenenza locale, nazionale ed europea.

È un passo avanti significativo rispetto a chi ha voluto in passato dare alla scuola il compito di creare "gli italiani" e tiene conto del maggiore equilibrio oggi esistente fra appartenenze. Tuttavia, quanto enunciato soffre di una semplificazione eccessiva e di una carenza.

La semplificazione eccessiva concerne l'aver considerato come appartenenza sub-nazionale solo quella locale. In realtà esiste un'appartenenza non facilmente riconducibile a quella locale, anzi con essa qualche volta in conflitto, ed è l'appartenenza alla comunità regionale, mentre a sua volta quella locale si articola in più livelli. La carenza è aver omesso un'appartenenza sovranazionale di importanza crescente, la comunità globale.

Non ci si può fermare alla formazione all'appartenenza europea; lo esige la comunanza che ogni essere umano sente di avere con ogni altro, a prescindere da ogni altra appartenenza che non sia quella all'umanità. Ho suggerito delle riformulazioni che tengono conto di queste osservazioni e spero che il relatore, il Governo e la maggioranza ne tengano conto. Si teme che menzionare l'educazione ad un'appartenenza globale riduca il peso di altre appartenenze. Spero di no, perché ciascuna ha un suo ruolo distinto, la sua portata specifica. Non si tratta di cedere alla retorica mondialista o del cosmopolitismo a buon mercato, ma di evocare un giusto equilibrio tra le appartenenze sociali, dalla più piccola a quella globale.

Signor Presidente, signora Ministro, onorevoli colleghi, ho premesso che una delle iniziative governative che più ho apprezzato è stata quella sulla scuola, e mi augurerei che altrettanto si faccia per l'università. Tuttavia rivendico al parlamentare, anche di maggioranza, il diritto-dovere di dare il proprio contributo, a partire dalle sue convinzioni e dalle sue esperienze. Mi auguro che le notazioni critiche presentate ed altre minori trovino attenzione, e spero accoglimento, tenendo anche conto che il Governo ha chiesto al Parlamento una delega, e quindi una fiducia rafforzata e penetrante. (Applausi dal Gruppo UDC:CCD-CDU-DE).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Sodano Tommaso. Ne ha facoltà.

SODANO Tommaso (Misto-RC). Signor Presidente, la proposta di riforma dell'istruzione che qui stiamo discutendo rappresenta una delle iniziative più pericolose e devastanti che questo Governo sta portando avanti all'interno di una più vasta manovra di destrutturazione del sistema delle tutele e garanzie sociali fin qui conosciute.

A nostro avviso, le proposte del Governo sono caratterizzate da un forte tratto autoritario: come definire altrimenti il processo che ha portato alla definizione della riforma? Mi riferisco all'uso della delega, cioè alla volontà del Governo di non discutere il provvedimento in Parlamento, ma di affidare le decisioni alle scelte insindacabili del Governo. Non avete voluto il dibattito, avete sottratto la discussione sulla riforma alle reali procedure democratiche perché non volete, non pensate di rilanciare la questione della scuola come grande questione della democrazia e dello sviluppo del nostro Paese.

La vostra proposta di controriforma è classista. La scuola non sarà più il luogo dove si rimuovono le differenze di natura economica, sociale e culturale in nome dell'eguaglianza, ma diventerà il luogo dove queste differenze si confermano e dove più forte sarà la selezione di classe. Consideriamo il vostro approccio sulla scuola profondamente sbagliato. Significativo è, a nostro avviso, il richiamo che viene fatto nella vostra proposta alla definizione dei "livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione", dove prefigurate un sistema di istruzione minimo, che non vuole innalzare i livelli di istruzione per tutti e tutte in egual modo, facendo così di nuovo, ancora una volta, carta straccia del dettato costituzionale espresso nell'articolo 3 della Costituzione repubblicana.

Dal disegno di legge delega viene messo in discussione il carattere pubblico della scuola, cioè il suo carattere pluralista, democratico e laico. È evidente laddove definite tra i principi e i criteri direttivi della riforma "il favorire la formazione spirituale e morale, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale" introducendo, non solo una sorta di omologazione tra Stato e Chiesa, presente, tra l'altro, in molti altri provvedimenti del Ministro dell'istruzione, ma omettendo volutamente qualsivoglia riferimento al lavoro di integrazione culturale tra le diverse religioni, tra le diverse provenienze che la scuola comunque svolge in una società sempre più multietnica e multireligiosa.

Riteniamo grave l'abolizione dell'obbligo scolastico, sostituito dal diritto all'istruzione e alla formazione, come riteniamo grave tutto l'impianto della proposta avanzata. Non ci convincono le motivazioni, che, voglio ricordare, non sono di natura pedagogica, dell'anticipo a due anni e mezzo e a cinque anni e mezzo relativo all'iscrizione alla scuola dell'infanzia e alla scuola elementare.

Riconoscete un ruolo fondamentale al "portato culturale" della famiglia, tanto che la scuola arriva a negarsi come spazio pubblico per ridimensionare, ridurre il proprio ruolo ad una articolazione dello Stato sociale familistico.

La famiglia diventa il soggetto forte delle scelte di istruzione-formazione dei figli: è la famiglia che impone l'orientamento nella canalizzazione scolastica precoce dei ragazzi; la famiglia è il soggetto di interlocuzione con gli insegnanti, o meglio con l'insegnante, nella definizione del progetto formativo.

L'anticipo, tra le altre cose, finisce per svilire anche il ruolo degli insegnanti, soprattutto nella scuola per l'infanzia, obbligandoli a svolgere funzioni da badanti, ostacolando un lavoro rivolto all'acquisizione dei tre requisiti dell'apprendimento per i bambini più piccoli.

Riteniamo dannosa anche l'introduzione della canalizzazione precoce che, secondo le vostre proposte, dovrà essere fatta all'età di quattordici anni. Prevedete, infatti, come conclusione del primo ciclo (tredici-quattordici anni) un esame di Stato dal quale dovrà emergere un'indicazione orientativa per la futura scelta d'istruzione o formazione professionale.

Siamo altresì contrari alla separazione tra istruzione e istruzione-formazione professionale, che altro non è che il doppio canale tra il sistema dei licei, di durata quinquennale e con immediato accesso all'università, e il sistema dell'istruzione-formazione professionale, di durata quadriennale, che non dà accesso diretto all'università.

Sancite, quindi, la presenza di due tipi di scuole, la scuola del fare, cioè la formazione professionale, e la scuola del sapere, cioè il sistema dei licei. La separazione si espleta non solo in una netta, rigida divisione tra i due sistemi di scuola, ma diversi sono anche i soggetti istituzionali chiamati a gestire i processi scolastici: i licei sono gestiti dal Ministero dell'istruzione, università e ricerca, mentre l'istruzione e la formazione professionale sono di competenza regionale, producendo così anche la rottura del sistema di istruzione nazionale.

Del resto, appena un anno fa, scrivevate nel rapporto Bertagna "Si può ritenere che il fine prioritario dell'istruzione, la sua differenza specifica, possa collocarsi nel conoscere, nel teorizzare […]. La formazione, invece, avrebbe più a che fare con il produrre, con l'operare, col costruire".

Chi frequenterà l'istruzione-formazione professionale, non solo non potrà direttamente accedere all'università, non solo frequenterà meno anni di scuola, ma avrà anche minori possibilità di accrescimento culturale.

Voglio ricordare soltanto alcuni stralci di uno degli ultimi rapporti ISTAT che ci informa: "Per il figlio di un genitore con reddito appartenente al gruppo basso, la probabilità di frequentare fino a quattordici anni la scuola senza bocciature è del 18,3 per cento, mentre la probabilità di laurearsi è del 2,7 per cento. Le corrispondenti probabilità del figlio di un genitore della fascia alta sono del 3 per cento e del 19 per cento. Negli istituti professionali il 17,1 per cento abbandona dopo il primo anno delle superiori. Questi abbandoni, però, sono reclutati pressoché esclusivamente in ragazzi che provengono da famiglie i cui genitori sono senza titolo di studio e vivono in condizioni sociali degradate o marginali". Questa è la selezione di classe! Non trovo altre espressioni per definire il fenomeno.

Non poteva mancare, ovviamente, in questa vostra proposta il solito aiuto alle imprese. Lo prevedete nell'alternanza scuola-lavoro, non solo regalando alle imprese manodopera gratuita, con la scusa degli stage, ma prevedendo anche incentivi per quelle aziende che si dicono disponibili alla realizzazione dei percorsi di alternanza.

Anche volendo assumere la vostra ottica, ci risulta assai difficile capire perché l'impresa dovrebbe avere gli incentivi, mentre lo studente che lavora dovrebbe farlo gratis. La verità è che ancora una volta riproponete le idee portanti del mondo imprenditoriale sulla formazione: scuola della flessibilità, addestramento e orientamento precoce. Noi contrasteremo, anche con la presentazione di alcuni emendamenti questa proposta e annunziamo sin d'ora la nostra profonda contrarietà all'impianto del disegno di legge. (Applausi dal Gruppo Misto-RC e delle senatrici Acciarini e Manieri).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Manieri. Ne ha facoltà.

MANIERI (Misto-SDI). Signor Presidente, signora Ministro, voglio anzitutto dirle che ho apprezzato l'accento posto nel suo articolo sul valore dell'istruzione. Peccato però che il Governo dimostri su questo punto una stridente contraddizione tra ciò che dice e ciò che fa. Sulle spalle dei docenti italiani oggi si fanno gravare una serie di responsabilità e di compiti, non solo quelli istituzionali di istruire i giovani, dare loro competenze e valori civici di riferimento, ma anche l'educazione alla salute, la prevenzione della droga, l'educazione ambientale, stradale e quant'altro.

Agli insegnanti si chiede anche quello che altri non fanno, che non fa la famiglia, che non fanno le istituzioni locali, che non fa lo Stato. Insegnanti mal pagati, tra i peggio pagati d’Europa, che tuttavia continuano a dimostrare attaccamento al loro lavoro, che vivono come una missione.

Tra le piccole salme di San Giuliano, che hanno stretto il cuore a tutti noi, c’era anche - voglio ricordarlo - quello della loro maestra. Ora, signora Ministro, ella ha indicato nel suo articolo, tra i compiti dell’istruzione, anche quello dell’educazione alla sicurezza e non c’è dubbio che ciò sia importante. Tuttavia, mi perdoni, ho trovato tale affermazione in questo momento impudica, perché lei non può non sapere che il Governo di cui fa parte ha tagliato nella finanziaria risorse preziose per la scuola, tra cui quelle destinate ai mutui per l’edilizia scolastica, i fondi per gli interventi strutturali e per la manutenzione straordinaria.

Non può non sapere che Regioni ed enti locali sono ancora in attesa del terzo piano triennale, previsto dalla legge n. 23 del 1996, a fronte di una percentuale ancora troppo alta, soprattutto nel Mezzogiorno, di edifici scolastici fuori norma o bisognosi di verifiche ed adeguamenti strutturali. Non può non sapere che la finanziaria cancella persino i fondi per l’autoaggiornamento dei docenti, che non sono nati esperti in sicurezza, e non può non sapere che nulla stanzia per l’innovazione, per cui non si sa in base a quale miracolo dovrebbe essere garantita la qualità dell’istruzione.

Ad un Governo, signora Ministro, non si chiedono proclamazioni di principio, né buoni propositi, ma azioni e atti concreti. Anche questo provvedimento ci sembra viziato in partenza, perché non ha le risorse sufficienti per camminare e perché risente di un’impostazione del tutto ideologica.

Il senatore Valditara ci ha spiegato ieri che questa riforma vuole essere nella sostanza l’esatto contrario di quella che era la riforma Berlinguer, a suo dire un concentrato di giacobinismo, di marxismo, di socialismo (e chi più ne ha, più ne metta), confermando con ciò il nostro giudizio, che questo è un provvedimento che ubbidisce più ad esigenze di contrapposizione politica e di schieramento, piuttosto che ricercare le soluzioni migliori e condivise per mettere in condizione la scuola italiana di rispondere al meglio alle sfide del nostro tempo. Risponde più a ragioni di revisione storica e culturale, con un vistoso passo indietro rispetto alla politica scolastica dell’Italia democratica e repubblicana. Per questo non mi hanno sorpreso le prese di distanza del collega Compagna.

Ho letto nei giorni scorsi che lei, signora Ministro, condivide l’iniziativa di cui si è fatto sponsor il "Corriere della sera" per una riforma scolastica bipartisan. Bene, noi siamo d’accordo; vediamo insieme gli obiettivi, gli strumenti, le risorse, ma se questa è la volontà del Governo e se ciò che si dice, ancora una volta, ha un senso, coerenza vuole che il Governo ritiri questo provvedimento ed apra finalmente sulla scuola quel confronto vero che finora non è stato possibile avere (nonostante il garbo istituzionale con cui il presidente Asciutti ha diretto i nostri lavori), e lo apra naturalmente in Parlamento, che è l’organo democratico costituzionalmente titolare della decisione legislativa.

Se il Governo vuole iniziare a fare sul serio, noi siamo d'accordo. Non da ora i Socialisti considerano il rinnovamento ed il rafforzamento della scuola pubblica una priorità della politica del Paese, consapevoli, come siamo, che sul terreno dell'istruzione si giocano partite delicate, che riguardano i diritti e le libertà, l'uguaglianza dei cittadini, lo sviluppo della Nazione, come ha messo bene in luce, nella sua relazione, la senatrice Albertina Soliani.

È per questo che noi riteniamo che sia giunto il momento di valutare in modo più ponderato, anche di quanto non sia stato fatto nel recente passato, il valore della scuola pubblica, la sua centralità e la sua insostituibile funzione, come ha detto il Presidente della Repubblica. Anzitutto, della sua funzione culturale, basata sui principi di laicità e di pluralismo, sulla libertà di insegnamento, che fanno della scuola pubblica il luogo privilegiato perché i giovani abbiano strumenti di conoscenza e di interpretazione critica contro l'insorgere di intolleranze e di integralismi, vecchi e nuovi.

È anche giunto il momento, a nostro avviso, signora Ministro, di dire una parola chiara sulle smanie di devolution che sembrano spingere il sistema scolastico verso la disarticolazione, in ragione di un localismo esasperato e ideologico, quando il problema, di fronte ai cambiamenti in atto, è semmai come rafforzare la nostra identità nazionale, alla cui costruzione ha contribuito non poco la tradizione culturale della scuola statale italiana, senza che questo significhi chiusure fondamentaliste, perché il problema al tempo stesso è come essere a pieno titolo cittadini italiani in uno spazio europeo e internazionale sempre più integrato, sì da migliorare il riconoscimento esterno della preparazione dei nostri giovani e facilitarne la mobilità e le possibilità di lavoro.

Nel merito del provvedimento c'è un punto di grande rilevanza sociale che ci preoccupa. Riguarda la soluzione data all'obbligo scolastico e formativo. Con la nuova formulazione il Governo compie nient'altro che un'operazione di maquillage ideologico per giustificare il fatto che si abbassa l'obbligo scolastico e si consente la canalizzazione precoce verso la formazione professionale a soli tredici anni, se si tiene conto dell'anticipo di accesso alla scuola primaria.

È una soluzione sbagliata, in contrasto con le raccomandazioni dell'Unione europea e con le stesse prese di posizione della Confindustria, che ha più volte sottolineato l'importanza, per tutti, di una solida istruzione di base per come oggi si configurano i processi produttivi. Ci si obietta che in Italia c'è un'alta percentuale di abbandono scolastico. È un grave problema che dobbiamo affrontare, ma la risposta non può essere l'offerta di una formazione indirizzata esclusivamente al lavoro, dove c'è e finché c'è, ossia il ricorso alla vecchia idea di un dirottamento precoce nella formazione professionale, ancora tutta da riformare e riqualificare. È una soluzione che serve solo ad aggravare gli squilibri e le diseguaglianze sociali ed è inefficace in una logica di investimento nella formazione dei giovani.

Per questo, signor Presidente, i Socialisti del Gruppo Misto non possono essere d'accordo con questo provvedimento. (Applausi dai Gruppi Misto-SDI, DS-U e Mar-DL-U. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cortiana. Ne ha facoltà.

CORTIANA (Verdi-U). Signor Presidente, voglio partire da una premessa, che spero non comprometta nella comprensione della maggioranza e del Ministro le argomentazioni che sosterrò dopo contro il disegno di legge. La premessa nasce dalla convinzione che il Governo si sia reso conto dell'emergenza che abbiamo in materia di sicurezza delle scuole.

Quindi, non mi soffermerò su questo aspetto per non rischiare di essere scambiato per uno che vuole speculare, dopo la tragedia che si è verificata, sulla questione della sicurezza, che peraltro data da anni nel nostro Paese. Pertanto, su questo do fiducia e presumo che il Governo e, in particolare, il Ministro se ne occuperanno veramente.

Per quanto riguarda l’edilizia scolastica, anticipo la nostra disponibilità ad un confronto comune e costruttivo, laddove il Governo parta almeno dal ripristino dei finanziamenti che i nostri Governi dell’Ulivo avevano stanziato proprio per l’edilizia scolastica. Qualora ciò avvenisse, e solo se ci sarà un atto concreto da parte del Governo, troverete - da parte non solo di noi Verdi, ma di tutto l’Ulivo - la disponibilità ad un confronto di merito anche relativamente a nuove modalità del rapporto con il privato e il privato sociale con riferimento all’edilizia scolastica.

Posta questa premessa, che spero - anche magari per una risposta negativa - venga tenuta in considerazione da parte del Ministro e della maggioranza, vorrei ora entrare nel merito del disegno di legge.

La prima considerazione che devo avanzare è che il Governo è stato inadempiente, perché non ha applicato una legge dello Stato italiano approvata dal Parlamento; in particolare, non ha applicato l’innalzamento dell’obbligo scolastico, che è parte di quella legge.

La seconda considerazione riguarda la delega contenuta nel disegno di legge. Noi abbiamo avuto un’impressione forte, sulla quale mi vorrei soffermare, al di là del merito del provvedimento, e cioè che la delega non soltanto ha esautorato il Parlamento dal confronto, ma ha rinviato ad una sede apparentemente governativa, ma di fatto di mediazione e di negoziazione tra i partiti di maggioranza, la vera discussione sul merito della legge, tant’è che mi viene da dire che forse - lo rilevava anche il collega D’Andrea prima, ma vorrei collocarlo storicamente - il nostro dibattito in Commissione si è esaurito nella discussione generale in quella sede. Lì abbiamo visto gli elementi di contraddizione e anche di contrasto che c’erano sul disegno di legge nella maggioranza e di cui anche il relatore si è fatto carico; possiamo dire che si sono esauriti lì. Qualcuno ha incassato lì qualcosa (penso al senatore Valditara e ad Alleanza Nazionale, rispetto al quinquennio delle superiori) e lì forse si sono consumati quei rapporti di forza che hanno rinviato tutto al confronto sul merito della delega (in particolar modo, penso agli aspetti curricolari e programmatici).

Questo per noi risulta evidente dalla comparazione di due aspetti, uno extraparlamentare e uno parlamentare. Domenica scorsa sul "Corriere della Sera" è stato pubblicato in prima pagina un fondo, molto chiaro, di Galli della Loggia, che parlava di vuoto di idee e di identità culturale, in cui lo stesso autore ha messo sotto accusa il ministro Moratti insieme al ministro Urbani e al presidente della Rai Baldassarre.

La risposta del ministro Moratti - che mi sono ritagliato - di martedì scorso, sempre sul "Corriere della Sera", faceva un riferimento che, se lo abbino alle parole pronunciate qui ieri dal collega Valditara, fornisce una chiave un po’ preoccupante della possibile mediazione avvenuta dopo i contrasti in discussione generale in Commissione. Il Ministro in un passaggio dice: "Per questo abbiamo parlato della necessità di improntare i piani di studio della nuova scuola al recupero delle radici storico-giuridiche, linguistico-letterarie e artistiche che ci legano al mondo classico e giudaico-cristiano e dell'identità spirituale e materiale dell'Italia e dell'Europa. Quindi al recupero delle nostre tradizioni più profonde".

Il collega Gubert ha trovato non definite e in parte superficiali queste definizioni, mentre io credo che, appunto, anche nell’intervento di ieri del collega Valditara si colga una chiave classica, ma di un classico recente, nel senso che è parte del repertorio classico del Ventennio, e non lo dico in senso di dileggio o di sottovalutazione, ma anche nel senso più alto del termine.

Pertanto, quella declinazione, compreso l'aspetto spirituale giudaico-cristiano, va vista relativamente alle preoccupazioni, alle denunce e alle critiche, dai toni anche un po' esasperati, espresse ieri dal senatore Valditara con riferimento agli intellettuali di sinistra che partecipavano, quasi in modo ingombrante, al confronto sulla scuola in questi ultimi cinquant'anni, e ventilando evidentemente un riferimento a quelle che considero culture di natura regressiva e reazionaria nel significato classico che tali termini hanno assunto nella nostra storia dalla fine dell'800 fino alla prima metà del secolo scorso.

Questa chiave forse la ritroveremo leggendo gli scandali sui giornali, aspettando un prossimo articolo di Galli della Loggia, che magari rivedrà alcune posizioni, o di Valditara sul "Secolo d'Italia", oppure vedendo cosa risponderà Comunione e Liberazione e cercando di capire e decodificare cosa avverrà in futuro anche dalle reazioni di colleghi come la senatrice Bianconi.

Questo aspetto mi sembra francamente quello più preoccupante, perché in realtà, rispetto al vuoto che ipotizzava Galli della Loggia, si rischia di creare un pieno fatto dalle realtà che in modo forte - come può essere AN - o più recente e in parte più superficiale - come può essere il caso della Lega nella sua chiave localista e secessionista - possono riempire di contenuti il futuro della scuola italiana.

Dico questo perché è altrettanto evidente che di fronte alla chiave di Valditara c'è una contrapposizione che creerà una contraddizione, invece, in quell'atteggiamento localista, neosecessionista e regionalista - non saprei come definirlo - della Lega che cozza contro uno degli elementi che possiamo vantare con forza rispetto alla politica della scorsa legislatura dell'Ulivo, insieme anche ad ammissioni ed autocritiche; si tratta proprio della chiave dell'autonomia scolastica e di quell'approccio, posto in chiave neosecessionista, di un rinvio alle Regioni come un'espropriazione di quell'autonomia curriculare di cui disponevano le singole scuole. A mio avviso, si tratta di una chiave molto debole che si rivelerà contraddittoria e contrastante rispetto agli approcci di classico reazionario che Valditara ipotizzava.

Non so come potremo riprendere questi elementi; credo che in Commissione abbiamo dimostrato di essere disponibili a discussioni di merito. Vi è una sola questione che riguarda il Ministro e sbagliava la senatrice Bianconi quando affermava che il centro-sinistra in realtà non ha controdedotto nulla rispetto al disegno di legge e quindi a un vuoto.

C'è una sola questione interna al provvedimento propria del ministro Moratti, quella legata alla cosiddetta canalizzazione precoce. Tralascio gli aspetti relativi all'anticipo perché su tali temi si sono già soffermati altri colleghi e in parte sono stati già rivisti. Mi riferisco a quegli aspetti di sperimentazione che tentavano di dare forza a un disegno che ancora è in discussione. In realtà, si è rivelata una sperimentazione fallita come partecipazione e condivisione. E tralascio anche il fatto che ogni realtà associativa, dai genitori ai sindacati, è stata di fatto contraria; per non parlare di quello che è avvenuto nel mondo degli studenti, dove tutti sono stati contrari.

Ciò che mi interessa è valutare, invece, l'unica chiave forte riconducibile al Ministro, vantato più volte anche nel citato articolo del "Corriere della Sera". Si tratta dell'unica questione centrale relativa alla canalizzazione precoce e al discorso del saper fare.

Credo rappresenti una grande miopia il pensare di concedere possibilità di flessibilità e di relazione con l’evoluzione del mercato e del mondo delle imprese, anche in considerazione del portato delle innovazioni tecnologiche future, legando un giovane in modo anticipato ad un fare immediato. Ritengo, invece, che daremmo una possibilità di flessibilità e di elasticità ai giovani se essi imparano ad imparare, come sottolineato da una collega nel corso della seduta di ieri. Nella relazione di minoranza presentata vi è un incipit che mi è infinitamente piaciuto: nell’istruzione vi è il tesoro del Paese.

Nei cinque anni scorsi anche noi siamo stati tentati, nella prassi di Governo, di riconoscere una sorta di autonomia assoluta al mondo della formazione, quasi in contrapposizione al mondo dell’istruzione. Siamo poi arrivati a riconoscerne l’importanza persino nelle esperienze del privato e del sociale (penso, in particolare, a tutto il mondo dei salesiani), sempre però come riconduzione e subordinazione alla dimensione dell’istruzione, proprio per non creare una divisione che avrebbe rappresentato un nocumento in futuro per i giovani che avrebbero senz’altro imparato un lavoro oggi, ma non avrebbero imparato a cambiarlo.

Ho avuto una breve esperienza come assessore regionale in Lombardia, con una delega, nei primi mesi, anche al settore del lavoro. Ricordo che un giorno mi recai all’Innocenti Maserati e vidi persone della mia età (allora ero poco più che trentenne) o con dieci-quindici anni più di me con sguardi spenti e vuoti. Costoro infatti avevano imparato soltanto a stare lì "in catene" a svolgere quel lavoro (un lavoro non soltanto routinario, ma con evidenti elementi di professionalità pratica). Il loro problema stava nel fatto che non riuscivano a ripensarsi in un mercato cambiato, che magari richiedeva un altro tipo di lavoro il cui carico informativo era maggiore: quei lavoratori non erano abituati ad un simile carico informativo perché erano stati abituati a fare altro.

Questa chiave di lettura dell’istruzione per noi non è una fissazione ideologica o demenziale e non si tratta neanche di istruzione versus formazione. È piuttosto l’idea di una relazione forte che non può esistere soltanto nella possibilità di passaggio, da voi riproposta ancora una volta (penso agli interventi svolti dai colleghi della maggioranza nel corso della seduta di ieri), ma deve essere qualcosa di forte ed assunto perché questo rappresenta un elemento centrale.

Tale questione, onorevole Ministro, ci vede aperti ad un confronto. Non chiediamo abiure o altro; ciò che ci interessa è il bene della scuola che deve raccogliere le sfide da lei enunciate all’inizio dell’articolo e nel corso degli interventi che ha svolto in Commissione. Su questo punto siamo d’accordo.

Se tornerete sulla questione troverete certamente la disponibilità dell’opposizione a discutere. È evidente però che ciò si lega al tema dell’innalzamento dell’obbligo scolastico, si lega a qualcosa che non può essere rappresentato dalla canalizzazione precoce. Se vi sta a cuore quel saper fare, là dove siate disponibili comunque ad una relazione forte con la dimensione dell’istruzione, in cui anche chi fa ha il proprio portato di istruzione, ci troverete disponibili. Se invece, per salvare il pasticcio degli anni complessivi (non avete potuto, per fortuna, ridurre gli anni delle superiori, non potevate riconoscere l’ipotesi dei due cicli ipotizzati dall’Ulivo, non sapete come venir fuori dall’anticipo della scuola elementare), intendete mantenere la canalizzazione precoce, certamente ci troverete assolutamente contrari.

Per ciò che riguarda l’edilizia scolastica (mi rivolgo ai colleghi, al Ministro e alla sottosegretario Aprea), da parte nostra vi è disponibilità effettiva nel caso in cui il Governo passi dall’idea che la scuola sia un costo a quella che sia un investimento, abbandonando la possibilità di effettuare tagli sul personale, sulle spese per l’edilizia, tagli su quell’aspetto integrativo che lo legava al territorio. Se si considera la scuola un investimento, e il primo segno viene dato proprio in tema di edilizia scolastica, ci troverete presenti e disponibili.

Sul merito della legge, se dobbiamo comprendere quali sono i confronti e gli scontri in atto rinviati al discorso della delega tra l’articolo di Galli della Loggia, la risposta del Ministro rilasciata al "Corriere della Sera" e l’intervento del senatore Valditara, è evidente che questo esautoramento - lo sottolineiamo - non è riferito soltanto all’opposizione ma ad un lavoro parlamentare serio e nobile.

E i colleghi, compreso il presidente Asciutti, che hanno vissuto con noi (a parti rovesciate) i cinque anni scorsi, non possono dire che non vi sia stato un lavoro di Commissione; riconosco al senatore Asciutti di essersi fatto carico, come Presidente, della nobiltà di questo lavoro, indipendentemente dall’appartenenza dei singoli commissari alla maggioranza o all’opposizione.

Tuttavia, tale questione è oggi totalmente nelle vostre mani; sono state presentate centinaia di emendamenti, alcuni sostanziali; altri li potrete presentare anche voi. Se vedremo segni concreti in questo senso, troverete ascolto da parte nostra; così non sarà, invece, di fronte ad un’impostazione di questo tipo, che rischia di far venir meno, nella scuola pubblica, quel presidio di connessione territoriale e sociale che è una delle ragioni di unità di questo Paese, quella a cui richiama sempre il Presidente della Repubblica.

Sulla vicenda che si è verificata in Molise ognuno di noi (genitore, nonno od altro) ha avuto una forte reazione emotiva anche perché si è trattato di bambini, ma ciò che ho apprezzato, ciò che è stato molto importante è che il Paese intero si è riconosciuto in quel dramma, al di là di ogni divisione Nord-Sud. Tuttavia, vi è un altro aspetto, contenuto nell’intervento della mamma di Luigi, la quale ha parlato domenica a San Giuliano durante i funerali delle vittime del terremoto; un aspetto che rappresenta la chiave di lettura della scuola. Da quelle parole non emergeva soltanto la richiesta di essere messi nelle condizioni di poter mandare con tranquillità un bambino a scuola perché vi sono condizioni di sicurezza; da quelle parole traspariva anche l’idea che la scuola è uno di quei luoghi che in uno Stato laico rappresentano un terreno di connessione, che creano il tessuto di appartenenza. Per questo vi chiedo di provare a fare uno sforzo per raccogliere tutte le osservazioni e le critiche che abbiamo avanzato, non tanto per ammettere di aver sbagliato, ma per non pregiudicare alcunchè.

Vorrei concludere con un aspetto di autocritica, per lealtà intellettuale: noi abbiamo commesso un errore clamoroso nella scorsa legislatura con il famoso "quizzone", che mortificò gli insegnanti. Vi invito a stare attenti perché, pur senza quiz, tra tagli ed esautoramenti curricolari state facendo la stessa cosa: rischiamo in questo caso di creare una percezione che è simile a quella che si lamentava sulla vicenda "pianisti", cioè una delegittimazione comunque complessiva, non della maggioranza o dell’opposizione, ma dell’idea di politica pubblica e di Parlamento.

State molto attenti, perché la volta scorsa gli insegnanti hanno ricevuto una delusione dal centro-sinistra e magari hanno riposto speranze in un’altra possibilità, ma se ricevono una seconda delusione il "reincanto" sarà molto arduo, ed è difficile esercitare la professione di insegnante senza sentire dentro di sé una motivazione esistenziale e non soltanto professionale. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, DS-U, Mar-DL-U e Misto-SDI).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Tessitore. Ne ha facoltà.

TESSITORE (DS-U). Signor Ministro, la tirannia del tempo non consente di svolgere adeguatamente, come il tema meriterebbe, l’articolata argomentazione delle linee portanti di questo disegno di legge e perciò io chiedo sin da ora, se il Presidente lo consente, di depositare agli atti il testo integrale e pur esso essenziale del mio intervento.

Credo che un qualsivoglia disegno di riforma della scuola dovrebbe cercare di rispondere ad una domanda fondamentale: qual è la scuola che serve al nostro Paese? E dovrebbe altresì sforzarsi di aggiungere un altro quesito: qual è - se c’è - una cultura prevalente su cui la scuola deve intervenire per favorirne l’evoluzione e lo sviluppo progressivo?

Sono perfettamente consapevole del fatto che è difficile rispondere a queste domande in un momento di accelerata trasformazione dei processi di strutturazione sociale e quando, probabilmente, bisogna rispondere che non c’è una cultura prevalente.

Considero tuttavia positivo questo dato, se significa acquisizione della consapevolezza della pluralità dei fatti culturali, precisando che non sto parlando di pluralità delle culture, ma della pluralità essenziale e costitutiva della cultura come tale.

Credo, però, che due questioni siano ineludibili per una scuola nuova: la necessità che la nuova scuola investa sulla professionalità dei docenti e la necessità che la nuova scuola individui un nuovo tipo di studente.

Si tratta di domande ineludibili in relazione alla nostra situazione sociale e culturale complessiva, che mi sembra caratterizzata, da un lato, da una sempre più accentuata frammentazione e parcellizzazione sociale e, dall’altro, da una tendenza a una globalizzazione che rischia di risolvere frammentazione e parcellizzazione nell’anonimato di una mostruosa struttura senza soggetto.

Si tratta di domande ineludibili perché alla loro base c’è la definizione di cultura che oggi possiamo fornire, cioè la possibilità da parte di tutti di affermare completamente le proprie capacità e realizzare le proprie finalità.

Ebbene, mi dispiace dirlo (lo affermo sinceramente), non credo che il disegno di legge in esame vada nella direzione giusta. Non va in questa direzione quando affievolisce - come è stato detto da molti colleghi - il principio dell’obbligo formativo e scolastico in favore di un richiamo generico ai diritti e ai doveri, che è altra cosa e che in ogni caso è più debole dell’obbligo, che in primo luogo rappresenta l’impegno per lo Stato di garantire a tutti la possibilità di realizzare pienamente le proprie capacità.

Non va in questa direzione quando spacca il rapporto tra istruzione e formazione, rischiando di riproporre un antiquato rapporto di subordinazione della formazione professionale a quella culturale.

Non va in questa direzione in modo particolare (i colleghi della Commissione lo sanno, perché su questo punto ho molto insistito) per quanto concerne la formazione dei docenti, che qui viene affidata ad una incredibile proposta che sembra fare riferimento ad un pampedagogismo stupidamente convinto che si possa distinguere cosa si insegna dal come si insegna. Non riesco a capire come l’articolo 5 del disegno di legge si collega con l’ordine del giorno presentato dalla maggioranza, ma cercherò di affrontare nuovamente questo punto quando illustrerò gli emendamenti che ho ripresentato.

Non va in questa direzione quando, per ciò che attiene alla figura dello studente, propone un modello che non definirò privatistico (che è già un errore), ma di immediato produttivismo, che è precisamente l’opposto di ciò che serve: a noi serve una scuola pubblica in grado di garantire il rispetto delle diversità e delle pluralità, e di risolvere l’antica querelle tra scuola laica e scuola confessionale a favore di un sistema in cui armonicamente possano convivere scuole di Stato e scuole private. Per queste ragioni, il mio giudizio non può essere positivo.

Concludo il mio intervento lamentando ancora una volta l’assurdo contingentamento dei tempi su un argomento che dovrebbe vedere il dibattito disteso da parte di tutte le componenti politiche e culturali, anche se naturalmente il voto di quest’Aula testimonia come questa mia esigenza sia soltanto un’illusione.

Mi fa piacere che mi stiano ascoltando i giovani presenti in questo momento in tribuna: mi rivolgo in modo particolare a loro. Voglio augurarmi che questa indecorosa scelta del contingentamento dei tempi non sia l’indizio di una blindatura del provvedimento, come è stato in Commissione. Se questo fosse (signora Ministro, consenta che lo dica con pathos), il Governo si assumerebbe una grave responsabilità non solo verso il Parlamento, ma verso il Paese e per quanto mi concerne, per ciò che posso e per ciò che possono valere le mie parole, lo denuncerò con forza, in ogni sede in cui posso trovare ascolto, ad iniziare dall’Aula del Senato della Repubblica. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U e Misto-SDI. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Tessitore. Il suo intervento sarà integralmente pubblicato nel resoconto stenografico con interezza, se lo farà pervenire alla Presidenza.

È iscritto a parlare il senatore Favaro. Ne ha facoltà.

FAVARO (FI). Signor Presidente, signor Ministro, colleghi senatori, il disegno di legge di riforma della scuola arriva in Aula in ritardo rispetto alle speranze di molti e anche alla volontà nostra, che lo appoggiamo. Tutto si può dire di questo disegno di legge eccetto che esso non sia stato preceduto da un lunghissimo ed utile dibattito sui principi ispiratori ed anche sugli aspetti tecnici della riforma, per la difficoltà oggettiva a trovare soluzioni condivise di fronte ad un problema complesso e pregnante come la scuola. E il dibattito non è avvenuto solo in Commissione, ma è avvenuto per merito di una gestione di questo disegno di legge che ha coinvolto il Paese, è avvenuto nelle piazze, è avvenuto nelle scuole.

Vi è stato un dibattito anche all'interno della maggioranza, un dibattito democratico, libero. Si trattava di conciliare riferimenti culturali non coincidenti (il collega Tessitore parlava di culture, culture libere che ognuno di noi ha), si trattava di difendere la nostra cultura, le conquiste della storia, e si trattava di trovare comunque un collegamento con la situazione europea. È stato un dibattito democratico, tra uomini liberi. Rassicuro però il collega D'Andrea sul fatto che non abbiamo mai sentito il bisogno di uno statuto che garantisse la nostra libertà di espressione e la nostra libertà di discussione.

Oggi la maggioranza è concorde nel votare questo disegno di legge, diversamente da quanto alcuni hanno ipotizzato. L'ampia introduzione del presidente Asciutti, la puntuale presentazione dell'articolato da parte del senatore Valditara, cui è seguita l'illustrazione del testo da parte della senatrice Bianconi, che ha fatto riferimento alle linee di fondo e ai valori che stanno alla base del testo di legge (tutti quei valori, quelle "idee forza" che non ha saputo cogliere Ernesto Galli della Loggia in un suo articolo del 3 novembre scorso) mi esimono comunque dal fare una presentazione generale della legge.

Questa riforma, su cui si è impegnata in campagna elettorale la Casa delle libertà si è resa necessaria in seguito alla modifica del Titolo V della Costituzione, soprattutto per quanto riguarda la definizione dei soggetti istituzionali competenti in materia di istruzione. Questo è stato riconosciuto anche dalla Conferenza Stato-Regioni, che ha espresso parere favorevole al disegno di legge in esame.

È una riforma che riteniamo quanto mai utile, avendo verificato che l'applicazione della legge 10 febbraio 2000, n. 30, anche secondo il rapporto del gruppo ristretto di lavoro istituito con decreto ministeriale 18 luglio 2001, n. 672, creava, con l'istituzione di un ciclo di base unico di sette anni, una serie di problemi di realizzabilità, alcuni dei quali qui voglio citare.

Anzitutto la cosiddetta onda anomala: ogni anno e per quattro anni circa il 25 per cento degli alunni avrebbe dovuto passare alla classe successiva saltando un anno di corso, non si sa in base a quali criteri. Quindi lo sconvolgimento di un assetto edilizio e territoriale già consolidato, costruito spesso con grandi sacrifici dalle nostre comunità locali. Il problema dell'edilizia scolastica ha sofferto per mancanza di fondi, ma anche di una certezza regolamentare; si tratta di un patrimonio edilizio costruito con grandi sacrifici dalle nostre comunità locali.

Vi sono poi le incertezze di collocazione professionale dei docenti, che sono chiamati a collaborare per una riforma della scuola, rimanendo in una situazione professionale e personale di assoluta incertezza e precarietà. E, da ultimo, le difficoltà di rendere omogenei stili e metodi di insegnamento miranti ad obiettivi diversi, quelli dell'attuale scuola elementare e dell'attuale scuola media.

Non c'è alcuna polemica con la precedente riforma Berlinguer, e del resto bisogna dire che nei mesi di dibattito in Commissione non ho mai sentito una difesa decisa di una riforma approvata in fretta e della quale con il passare del tempo apparivano sempre più evidenti i limiti.

Bisogna però riconoscere che la riforma Berlinguer ha fatto un passo avanti nel modo di affrontare i problemi della scuola. Precedentemente, ogni intervento nel settore scolastico era condizionato dal rapporto tra sindacati degli insegnanti e burocrazia scolastica e il Governo si limitava a fare da mediatore; con la riforma Berlinguer il Governo prese l'iniziativa, sfidando anche le resistenze corporative.

È opinione largamente condivisa che, per sostenere una fase durevole di espansione, di benessere e anche di stabilità sociale, sono necessari livelli di istruzione più elevati e il miglioramento delle competenze e delle capacità professionali.

La Banca mondiale, dopo avere esaminato la ricchezza pro capite delle varie regioni del mondo, ha concluso che oggi nei Paesi industriali avanzati il contributo del capitale umano alla produzione di ricchezza varia dal 60 all'80 per cento ed è quindi il più importante dei fattori di sviluppo.

L'attuale maggioranza è consapevole della centralità del problema della scuola per la realizzazione di tutti i cittadini e anche per lo sviluppo del Paese; questa convinzione ha espresso in documenti importanti e recenti, e con questa convinzione si è mossa nell'elaborare, nel difendere e nel portare avanti questo disegno di legge in Aula.

Cito alcuni di questi documenti; anzitutto, il Patto per l'Italia, firmato dal Governo con le parti sociali, che ha individuato nell'istruzione e nella formazione uno dei fattori più importanti per migliorare le condizioni dell'occupazione e della mobilità e per un aumento stabile del reddito. Il Patto per l'Italia fa riferimento alla necessità di rafforzare il sistema di istruzione tecnica superiore, creando un canale alternativo all'università e migliorando il sistema di educazione permanente degli adulti.

Nel Documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 2003-2006 il Governo indica i grandi obiettivi macroeconomici (l'innalzamento stabile del tasso di crescita della nostra economia, un miglioramento degli indicatori del mercato del lavoro, l'avvicinamento al pareggio dei conti pubblici) e afferma che questi obiettivi sono raggiungibili solo attraverso riforme strutturali e, tra queste, sottolinea il nostro sistema di istruzione e formazione.

Viste le premesse, è comune l'interesse a uscire da una situazione che presenta un sistema scolastico teorico chiaramente superato e una scuola reale nella quale la sperimentazione selvaggia tenta di uscire dall'arretratezza spesso in modo non coordinato, con costi - non solo economici - spesso sproporzionati rispetto ai risultati.

La riforma della scuola non è un affare che interessa solo gli addetti ai lavori, ma deve coinvolgere tutta la società civile, mirando ad accrescere il capitale umano attraverso la diffusione di tecniche e di competenze.

Voglio citare soltanto alcuni princìpi innovatori del disegno di legge che ritengo importanti e centrali: anzitutto l'istruzione scolastica e l'istruzione e formazione professionale vengono comprese e considerate globalmente nel sistema educativo di istruzione e formazione e concorrono a perseguire i medesimi obiettivi di crescita e valorizzazione della persona umana.

Tutti i vari attori che fanno istruzione e formazione - e sono tanti fortunatamente in Italia - devono entrare nel sistema coordinati, controllati, valutati dallo Stato, al quale la Costituzione riconosce potestà legislativa esclusiva sulle norme generali sull'istruzione e sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Lo Stato dovrà soltanto controllare e valutare il funzionamento del sistema.

Il percorso scolastico viene articolato in due cicli. Il primo comprende le attuali elementari e medie, ma la vera novità sta nel secondo ciclo: distinto in due sistemi, in due canali. Da una parte, gli otto licei e dall'altra il sistema di istruzione e formazione professionale. I due canali hanno pari dignità; qui si vogliono eliminare gli istituti di serie B frequentati da alunni considerati di serie B, molte volte sostenuti soltanto da contributi finanziari in modo precario e insufficiente.

L'associazione nazionale di formazione professionale ha capito e valutato positivamente questa novità e propone di "disegnare un nuovo sistema educativo complessivo in modo da configurare un percorso di formazione professionale chiaramente distinto e autonomo da quello scolastico universitario, integro, continuo, basato sulla metodologia peculiare che prende avvio dalla pratica del fare - incentrato sugli interessi di molti giovani a misurarsi con il lavoro - per delineare un percorso in grado di formare saperi, capacità e competenze, secondo una didattica per centri di interesse nella prospettiva dell'esercizio di un ruolo attivo nella società". Propone inoltre di porre come fine della nuova formazione professionale "il conseguimento di una qualifica professionale riconosciuta sia nelle modalità a tempo pieno (corsi) sia in quella ad alternanza (apprendistato). Le due modalità indicate rappresentano varianti di un unico percorso avente origine comune".

Chi opera nella formazione professionale, quella che funziona (perché c’è anche quella che non funziona), da anni ha maturato la convinzione che non esiste formazione professionale senza una solida cultura di base, necessaria per capire la società per cui si è destinati ad operare e per adattarsi alla sua evoluzione, ai suoi cambiamenti.

È una cultura diversa, meno astratta, ma che sta all’origine della fortuna di tanti piccoli imprenditori, che sono la ricchezza della nostra economia, che ha creato cittadini realizzati, consapevoli artefici della crescita del nostro Paese, cittadini pronti a cogliere le novità, i cambiamenti, pronti a contribuire al progresso della nostra Repubblica, che è fondata sul lavoro, come hanno scritto i Padri costituenti. E non è possibile contribuire a questo se non c’è cultura.

Alla base dell’autentica cultura del fare non può mancare la cultura del sapere, altrimenti abbiamo quella che il senatore Cortiana ha chiamato poc’anzi la cultura del fare immediato. La cultura del fare immediato non esiste; se esiste, non è cultura. Questo l’hanno capito tutti coloro che fanno formazione professionale in modo moderno.

Questa formazione professionale trova il suo posto di assoluta dignità nella riforma che si propone. Chi dubita della possibilità della realizzazione di due canali di pari dignità è vittima, forse senza accorgersene, di un pregiudizio idealistico, che considera solo il sapere umanistico, astratto, come vera cultura ed il resto come cultura dimezzata. Questo pregiudizio ha dato origine in fondo a sistemi scolastici educativi basati su una distinzione netta, priva di possibilità di comunicazione tra un segmento formativo, destinato a trasmettere cultura, e un altro di serie B, con finalità concrete.

Noi siamo per la scuola delle opportunità, che si personalizza secondo le attitudini dei ragazzi. Le differenze devono diventare così opportunità, ricchezza; l’alternativa è la dispersione scolastica povera, anticamera dell’emarginazione.

Viene introdotta l’alternanza scuola-lavoro, finalizzata ad utilizzare a fini educativi il grande potenziale formativo presente nel mondo del lavoro. Ciò dovrebbe avvicinarci all’Europa. Oggi in Italia un giovane su cento, tra i sedici e i diciannove anni, è coinvolto in percorsi formativi di alternanza scuola-lavoro, contro i 50 in Danimarca, i 28 nel Regno Unito e i 19 negli Stati Uniti.

Noi siamo convinti più di qualsiasi altro che c’è il pericolo che l’azienda faccia prevalere le sue esigenze su quelle della scuola. La legge individua alcuni meccanismi perché ciò non avvenga, ma è chiaro che per evitare questo pericolo è necessario far funzionare l’istituzione scuola e motivare il personale dirigente e docente, riconoscendone il ruolo fondamentale ed una retribuzione adeguata.

Prima il senatore Tessitore ha detto che il problema è quello della formazione degli insegnanti, ma io credo che sia anche quello della motivazione dei docenti: non basta formare e per fare una riforma ci vuole un personale motivato. Vogliamo una scuola che funziona, nella quale ognuno adempia ai suoi compiti, perché è la prima forma di educazione per il cittadino di oggi e di domani.

Del disegno di legge va sottolineato come un enorme passo avanti l’articolo 5 ("Formazione degli insegnanti"), che prende in considerazione un problema importante oggi ma essenziale in vista dell’attuazione della riforma stessa, che non può non coinvolgere i primi attori e protagonisti, senza i quali non può arrivare il cambiamento.

È stato scritto giustamente: "Non si va da nessuna parte senza una consapevole partecipazione di chi nella scuola lavora tutti i giorni, cioè i dirigenti scolastici e gli insegnanti", e non si resta facilmente in Europa con una classe insegnante relegata troppo spesso in un ruolo poco più che burocratico.

Sono questi sostanzialmente i grandi temi, le grandi novità di una riforma che tiene conto del dibattito sulla scuola in questi anni in Italia e di quanto sta avvenendo in Europa. Su questi temi si è discusso in un clima politico che, purtroppo, non ha sempre favorito il dibattito.

L'atteggiamento dell'opposizione si coglie dalla relazione di minoranza della collega Soliani, dalle altre relazioni e dai 1.000 emendamenti presentati in Aula. Trovo difficoltà a ribattere o, semplicemente, a dialogare con affermazioni come: "Questo disegno di legge è inconsistente di fronte al futuro".

E quando ci si accusa di voler abbassare l'età dell'obbligo scolastico, come possiamo rispondere se non rinviando alla lettura del disegno di legge stesso, che è chiarissimo, che non parla assolutamente di abbassamento dell'obbligo scolastico, ma di un innalzamento e di una riqualificazione, che recita testualmente all'articolo 2, comma 1, punto c): "è assicurato a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età…"?

La funzione dell'offerta di istruzione e formazione costituisce un dovere legislativamente sanzionatorio nei termini anzidetti di diritto all'istruzione e formazione e di correlativo dovere. Viene ridefinito e ampliato l'obbligo scolastico di cui all'articolo 34 della Costituzione, nonché l'obbligo formativo introdotto dall'articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144.

Posto in questi termini, credo che non ci siano dubbi, solo chi è in malafede può dire che si vuole abbassare l'età dell'obbligo scolastico. Penso di aver fatto bene a proporre l'abrogazione della legge n. 9 del 1999, che poneva l'obbligo scolastico in termini diversi, più limitativi, meno pregnanti.

Concordiamo invece con l'affermazione: "Noi vogliamo rafforzare il sistema nazionale di istruzione … ". Abbiamo però l'impressione che si consideri sistema nazionale solo quello gestito direttamente dallo Stato, che si confonda cioè pubblico con statale. Noi siamo perché lo Stato controlli, indichi gli obiettivi, ma gli attori di una scuola che non voglia ridursi all'autoreferenzialità devono essere molti, sotto la guida, sotto il controllo dello Stato.

Talvolta, c'è l'impressione che da sinistra si critichino affermazioni che nessuno ha fatto, che vengano prefigurati scenari che noi non abbiamo mai voluto costruire. Alla relazione della collega Soliani e ad altre critiche io vorrei rispondere con quanto ha scritto recentemente su Italianieuropei, che si qualifica bimestrale del riformismo italiano, Claudia Mancina, la quale, a proposito dell'opposizione fatta dalle minoranze di sinistra a questo disegno di legge, scrive, leggo testualmente: "Le proposte del Governo Berlusconi non vengono sottoposte ad una critica specifica ed articolata sulla base del loro effettivo contenuto … ma combattute in modo generico, sulla base di luoghi comuni talvolta con poco o nessun rapporto con la realtà … Il rischio è quello di fare solo propaganda: il genere meno efficace di opposizione". E ancora: "Si è dunque attribuita al Ministro la volontà di dequalificare la scuola pubblica, con il preciso intento di favorire quella privata (cattolica) o, alternativamente, di trasformarla in una azienda: argomentazioni desunte dall'armamentario ideologico che ormai ogni anno stancamente viene riproposto nelle assemblee studentesche, diretto allo stesso modo contro l'autonomia, contro la parità, contro la riforma dei cicli, comunque targate. Argomentazioni senza senso in bocca a politici ed esperti di scuola…".

E poi c'è l'altra grande accusa alla gestione della scuola da parte dell'attuale Governo: la riduzione delle risorse e degli organici. L'analisi della finanziaria dimostra che non c'è riduzione delle risorse nella scuola, anzi. La spesa per la scuola è sempre stata legata alle disponibilità di bilancio. Ancor più legata è oggi, in un momento di difficoltà economiche e quindi di disponibilità limitate. In questi momenti è opportuno lavorare soprattutto per qualificare la spesa. Credo che nell'articolo del ministro Moratti di domenica vada sottolineato soprattutto questo, la qualità.

La percentuale di prodotto interno lordo che il bilancio italiano riserva alla scuola, se teniamo conto degli alunni in età scolare dai cinque ai diciannove anni, è superiore a quella di tutti gli altri Paesi europei, eccetto la Germania. Alla fine dell'anno scorso, la stampa nazionale ha dato grande pubblicità ad una ricerca che, in Italia, diceva che la spesa media per uno studente fino a quindici anni era di circa 132 milioni di vecchie lire, mentre la media dei Paesi OCSE è di circa 94 milioni.

La stessa ricerca rivelava che nei 32 Paesi OCSE gli studenti italiani erano al 20-26° posto per capacità di comprensione di un testo, per capacità di affrontare un problema di matematica o di scienze.

L'investimento nella scuola dell'obbligo supera abbondantemente la media dei Paesi OCSE, ma purtroppo è molto inferiore nell'istruzione post diploma e universitaria. Il problema quindi è di ricalibrare le spese, di qualificare, di investire di più nei gradi più alti, senza promettere tutto e di più a tutti.

Del resto, su questo argomento la sinistra dovrebbe solo continuare coerentemente i discorsi iniziati quattro-cinque anni fa quando stava al Governo. La finanziaria del 1998 prevedeva la riduzione di circa 39.000 unità di personale. Allora, il bilancio preventivo prevedeva entrate corrispondenti alla riduzione del 4 per cento del personale, mentre il consuntivo portò un aumento del 5,75 per cento, generando un "buco" nel bilancio pari quasi al 10 per cento del personale.

Il sistema scolastico italiano oggi è inefficiente e quindi iniquo, perché per la sua inefficienza pagano soprattutto gli alunni provenienti dalle categorie economicamente più deboli. E questa inefficienza è destinata a pesare sempre di più sui giovani italiani a mano a mano che si realizza l’unità europea ed essi dovranno confrontarsi con i ragazzi che escono da scuole più efficienti.

Nella convinzione sempre più diffusa che il dibattito sulla riforma ci deve coinvolgere tutti, indipendentemente dalle collocazioni politiche, un gruppo di persone di diversa collocazione, cui è stato fatto riferimento in precedenti interventi, propone alcuni obiettivi che dovrebbero essere condivisi da tutti: la riqualificazione della formazione di base; la valorizzazione della formazione professionale a tutti i livelli; il riconoscimento alle scuole non statali che svolgono un ruolo pubblico di essere parte, con le statali, di un unico sistema scolastico nazionale; la riqualificazione degli insegnanti; il potenziamento di competenze come l’inglese e l’informatica.

A noi pare che il disegno di legge in esame contenga tutti questi obiettivi. Su di essi chiediamo avvenga il confronto, senza ideologismi. Non esiste la scuola della maggioranza e della minoranza, ma la scuola dei nostri figli, la scuola di tutti. (Applausi dai Gruppi FI, UDC-CCD-CDU-DE e AN e del senatore Carrara. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Brignone. Ne ha facoltà.

BRIGNONE (LP). Signor Presidente, signora Ministro, onorevole Sottosegretario, colleghi, nella relazione al disegno di legge e in alcuni autorevoli interventi di senatrici e senatori che mi hanno preceduto e, prima ancora, nel laborioso dibattito in 7a Commissione, credo che i motivi ispiratori di questa riforma e le finalità di ogni articolo siano state ampiamente illustrate, dibattute, giustificate punto per punto, rendendo forse superflua ogni argomentazione aggiuntiva e magari ripetitivi ulteriori interventi.

Presidenza del vice presidente FISICHELLA

 

(Segue BRIGNONE). Eppure alcune considerazioni possono ancora essere aggiunte, anche a fronte dell’impegno e della competenza - occorre riconoscerlo - espressi dall’opposizione in merito alla riforma scolastica, attraverso interventi che hanno sollecitato riflessioni e confronti (e di ciò occorre ringraziare comunque i colleghi).

Ho cercato perciò di raccogliere spunti che, al di là delle contrapposizioni, ci possano accomunare, nell’intento di produrre riforme utili al Paese in un settore nel quale, forse più che in ogni altro settore, occorre investire per il futuro.

La prima considerazione che voglio offrire consiste nel fatto che i limiti, ma anche le qualità della scuola italiana, al di là dei giudizi e delle finalità dettate da ragioni forse più che altro politiche, sono oggettivamente noti. Limiti peraltro non rappresentati soltanto dal documento che ha acceso il dibattito sulla riforma a diversi livelli; questo documento infatti prende spunto da risultanze comparate soprattutto in specifici settori del sapere nei quali i nostri allievi appaiono forse soccombenti rispetto a quelli di altri Paesi, anche emergenti.

In realtà, ogni sistema di istruzione possiede peculiari caratteristiche, derivanti dalla storia e dalla cultura del Paese. In Italia la storia postunitaria dell’istruzione pubblica si è accompagnata a problemi ed eventi storici, economici e sociali e si è rivolta al fine precipuo di alfabetizzare complessivamente il Paese e di creare una coscienza nazionale.

Noi sappiamo però che la situazione scolastica preunitaria nel nostro Paese era molto differenziata da Stato a Stato; si contrapponeva l’obbligo scolastico, diffuso da tempo in certe aree, all’analfabetismo, totale in altre aree molto vaste. Quindi, pur con limiti applicativi noti, le leggi Casati, appena prima dell’Unità, e le leggi Coppino, poi, furono utili ad un Paese dove i centri culturali, pur vivaci e diffusi, avevano comunque e ovunque carattere e dimensione elitari.

Ora, dopo decenni travagliati di riforme per segmenti, non realizzate o non concluse, di sperimentazioni non sempre indirizzate e governate, ci troviamo di fronte ad un sistema in cui convivono punti di eccellenza e aree di scarsa qualità dell'offerta formativa. Una valutazione condotta soprattutto attraverso test e statistiche comparate in ambiti disciplinari, talvolta poco approfonditi, della nostra scuola potrebbe risultare eccessivamente penalizzante rispetto alla realtà. Una realtà, peraltro, che richiede indubbiamente correzioni e riforme, ma non merita un giudizio del tutto negativo.

Ciò che manca al nostro sistema scolastico è l'armonizzazione dei percorsi e la realizzazione compiuta dell'autonomia. Questo perché fino ad ora, per molteplici ragioni che possiamo anche comprendere, si è proceduto per segmenti, a volte senza razionalità. Per esempio, nel recente passato, la riforma dell'esame conclusivo della scuola media superiore ha preceduto la riforma del ciclo che tale esame dovrebbe concludere.

Inoltre, il rinnovamento, la sperimentazione, la grande conquista dell'autonomia comportano, senza dubbio, assunzioni di responsabilità, carichi di lavoro, tramonto dell'autoreferenzialità, della progressione automatica di carriera, forse anche limiti al posto sicuro e alla cattedra a vita; così come la fine di abilitazioni che non corrispondono a posti di lavoro pur creando nelle premesse le aspettative, e così via.

Il rinnovamento della scuola italiana può contare, però, su una parte consistente del corpo docente motivata e preparata, che si aggiorna, sperimenta, spesso precorre le riforme creando, comunque, il terreno favorevole per attuarle; un corpo docente che sa lavorare per obiettivi, che sa instaurare un buon rapporto tra allievo e famiglie, che si prodiga anche per organizzare e monitorare attività parascolastiche quali stage presso aziende, corsi di recupero e partecipazione ad organi collegiali. Spesso questi docenti lavorando in gruppo attuano progetti innovativi di grande respiro.

Con un po' di commozione ho riletto nei giorni scorsi il documento prodotto dal secondo Forum nazionale delle scuole dell'autonomia, tenutosi a Roma nel mese di maggio di due anni fa, e ho constatato, ancora una volta, il buon livello di incidenza pedagogica e la qualità educativa insite in progetti di offerta formativa condotti da docenti che considerano le riforme e il rinnovamento della scuola anzitutto come una straordinaria opportunità. Tutto ciò in ogni lembo del nostro Paese, con tenace e silenziosa laboriosità, pur nella consapevolezza che la retribuzione comunque è stata sino ad ora identica a quella di chi si è sottratto ai propri doveri professionali.

Ho ascoltato molti colleghi denunciare con toni ed espressioni sindacali l'inadeguatezza della retribuzione degli insegnanti. La questione esiste, ma non si può prescindere dal fatto che nel nostro Paese (che, come dichiarato dal senatore Favaro, non spende tanto meno per l'istruzione rispetto ad altri Paesi, ma potrebbe spendere meglio) a tutti i docenti devono essere richiesti, anzitutto, standard di prestazioni professionali adeguate, a costo di intaccare lo stato giuridico.

La razionalizzazione del servizio integrato di istruzione e formazione e un sistema dove la scuola non statale seria offra un contributo significativo, opportunità di confronto e collaborazione potranno anche determinare risparmi che dovranno essere reimpiegati per miglioramenti e incentivi salariali.

È ovvio che sono necessarie ulteriori risorse, anche e soprattutto nel campo dell’aggiornamento, dell’autonomia e dell’edilizia scolastica, problema che in realtà esiste da tempo ma che è emerso, in tutto il suo spessore, in seguito all’attuazione della legge n. 23 del 1996 e agli ultimi luttuosi avvenimenti. Ovunque ora si levano voci per denunciare l’inadeguatezza degli edifici e la necessità di metterli a norma.

Voglio però ricordare ai colleghi che a metà della scorsa legislatura, in merito a tale questione, che mi è ben nota ricoprendo anche la carica di amministratore locale, ho presentato e illustrato in Aula un ordine del giorno, sollevando, forse per primo, la questione relativa all’edilizia scolastica. Mi pare, se ben rammento, che allora nessun collega raccolse le mie sollecitazioni.

Ho cercato, rileggendo gli atti parlamentari, di ripercorrere l’iter della legge n. 30 del 2000 e anche di questo provvedimento per ritrovare postulati finalizzati a riannodare un dialogo tra maggioranza e opposizione che, prescindendo dalle contrapposizioni politiche, si fondi su princìpi e convinzioni oggettive condivise che comunque, mi pare di poter dire, esistono e sono indispensabili affinché non si licenzi una riforma che rappresenti la decisione di una parte soltanto del Parlamento.

Questo disegno di legge si proietta nella scansione di momenti successivi di un processo di riforma a cui siamo chiamati tutti a collaborare, anche con funzioni di verifica sull’andamento del progetto stesso. Ci saranno successivi momenti regolamentari, altrettanto impegnativi, in Commissione e in Aula, per ritornare man mano su ciascuno dei problemi già posti. Queste, peraltro, non sono che le sagge espressioni pronunciate dal ministro De Mauro in un intervento in replica il 21 dicembre del 2000.

Potranno e dovranno essere riprese e approfondite importanti questioni sollevate dai colleghi, affinché il nostro sistema risulti adeguato agli standard dei Paesi più evoluti. Una delle questioni sarà certamente quella della disciplina della valutazione che la senatrice Soliani non vorrebbe affidata soltanto all’Esecutivo preferendo, invece, l’autovalutazione per non arrecare vulnus all’autonomia delle scuole e al ruolo dei docenti. In realtà, anche tale questione può essere risolta superando sia l’autoreferenzialità, troppo diffusa sino ad ora, sia una lettura schematica e semplicistica degli esiti dei test dell’INValSI.

Un’altra questione, è costituita dall’alternanza scuola-lavoro che, comunque, si avvale di un periodo propedeutico tra il termine della scuola primaria di secondo grado e il quindicesimo anno; un periodo importante questo e non già di interruzione, come paventava la collega Acciarini. Credo comunque che siamo tutti d’accordo sul fatto che la funzione preminente e di riferimento, pur in un sistema duale di alternanza, sia svolta dalla scuola. In questo campo si tratta di percorrere una strada nuova, già avviata da tempo altrove con esperienze che ci potranno essere utili.

È abbastanza nuovo per noi anche il tema della formazione permanente, fino ad ora considerato processo aggiuntivo alla formazione iniziale e non già processo integrato di accompagnamento del soggetto che apprende lungo tutto l’arco della vita. Il disegno di legge che stiamo esaminando lo colloca alla lettera a), comma 1, dell’articolo 2 e occorrerà svilupparlo.

Altre sfide saranno rappresentate dall’elevamento dell’obbligo scolastico e non soltanto formativo; la definizione della quota nazionale dei piani di studio in relazione agli obiettivi specifici di apprendimento, stante il vigente valore legale del titolo di studio; la lotta alla dispersione e all’abbandono così diffusi ancora, purtroppo, nella scuola italiana. Come si vede, siamo all’inizio di un laborioso cammino.

C’è però, in conclusione, una questione di fondo alla quale il dialogo parlamentare, pur intenso, ha dedicato, a mio avviso, un’insufficiente attenzione. Si tratta, cioè, di chiarire con precisione i ruoli svolti da ogni soggetto nel campo dell’istruzione e della formazione alla luce dei progetti di devoluzione e di riforma del Titolo V della Costituzione e di possibili, necessarie, future legislazioni concorrenti.

Sinceramente, mi pare un nodo sempre più complesso, man mano che cerco di dipanarlo, anche perché non tutte le forze politiche hanno, sino ad ora, dimostrato chiarezza di posizione e buona volontà di procedere in merito. (Applausi dai Gruppi LP, FI e UDC:CCD-CDU-DE e dei senatori Monticone, Acciarini e Carrara).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Gaburro. Ne ha facoltà.

GABURRO (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, signora Ministro, signor Sottosegretario, colleghi, la riforma della scuola è caratterizzata - come già è stato spiegato da altri colleghi nei loro interventi - dal cambiamento del ruolo dello Stato nelle politiche educative, nel senso del passaggio da una funzione di gestione diretta a una funzione di garanzia, controllo e supervisione, e quindi dall’avvio di forme diversificate, ma convergenti, di integrazione, di decentramento e di autonomia.

In questo contesto, la legge di riforma è saldamente ancorata alle motivazioni che stanno alla base dei processi di cambiamento in atto; vi riconosce infatti due elementi di fondo che non vanno separati, ma considerati insieme nelle loro interazioni.

Il primo è costituito dal fatto che rispetto alle sue tradizionali funzioni, la scuola si trova oggi di fronte a una radicale transizione verso una nuova forma di società, la società della conoscenza, caratterizzata dall’avvento delle nuove tecnologie dell’informazione, dallo sviluppo della civiltà scientifica e tecnica, dalla costruzione dell’Unione Europea e dalla mondializzazione dell’economia.

In questa prospettiva, l’esigenza di una riforma del sistema scolastico è data dal difficile compito di portare la totalità dei giovani, soprattutto quelli più svantaggiati, al livello più alto di qualificazione e di competenza; il sistema formativo, integrato in questa cornice, viene adottato come strategia risolutrice in quanto, attraverso la competizione tra scuole, la diversificazione dell’offerta formativa e il confronto qualitativo, la riforma si propone di ottenere una più elevata e generalizzata qualificazione dei livelli di istruzione.

Ma la riforma affronta con coraggio un altro compito delicato e urgente, che attende un’adeguata risposta da parte del sistema di istruzione e di formazione del nostro Paese. La società italiana di oggi si presenta complessa, culturalmente frammentata e policentrica, e fatica ad elaborare e proporre riferimenti valoriali e formativi condivisi. La riforma della scuola prende in considerazione anche il suo impianto culturale e pedagogico, per poter offrire alle giovani generazioni non solo gli strumenti conoscitivi per trovare posto in una società fortemente caratterizzata dalla scienza e dalla tecnica, ma anche una solida formazione umana nella crescita come persone, soggetti liberi e, al tempo stesso, solidali e responsabili.

Ciò suppone una proposta culturale centrata sulla valenza propriamente educativa dell’istruzione, su valori e orizzonti ricchi di autentici significati secondo un modello umanistico e solidaristico in grado di rinvigorire il tessuto etico del Paese.

Il disegno di legge non separa queste due prospettive della riforma, proprio per non cadere in una concezione utilitaristica dell’educazione, finalizzata esclusivamente alla qualificazione.

L’intrecciarsi di queste due prospettive della riforma, essenziali per lo sviluppo, rende urgente e indispensabile, come si evince dai princìpi base del disegno di legge, l’adozione di una strategia che valorizzi e coordini tutte le diverse risorse educative presenti nella società civile.

L’attivazione di un vero e proprio sistema educativo che si arricchisce dei rapporti di complementarietà tra Stato e società civile significa porre a fondamento della riforma scolastica due importanti princìpi. Innanzi tutto, vi è il riconoscimento che l’educazione è una responsabilità della società intera, comunità e singoli, resi attori invece che consumatori passivi, chiamati a gestire democraticamente le iniziative formative. In secondo luogo, vi è il riconoscimento dell’irrinunciabile ruolo di promozione, garanzia e controllo dello Stato rispetto ai diritti della persona di ricevere un’istruzione e un’educazione adeguate e secondo libera scelta.

Un tale rinnovamento può essere sinteticamente rappresentato come il passaggio da una scuola sostanzialmente dello Stato ad una della società civile, certo con un perdurante e irrinunciabile ruolo dello Stato, ma nella linea della sussidiarietà.

Siamo consapevoli che un simile passaggio esige realismo e gradualità, così da tener conto della situazione esistente, dei valori e dei legittimi diritti in essa presenti, della storia concreta e della struttura formativa del Paese; nel contempo, però, sappiamo e vogliamo guardare in avanti e rendere possibile, anche sul piano scolastico e formativo, la valorizzazione di tutte le risorse della nostra società, nella prospettiva di una piena libertà della scelta educativa dei cittadini e delle famiglie e di una sana e costruttiva emulazione.

È questa la via per rendere più agile, dinamico e in definitiva in grado di rispondere all’attuale domanda formativa l’intero sistema scolastico italiano, riconoscendo senza riserve la funzione pubblica che svolgono in esso, unitamente a quelle dello Stato, le istituzioni scolastiche non statali.

Va affermato il riconoscimento reale e pieno della libertà di educazione, che si basa sul diritto di ogni persona, sancito dalla Costituzione, ad educarsi e ad essere educata secondo le proprie convinzioni e sul correlativo diritto-dovere dei genitori di decidere dell’educazione e del tipo di orientamento valoriale da offrire ai propri figli minori.

L’assunzione di questo principio e la rimozione degli ostacoli che ne limitano o che addirittura ne rendono impraticabile l’esercizio sono alla base di un profondo rinnovamento dell’attuale assetto del nostro sistema di educazione e formazione.

In questa luce, va anche ricordato che nel nostro Paese non sono ancora superate le difficoltà che, di fatto, impediscono la libera scelta della scuola. In proposito, è insufficiente quanto previsto dalla legge n. 62 del 2000 sulla parità. Il diritto allo studio e all’istruzione mostra i suoi limiti di incompiutezza.

Infatti, dalle "norme sulla parità" che regolano gli aspetti giuridici delle scuole che la chiedono non si traggono fino in fondo le logiche, naturali conseguenze sotto tutti gli altri aspetti, compresi quelli finanziari. Inoltre sul tema della parità si inseriscono in modo inaspettato, e per certi versi ambiguo, disposizioni finanziarie che riguardano il diritto allo studio, con l'assegnazione di borse di studio inadeguate a coprire le spese di istruzione derivanti dalla scelta di una scuola paritaria.

Perché la scuola italiana possa raggiungere il traguardo di essere veramente la scuola della società civile, basata sulla libertà di scelta e sul principio di sussidiarietà, si devono porre le stesse condizioni di esercizio per tutte le istituzioni scolastiche, statali e non statali, che adempiono ai requisiti previsti dalle norme generali sull'istruzione, nel rispetto della libera espressione di tutte le aspirazioni che compongono la società civile.

La riforma costituzionale conseguente al referendum del 7 ottobre 2001 ha spostato importanti poteri verso le Regioni e gli enti locali. L'istruzione - è stato ricordato - è diventata materia concorrente. Viene sancita la competenza regionale su istruzione e formazione professionale. La riforma ruota attorno al concetto chiave di sussidiarietà, e cioè attorno al principio che i pubblici poteri vanno esercitati al livello più vicino possibile ai cittadini. Tendono pertanto ad ampliarsi le responsabilità degli enti locali, che già erano state conferite in forza del decreto legislativo di attuazione della legge sull'autonomia scolastica.

Un'altra importante e qualificante parità riconosciuta nel progetto di riforma è quella tra formazione professionale e scuola. Nella prospettiva di un sistema formativo policentrico, si tiene presente l'esigenza di dare una collocazione paritaria e coordinata del sistema di formazione professionale con quello scolastico, in ordine sia alle modalità previste per l'assolvimento del diritto-dovere formativo, sia alla creazione di canali formativi successivi (formazione professionale iniziale e superiore), dove siano presenti percorsi alternativi rispetto a quelli scolastici tali da consentire a ragazzi, giovani e adulti un'effettiva libertà di scelta.

Il lavoro manuale non è solo produttivo di beni economici, ma anche di criteri di giudizio sulla vita e sulla storia, e quindi va considerato un elemento importante nella elaborazione dei curricula formativi. Ecco perché la tradizione della scuola non statale nel nostro Paese ha offerto significative esperienze di formazione professionale, non copia sbiadita della più forte e vera educazione scolastica, ma luogo dove si può costruire un progetto educativo originale, fondato su una cultura che scaturisce dal lavoro e per il lavoro.

L'impegno culturale di fondo consiste nel far sì che sia possibile realizzare e promuovere un'integrazione armonica fra formazione generale, scientifica, tecnica e professionale. Le professioni e il lavoro devono certamente entrare in gioco con il loro peso specifico nella progettazione del percorso scolastico; anzi, essi hanno senz'altro in sé una valenza formativa e culturale, come testimonia anche la ricca e feconda esperienza dei centri di formazione professionale, che costituiscono un'espressione e una componente rilevante della scuola non statale.

Ma se nella società del futuro la conoscenza sarà la principale risorsa personale, emerge con chiarezza che il riferimento alle competenze professionali è insufficiente a costituire una base umanamente ed eticamente valida per l'opera formativa della scuola.

Pertanto, sia negli orizzonti e specificamente nei curricula dell'istruzione scolastica, sia in quelli della formazione professionale non possono essere lasciati in ombra gli aspetti più propriamente umanistici e solidaristici, senza i quali sarebbe impossibile progettare interventi di educazione, formazione e istruzione, mirati allo sviluppo della persona umana.

Il progetto di riforma traccia una visione del sistema scolastico che vede il concorso simultaneo di soggetti istituzionali e riconosce piena responsabilità alle diverse soggettività che si incontrano sul terreno formativo, a cominciare da quella dei genitori, che reclama un reale radicamento delle istituzioni scolastiche nel tessuto vivo della società civile, mediante interazione con i diversi soggetti in essa operanti, e condivide con convinzione l'armonico intreccio fra istruzione e formazione professionale sulla base di una comune attenzione alle dinamiche umaniste.

La questione antropologica costituisce oggi il nodo culturale e formativo con cui siamo chiamati a confrontarci. È una questione che si pone in forma radicale, che pone in questione la centralità del soggetto e la natura delle relazioni interpersonali. L'uomo stesso è messo sempre più profondamente in questione, a livello pratico prima che teorico, nella propria consistenza biologica come nella coscienza di se stesso, mentre l'esaltazione dei sentimenti porta alla crisi dei legami stabili e duraturi.

Sul terreno della questione antropologica si gioca il futuro della società e dell'educazione. È nostro compito portare questi interrogativi all'interno di un progetto educativo che vuole tenere conto del sapere e delle sue esigenze proprie, ma anche della collocazione responsabile della persona e della società.

Il disegno di legge traccia i princìpi generali nell'ambito dei quali dovranno essere precisati, ad opera del Ministero, i contenuti didattici. Tuttavia, il disegno di legge non è una struttura vuota nella quale si potrà poi inserire ciò che si vorrà; è un passo necessario per coniugare nell'offerta didattica e formativa le esigenze della modernità con quella dell'autentica preparazione dei ragazzi.

Il disegno di legge dedica particolare attenzione al personale docente cui in gran parte viene affidata la riforma. Si prevede un importante e innovativo ripensamento del reclutamento e della formazione iniziale e permanente degli insegnanti. La qualità e la qualificazione dei docenti è elemento strategico determinante per la qualità della scuola.

Fondamentali e innovative sono le proposte sul rapporto tra scuola e università; in particolare si prevede la costituzione presso le università delle strutture didattiche di ateneo e di interateneo per la promozione e la gestione di alcuni strumenti nuovi, quali le lauree specialistiche per l'insegnamento e i centri di eccellenza per la formazione degli insegnanti.

Le lauree specialistiche per l'insegnamento rappresentano una proposta avanzata in linea con le migliori esperienze internazionali, sintesi avanzata di equilibrio tra una solida e fondamentale formazione disciplinare, per la quale si deve opportunamente prevedere l'impegno principale, e al contempo una coerente e moderna formazione didattica che riguarda sia la formazione psicopedagogica sia la didattica disciplinare.

Questa proposta mira ad offrire concretamente una scuola qualitativamente più elevata. La qualità della scuola è un messaggio che non si presta a fraintendimenti e mette in mora una politica che, apparentemente ispirata alla solidarietà, ha prodotto appiattimento, sprechi, non qualità.

Basti pensare che nel nostro Paese non esistono alcuna carriera per gli insegnanti e nessun reale premio per il merito didattico. Basti pensare che è un diritto degli studenti quello di avere insegnanti ben preparati e capaci di trasferire loro le conoscenze necessarie per il loro sviluppo di persone e di cittadini. La qualità deve essere l’indirizzo guida della futura politica scolastica del Paese. I centri di eccellenza per la formazione degli insegnanti nascono da un emendamento presentato in Commissione dai senatori dell’UDC.

Il disegno di legge si colloca in un contesto culturale nuovo e coraggioso. Le riforme si realizzano e vivono se sono pervase da forti ragioni ideali e sostenute da persone motivate e preparate. Noi dell’UDC siamo convinti che la sfida dell’avvenire del Paese troverà nella scuola e nella politica del Governo e della Casa delle libertà motivazioni forti e che non mancheranno docenti, dirigenti e personale che affronteranno con convinzione e con passione il compito di istruire e di educare.

Questa riforma, completata quanto prima con la riforma della parità, deve diventare il motore dell’impianto riformatore complessivo, che Governo e Casa delle libertà stanno realizzando, pur tra inevitabili difficoltà, con determinazione ed entusiasmo. (Applausi dai Gruppi UDC:CCD-CDU-DE e FI. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Monticone. Ne ha facoltà.

MONTICONE (Mar-DL-U). Signor Presidente, signora Ministro, onorevole Sottosegretario, colleghi, dopo gli interventi di alcuni insigni esponenti dell’opposizione e di alcuni della maggioranza, mi limiterò a qualche considerazione di carattere generale, riservandomi di intervenire durante l’esame degli emendamenti.

Mi ritrovo naturalmente nella relazione di minoranza della senatrice Soliani, ma ho anche apprezzato gran parte della relazione di maggioranza del presidente Asciutti. Egli ha collocato giustamente la riforma proposta nella storia delle riforme scolastiche dal Risorgimento ad oggi. È pregevole il profilo storico tracciato dal relatore, ma la proposta dell’attuale Governo non può essere certo paragonata né in senso negativo, né in senso positivo ai grandi momenti di cambiamento del nostro sistema d’istruzione, che erano correlati a tappe importanti – anche negative – della nostra vicenda nazionale.

La presente riforma è un evento prevalentemente operativo ed organizzativo; non credo che sia foriera di una stagione nuova per la scuola italiana sotto il profilo della cultura complessiva del nostro Paese. La centralità della scuola nella vita nazionale non si misura infatti solo con la forza e l’intelligenza dell’impegno riformatore, né con l’adeguamento alle trasformazioni istituzionali, per esempio alla modifica del Titolo V della Costituzione. La centralità della scuola, al contrario, si misura con la capacità di rispondere alle domande culturali e sociali del proprio tempo. È essenziale infatti la qualità dell’istruzione, del servizio ai cittadini, dello stesso progetto di società. Ecco, credo si debba avere presente un progetto di società che non parta soltanto dalla volontà e dalla costruzione della forza politica che è maggioranza nel Paese, ma che emerga da una considerazione effettiva della storia del nostro Paese.

Le riforme scolastiche credo debbano rispecchiare e governare al tempo stesso il mutamento e l’evoluzione della società e della cultura.

Il disegno di legge in discussione è fondato molto sulla delega. A questo proposito vorrei osservare che, al di là delle questioni di natura costituzionale e procedurale, la delega, nell'ottica della scuola che deve rispettare e governare il mutamento e l'evoluzione della società, o è eccessiva o è inadeguata. Può essere eccessiva, e secondo me lo è, proprio perché, al di là di alcune affermazioni di principio, non si indicano con chiarezza alcuni aspetti operativi corrispondenti ai grandi valori. Ma oltre ad essere eccessiva, può anche essere, ed a mio avviso è così, inadeguata, nel senso che le sfide culturali e profonde della nostra società e di questo tempo sono tali che essa non basta, cioè è inadeguata in sé a costruire una scuola nuova.

La delega richiesta non sembra pertanto corrispondere a quella esigenza della centralità della scuola fondata sul rispecchiare e governare il mutamento e l'evoluzione della società e della cultura. Alcuni principi espressi nel disegno di legge sono infatti simili o uguali a quelli della legge n. 30 del 2000, ma la realtà odierna non pare ben conosciuta e quei principi rischiano di rimanere un'espressione di buona volontà, per essere poi di fatto contraddetti, nella loro concretezza, dai successivi passi. Manca infatti, a mio modo di vedere, al di là degli aspetti pedagogici, la risposta ad un'analisi dei problemi formativi del nostro tempo. Qui mi richiamo a quanto espresso, sia in Commissione sia in Aula, dal senatore Tessitore.

Alcuni aspetti delle attese della società contemporanea sono così urgenti che dovrebbero stimolare il Parlamento e il Governo, quest'ultimo con l'appoggio del primo, ad affrontarli con chiarezza, con l'apporto di tutti. Parlo, per esempio, dell'orizzonte universalistico e della sfida della globalizzazione che è fatta, come sappiamo, da universalismo e da localismo, che ha quindi due facce (la globalizzazione è la sfida di Giano del nostro tempo); della cittadinanza europea, che è stata ricordata anche dal senatore Gubert; dell'opportunità di non accumulare conoscenze e formazioni della persona, ma andare oltre, educare all'apprendimento critico e alla flessibilità formativa e anche alla formazione flessibile.

Il rapporto tra sapere e tecnica, per esempio, che è certamente un aspetto che immagino verrà trattato nell'applicazione della delega, a mio parere deve essere più approfondito, proprio metodologicamente, nell'uso sapiente della tecnologia. Noi abbiamo infatti nel nostro tempo l'utilità del fare e del produrre, ma soprattutto la necessità di rispettare il preminente valore dell'essere. A questo si aggiunge l'essere nei suoi linguaggi, ovviamente non in termini materiali, ma nei termini di espressione, di comunicazione e di partecipazione alla comunità.

La finalizzazione dei saperi alla maturità umana e civile è necessaria, primaria e prioritaria rispetto al successo professionale o educativo, in termini meramente pedagogici. Credo che una legge non possa filosofeggiare, e immagino qualche osservazione in merito da parte di colleghi, non possa esprimere una filosofia sul mondo, ma l'approfondimento della realtà del nostro tempo e la libera volontà di interpretarlo e di incidere in esso devono trasparire dall'impianto normativo.

A maggior ragione, quando questo impianto è affidato ad una delega.

Il testo in esame resta nel solco degli sforzi di correzione e di aggiornamento della situazione preesistente, con la legge n. 30 del 2000 e, là ove introduce nette variazioni (età, due canali, obbligo scolastico sostituito dal diritto-dovere all’istruzione, rapporti con gli enti locali), adotta un metodo deduttivo dal progetto politico e non quello storico-induttivo che con il primo deve confrontarsi e su di esso, in certa misura, prevalere.

Essa dunque non è, per tale ragione, una vera riforma, non perché appare tornare al sistema precedente alla legge n. 30 del 2000, ma proprio nel metodo. La legge resta infatti ad un bivio, a metà strada tra l’indirizzo generale e la strutturazione vincolistica del percorso formativo. La delega propende ancora di più verso questo secondo obiettivo.

La nostra posizione è critica, ma, nell’interesse dei giovani, abbiamo cercato in Commissione (anche con l’apertura, devo dire, del Presidente della Commissione e con la costante presenza e partecipazione dell’onorevole sottosegretario Aprea, prevalentemente) di collaborare in sede emendativa; continueremo a farlo anche in Aula e magari, come vorremmo, nelle tappe esecutive della delega, anche al di là - se è possibile - delle forme strettamente parlamentari previste dal nostro ordinamento.

Ci attendiamo che il Governo, con l’ausilio del relatore, accolga però alcuni suggerimenti nostri, proposti in 7a Commissione, per i quali aveva lasciato intendere che avrebbe provveduto in Aula; soprattutto vorremmo che la delega fosse ridotta il più possibile, se non magari eliminata nei fatti, cioè nel suo modo di essere gestita.

Il nostro obiettivo - e mi avvio alla conclusione - è di ottenere maggiori garanzie e libertà per studenti, famiglie, docenti, nonché più realistica autonomia per le scuole, come hanno detto tanti, direi nella grande maggioranza in quest’Aula. Ma soprattutto vorremmo un più chiaro e incisivo apporto culturale, attento ai contenuti dell’offerta formativa e ai metodi della comunicazione. Una certa mancanza di chiarezza è, fra l’altro, indicata dalle norme sulla preparazione dei docenti e dalla fragile correlazione con la cultura specialistica e con i suoi problemi comunicativi (vedi, per esempio, i corsi di laurea specialistica). Proprio i criteri generali e i livelli essenziali esigono minore organizzazione e maggiore apertura culturale.

In conclusione, il disegno di legge n. 1306 è in prima lettura: chiediamo al Governo e alla maggioranza di non custodire gelosamente il testo, ma di introdurvi un respiro culturale e sociale che lo faccia uscire dal carattere di misura politica troppo rispondente alle intenzioni di chi lo ha proposto, o ai programmi elettorali, e lo faccia divenire una riforma per il Paese, per tutto il Paese.

Noi preferiremmo che il Governo potesse avere successo con una buona riforma, piuttosto che criticare poi a ragione una riforma dannosa per la scuola. Temiamo invece che il successo ricercato dal Governo sia purtroppo prevalentemente di natura politica, nonostante le buone intenzioni del Ministro, del Sottosegretario e di una parte della componente della maggioranza della 7a Commissione. In questo caso per la scuola e in questo momento il maggior vero successo politico, anche per un Governo, ma soprattutto per il Parlamento, risiede in un’azione il più possibile scevra da intenzioni di vittoria politica. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U e dei senatori Brignone e Tessitore).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Bevilacqua. Ne ha facoltà.

BEVILACQUA (AN). Signor Presidente, signora Ministro, signora Sottosegretario, colleghi, vorrei partire da un’apertura che mi pare sia stata fatta qui da tutti, compresi i colleghi dell’opposizione, forse sulla scorta anche dei tragici fatti di San Giuliano, dove sono morti diversi bambini, fatti che ci hanno emotivamente coinvolto: mi riferisco alla sollecitazione ad investire in sicurezza, in edilizia scolastica (lo ha sottolineato il collega Cortiana, mi pare anche il senatore D’Andrea). Io credo che questo sia un segnale di apertura del quale il Governo, la maggioranza e l’opposizione, in definitiva tutti quanti noi dobbiamo farci carico: non è un problema ulteriormente rinviabile, signora Ministro.

Non intendo neanche per un attimo aprire una polemica, che peraltro non sarebbe per niente opportuna, neanche riprendendo lo spunto dalle critiche rivolteci da parte di qualche collega che ci ha accusati di aver tagliato i fondi. I fondi sono quelli che sono, la situazione economica mondiale, non solo italiana, è difficile. Forse un suggerimento da cui si potrebbe partire è quello sottolineato dal senatore Valditara che ha proposto di coinvolgere i privati nella ricostruzione delle scuole, e nell'investimento in sicurezza dell'edilizia scolastica. Forse questo potrebbe essere un punto dal quale partire tutti insieme. Ciò è possibile e ritengo che non si possa più perdere tempo.

Detto questo, al di là delle polemiche, su due fatti maggioranza e opposizione possono essere assolutamente d’accordo. Innanzitutto sull'urgenza di una riforma della scuola. Non possiamo più andare avanti con la riforma Gentile che ormai ha compiuto settant'anni, non è più in grado di far fronte ai tempi che cambiano e alle esigenze di una società che corre veloce. A parte il fatto, signora Ministro, che mi domando se sia ancora in vigore la riforma Gentile visto che la scuola è attraversata da ogni serie di sperimentazioni. Forse non vige più la riforma Gentile e, di conseguenza, si avverte l'esigenza di un cambiamento a seguito della modifica della disciplina previgente. Tale necessità si avverte anche a seguito dell'approvazione della legge n. 18 del 2001 di modifica del Titolo V della Costituzione che attribuisce alle Regioni competenze diverse e quindi modifica le competenze di Stato e Regioni sulla scuola. Non vi è dubbio, dunque, che vi è urgenza di intervenire con una legge di riforma.

La critica dell'opposizione, che è stata di metodo e di merito, si è concentrata molto sul fatto che questa legge di riforma è una legge delega. Ci viene detto che se procediamo alla riforma della scuola attraverso una legge delega affidiamo la modifica della legislazione scolastica al Governo e alla maggioranza, espropriando di fatto l'opposizione del suo ruolo e quindi una parte del Parlamento. Il ragionamento di per sé potrebbe essere anche esatto però, senatrice Soliani, senatore D'Andrea, voi dimenticate le ragioni per cui oggi non è in vigore la riforma Berlinguer. Quest'ultima non è in vigore perché demandava all'approvazione di regolamenti l'attuazione della legge medesima. E questi regolamenti non erano altro che una delega al Governo a riempire di contenuto una cornice e una proposta di base. Ed allora mi chiedo cosa stiamo facendo di più rispetto all'operato di Berlinguer in questo settore. Tra l'altro, abbiamo assunto un impegno con il Paese per cui se avessimo vinto le elezioni avremmo modificato la legge Berlinguer. Le elezioni le abbiamo vinte, forse anche per questo motivo, per cui stiamo dando seguito ad un impegno assunto nel Parlamento e nel Paese.

Qualche collega ha affermato che la maggioranza ha blindato il testo, ma ricordo che accadde lo stesso da parte dei colleghi della sinistra. Il testo giunse in Aula senza relatore e fu approvato a colpi di maggioranza (grazie a tre o quattro voti, perché questi erano i numeri di cui disponeva la maggioranza di sinistra nella precedente legislatura).

 

Cerchiamo allora di vedere cosa si può fare per migliorare questo testo e riempirlo di contenuti, perché l’aspetto strutturale credo che sia difficilmente criticabile. Sinceramente, non so in cosa trovino sostegno le critiche dei colleghi dell’opposizione.

Una critica che è stata mossa è che, di fatto, staremmo abbassando l’età dell’obbligo scolastico. Ma dove è scritto? Non riesco a leggerlo, senatrice Franco! Cos’è infatti un diritto-dovere, se non un obbligo? O forse non ci intendiamo sull’italiano! Credo che il diritto-dovere non sia altro che un obbligo scolastico e nel disegno di legge si prevede che gli studenti esercitino il loro diritto-dovere fino all’età di diciotto anni o fino al conseguimento di una qualifica. Questa affermazione mi sembra quindi davvero strumentale.

Certo, qualche dubbio lo hanno espresso anche alcuni colleghi della maggioranza per quanto riguarda la possibilità di anticipare di sei mesi l’entrata nel mondo della scuola, sia dell’infanzia che elementare. Io francamente non credo che in merito ci sia da combattere una guerra; del resto, c'è la possibilità di verificare gli effetti che tale previsione avrà, se saranno positivi o meno. Personalmente sono andato a scuola a cinque anni: non sono un genio, ma neppure un cretino; non mi pare che chi è andato a scuola a cinque anni abbia poi avuto ridotte capacità di inserimento nella società (ma per carità!). Comunque si può valutare.

A mio avviso, l’aspetto positivo della riforma è che si arriva a conseguire un diploma a diciotto anni e mezzo, avvicinandosi così ai parametri della maggior parte dei Paesi europei, senza diminuire di un anno il corso degli studi. Un altro aspetto positivo è l’aver mantenuto intatti i tredici anni del corso degli studi (i cinque anni della scuola elementare, i tre anni della scuola media e i cinque anni della scuola superiore).

La scuola superiore - anche questo va sottolineato - viene attivata su due percorsi, quello dei licei e quello della formazione professionale, che hanno pari dignità. Sono percorsi flessibili, nel senso che si può passare benissimo da uno all’altro durante tutto il corso degli studi. Per chi segue il percorso della formazione professionale è consentito accedere all’esame di maturità frequentando un quinto anno che - badate bene, colleghi - non è un anno integrativo, poiché si conclude prima di accedere all’esame di Stato. I percorsi quindi sono assolutamente identici sia nello spazio temporale sia per dignità, tant’è che - lo ripeto - si può passare, fino all’ultimo anno, da un percorso all’altro.

Da parte dei colleghi dell’opposizione è stato sostenuto che per l’alunno decidere a tredici anni quale tipo di percorso intraprendere è una scelta troppo impegnativa, che a quell’età non si è in grado di compiere. Ripeto, la flessibilità già può consentire di correggere qualsiasi tipo di errore, ma mi permetto di ricordare che fino a qualche anno fa il ragazzo a tredici anni era obbligato a scegliere se uscire o meno dalla scuola: quella era una scelta davvero molto più impegnativa rispetto a quella a cui lo si vuole obbligare oggi!

Mi sembra che davvero sul piano dei contenuti ci sia poco da criticare. Si introduce la valutazione del sistema, che mi pare, anche questo, un fatto positivo e si reintroduce il voto di condotta. Mi auguro, Sottosegretario, che il voto di condotta faccia parte dei provvedimenti curriculari, cioè che venga considerato insieme a tutte le altre voci di valutazione, per cui un cattivo voto di condotta possa consentire anche la bocciatura (non dico da solo, ma ritengo che debba essere inserito in questo meccanismo, altrimenti non avrebbe alcun senso reintrodurlo).

Questi sono gli aspetti dell’impostazione complessiva del disegno di legge che credo possano essere condivisi. Vorrei aggiungere qualcosa per quanto riguarda la definizione della delega, perché ora si tratta di riempire di contenuti la cornice dell’intero provvedimento.

A me sembra che, al di là del discorso della formazione, si sia tenuto poco conto degli insegnanti, ai quali dobbiamo restituire dignità anche economica, onorevole Sottosegretario. La situazione è difficile, lo abbiamo già detto, ma un impegno che si può iniziare a prendere è di reinvestire nella scuola tutto ciò che si risparmia nella scuola. Nella prossima finanziaria sono sicuramente previsti provvedimenti (personalmente non li condivido tutti) con i quali si otterranno dei risparmi. Forse i parametri relativi agli insegnanti di sostegno dovrebbero essere rivisti, perché probabilmente sono sottostimati rispetto alle esigenze della scuola; ritengo pertanto che sia necessaria una riflessione su questo punto. I risparmi che si otterranno vanno comunque utilizzati per ridare dignità, anche economica, agli insegnanti.

Altro argomento sul quale occorre fare una riflessione seria, insieme ai colleghi dell’opposizione, è quello relativo ai progetti e alle funzioni obiettivo, che a mio avviso hanno arrecato solo danni nelle scuole, creando una serie di conflittualità all’interno del corpo docente che dà vita a delle vere e proprie lotte su chi deve gestirli, per pochi soldi. Si generano soltanto conflitti, senza raggiungere (almeno per le esperienze personali maturate all’interno del mondo della scuola e per quanto ascoltato dai colleghi) obiettivi significativi.

Forse allora si può pensare di destinare tali risorse ad interventi curriculari non obbligatori quali l’insegnamento del diritto, dell’economia, del teatro, della musica e della sociologia. In particolare, l’introduzione della figura del sociologo nelle scuole credo non sia ulteriormente rinviabile, onorevole Sottosegretario. Il sociologo è necessario in ogni scuola per dare la possibilità agli studenti di comunicare con i professori e ai professori di dialogare tra di loro; nella scuola vi è un problema di comunicazione che a mio parere deve essere seriamente affrontato.

Ritengo poi che si debba stabilire il part time obbligatorio per i colleghi che svolgono un secondo lavoro, che esercitano la libera attività, o altrimenti prevederne l’uscita dal mondo della scuola. Non credo sia un fatto secondario.

Mi avvio alla conclusione con un brevissimo riferimento all’esame di Stato. E qui debbo fare una sorta di autocritica, perché anch’io ho votato quella riforma: così com'è, non va bene, onorevole Sottosegretario. L’esame di Stato va rivisto perché le commissioni interne non servono assolutamente a nulla, come credo sia necessario riflettere sulla figura del presidente che all’interno delle commissioni svolge solo funzioni di notaio. Credo infatti che i ragazzi debbano abituarsi a sostenere prove d’esame anche con persone che non conoscono perché la vita stessa poi li porterà a riflettere, a discutere, ad affrontare esami e colloqui con persone non di loro conoscenza.

È opportuno dunque che venga reintrodotta una commissione esterna, seguendo meccanismi che saranno poi studiati. Si potrebbe pensare, ad esempio, ad un equilibrio dei componenti, metà interni metà esterni, come era una volta. Non ho una soluzione, però senza dubbio l'esame di Stato com'è oggi configurato deve essere rivisto.

Deve essere rivisto anche il fatto che insegnanti senza alcun titolo specifico vadano a fare i presidenti nelle commissioni per gli esami di Stato. E' una situazione che va approfondita opportunamente e una riforma che non può essere ulteriormente rinviata.

Credo che su questi aspetti dovremo ridiscutere, fermo restando che condividiamo totalmente l’impianto complessivo della legge di riforma, siamo ad esso pienamente favorevole ed esprimeremo quindi il nostro voto con assoluta convinzione e con assoluta certezza di fare il bene del Paese, oltre che della scuola italiana. (Applausi dai Gruppi AN, FI e UDC:CCD-CDU-DE ).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Tonini. Ne ha facoltà.

TONINI (DS-U). Signor Presidente, signora Ministro, colleghi senatori, nella sua bella relazione di minoranza la senatrice Soliani ha detto che nell’istruzione vi è il tesoro del Paese: lì è il nostro futuro, la sua memoria e la sua coscienza.

Queste parole hanno assunto un significato del tutto particolare nelle nostre menti e nei nostri cuori dopo i tragici fatti di San Giuliano di Puglia. Quel tesoro, cui si riferiva la senatrice Soliani, è rappresentato innanzi tutto dai nostri bambini e dai nostri ragazzi e quel tesoro - come ha detto, a nome di tutti noi, il Capo dello Stato - non abbiamo saputo proteggerlo in quella terribile circostanza.

Di questo tragico scacco credo che portiamo tutti una quota di responsabilità, come classe dirigente del Paese. Questa consapevolezza ci ha fatto tutti apparire inadeguati dinanzi ai nostri stessi occhi e dinanzi alla grande prova, non dirò di eroismo, ma più seriamente di professionalità delle maestre di San Giuliano. Sarebbe bene se questa coscienza di inadeguatezza di fronte a temi tanto grandi e complessi ispirasse il nostro confronto su una questione ardua e impegnativa (ne ha parlato poco fa, con la consueta profondità, il collega Monticone), come quella di riformare l’ordinamento scolastico del Paese.

E' un’impresa che credo tutti dovremmo riconoscere come storica, alla quale dovremmo accingerci con la consapevolezza che la scuola è l’istituzione della nostra vita associata che andrebbe, più di ogni altra, sottratta ad una visione manichea del conflitto politico ed andrebbe curata dalla politica con attenzione e discrezione sulla base di una visione nella quale tutte le parti, le forze politiche, condividano il medesimo senso del limite e il medesimo rispetto per l’autonomia della più importante istituzione educativa e formativa, dopo ed insieme alla famiglia.

Dovrebbe accomunare entrambi gli schieramenti politici la consapevolezza che le decisioni che Governo e Parlamento assumono oggi riguardo alla scuola hanno una durata nel tempo che scavalca il presente per immergersi nel futuro e che gli effetti di quelle decisioni oltrepassano di gran lunga i cicli dell’alternanza politica.

Non sarà un caso - lo ricorda la senatrice Soliani nella sua relazione - se l’amministrazione Bush, proprio sulla riforma della scuola, ha cercato un confronto ravvicinato con il Partito democratico ed ha, alla fine, varato un pacchetto di misure che si discostano non poco dalla linea repubblicana sostenuta in campagna elettorale di una privatizzazione spinta del sistema, facendo proprie invece tante suggestioni che venivano dalla parte democratica.

Ci chiediamo se è possibile sperimentare anche in Italia, nel nostro Paese, in questo passaggio storico così importante, un bipolarismo meno primitivo ed una accezione più matura del principio maggioritario proprio a partire dal tema della scuola.

Se dobbiamo valutare l'esperienza di questo dibattito, non possiamo non dare un giudizio a chiaroscuri. Naturalmente c'è stata la grande disponibilità ed attenzione del presidente Asciutti, che ha garantito un dibattito approfondito in Commissione. E tuttavia non possiamo non esprimere la delusione rispetto al contingentamento dei tempi in Aula, che comprime necessariamente il confronto davanti agli occhi del Paese, che pure sarebbe importante, come deludente è il dato di fatto che nessun emendamento dell'opposizione è stato accolto in Commissione.

Fatichiamo a sfuggire all'impressione che il prolungarsi dei tempi del confronto, che pure c'è stato in questi mesi, sia stato dovuto più che altro ad uno strisciante ostruzionismo di maggioranza, alle prese con le sue contraddizioni interne. La più macroscopica - vorrei ricordarlo - è che la prossima settimana è stata imposta all'ordine del giorno di quest'Aula, con un ricatto interno alla maggioranza, la discussione del disegno di legge sulla devolution, che si muove in una direzione uguale e contraria a quella del provvedimento con cui il Governo oggi chiede una delega sui temi della scuola. Noi voteremo, anzi voterete, questa settimana una delega al Governo, per prepararci la prossima settimana a sostenere invece che è delle Regioni la competenza esclusiva sui temi fondamentali relativi alla scuola.

Siamo preoccupati per la cultura politica che sta dietro questo atteggiamento; è una cultura politica diversa da quella che ci viene dalla tradizione umanistica del nostro Paese, che pure ha accomunato tanti interventi di questa giornata. È piuttosto la cultura della tabula rasa: bisogna ogni volta ricominciare da capo, fare innanzitutto piazza pulita di quanto è stato fatto prima, anche dell'esperienza, positiva e negativa, accumulata. È una cultura che prende il posto della cultura umanistica che ci viene dalla nostra tradizione, che ci dice che tutti siamo nani sulle spalle di giganti e che ogni maggioranza pro tempore deve farsi carico del portato delle maggioranze pro tempore precedenti, inserendo naturalmente le proprie differenze.

Quello della scuola è sicuramente un tema difficile, che ha al centro una questione di fondo, quella del rapporto fra cultura e lavoro nel nostro Paese, di importanza cruciale per il futuro della scuola e della società italiana. Su questo punto la soluzione proposta dal Governo è sbagliata e regressiva. Il senatore Bevilacqua sostiene che non vi è nessuna differenza tra obbligo e diritto-dovere. Questa differenza c'è eccome; se non ci fosse, non si capirebbe perché non si è mantenuta la dizione costituzionale dell'obbligo. Purtroppo il poco tempo a mia disposizione non mi consente di approfondire questo argomento.

Il senatore Valditara ha citato il modello trentino, un modello che mi è molto caro perché ci ho lavorato per alcuni anni. C'è anche un altro modello che si sta sperimentando ed elaborando in questi mesi, quello dell'Emilia Romagna, che sta sostenendo un possibile intreccio nel biennio tra scuola e formazione professionale. Lavoriamo su questo terreno; c'è la nostra disponibilità in tal senso, anche a verificare i modelli positivi delle diverse Regioni italiane.

Lavoriamo dunque su questo terreno, ma sgombriamo il campo da una misura regressiva che riporta indietro l'obbligo scolastico nel nostro Paese, ricacciando l'Italia ad essere il fanalino di coda dell'Europa in un campo così strategico e importante. (Applausi dai Gruppi DS-U e Mar-DL-U e dei senatori Manieri e Zavoli. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Barelli. Ne ha facoltà.

BARELLI (FI). Signor Presidente, signora Ministro, onorevoli colleghi, come si può sostenere che l'attuale sistema scolastico non debba essere riformato? Come si può dire che sia attuale e moderno? Come si fa ad affermare che quanti operano nella scuola (insegnanti, studenti, aggiungo anche genitori) siano protagonisti di un sistema efficiente? Come si fa a non rendersi conto che la scuola privata è una risorsa e deve essere inserita appieno nel sistema scolastico, in ossequio ai princìpi di libertà nello studio e quindi di scelta?

Quella di oggi è una scuola che deve ottemperare, tra l'altro, alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che appunto dispone che alle Regioni è attribuita potestà legislativa esclusiva nella materia dell'istruzione e della formazione professionale.

Come si fa a non ammettere che anche per questi motivi la scuola attuale non è aggiornata e debba esserlo? Oggi allo Stato spetta la potestà legislativa esclusiva per la definizione del contenuto essenziale in materia di istruzione e di diritto allo studio; in particolare lo Stato deve disegnare le linee essenziali del sistema, da svilupparsi e realizzarsi nel rispetto del principio dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, certamente senza centralismo e senza burocratismo, come ha sottolineato il senatore D'Andrea. La scuola che vogliamo è aperta, dinamica, non burocratica; è proprio questo che vogliamo, il contrario di ciò che la scuola è oggi, e per questa ragione sosteniamo con forza la necessità di una riforma.

La delega al Governo è un atto di responsabilità da parte di chi vuole fortemente questa riforma, un Governo che non si nasconde dietro un dito e che vuole andare diritto assumendosi tutte le responsabilità, individuando i princìpi cardine sulla base dei quali deve svilupparsi la riforma. Il testo in esame delinea una scuola che avvicini e poi introduca i giovani al mercato del lavoro attraverso un percorso articolato in due cicli. Il primo è costituito dalla scuola primaria e dalla scuola secondaria di primo grado; il secondo è costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell'istruzione e formazione professionale.

È soprattutto in questo secondo ciclo che si colgono forti novità proprio per la valorizzazione del sistema di istruzione e formazione professionale; un sistema flessibile che permette di valorizzare le scelte dello studente ed è alla base di una strutturazione quasi personalizzata dei piani di studio. In un mercato del lavoro che cambia, che va interpretato e raggiunto con dinamismo ed efficacia, l'introduzione dell'alternanza scuola-lavoro, finalizzata ad utilizzare a fini educativi il grande potenziale formativo presente nel mondo delle imprese pubbliche e private, rappresenta un ulteriore e forte elemento di novità, che deve essere giudicato innovativo e positivo dai protagonisti della scuola.

Non voglio ripetere le dotte argomentazioni già espresse dai colleghi della maggioranza, in particolare dal senatore Favaro, mio Capogruppo in 7a Commissione; desidero invece esprimere soddisfazione per la disponibilità manifestata dal Governo a considerare in modo positivo un emendamento che ho presentato in Commissione. Il comma 3 all'articolo 1 individua gli obiettivi generali cui si ispira la delega del Governo; con il mio emendamento, alla lettera d), tra le finalità essenziali, è stata introdotto lo sviluppo dell'attività motoria e delle competenze ludico-sportive degli studenti. Si supera in tal modo un'altra poderosa lacuna: l'attività motoria è stata sempre relegata in un ambito di sciatto disinteresse, ora lo sport è invece un diritto nell'ambito scolastico.

Immagino che oggi migliaia di educatori dell'ISEF e professori di scienze motorie proveranno sentimenti di soddisfazione per questo ulteriore sprazzo di luce. La novità dimostra la nostra sensibilità nei confronti di milioni di cittadini giovani che praticano attività sportive, le cui esigenze trovano piena soddisfazione, nell'ambito di questo disegno di legge. (Applausi dal Gruppo FI).

PRESIDENTE . Dichiaro chiusa la discussione generale.

In considerazione del fatto che a breve si riunirà il Consiglio di Presidenza e in relazione ai tempi che saranno impegnati nella replica dal senatore Asciutti, pregherei la senatrice Soliani di intervenire nella seduta pomeridiana, se non ci sono problemi.

 

SOLIANI (Mar-DL-U). Non ho problemi, signor Presidente.

 

PRESIDENTE. Ha pertanto facoltà di parlare il relatore, senatore Asciutti.

 

ASCIUTTI , relatore . Signor Presidente, signora Ministro, onorevoli colleghi, la mia replica non occuperà grandi spazi temporali. Tuttavia, mi sento in dovere di fare alcune precisazioni. Procederò seguendo l’ordine degli interventi svolti.

Innanzitutto, ringrazio tutti coloro che sono intervenuti, a partire dalla senatrice Soliani, che ha illustrato la relazione di minoranza, anche se - non me ne voglia! - non la condivido, almeno in gran parte. Il dibattito è stato ampio e, a mio avviso, importante, significativo, poiché ha toccato molti degli aspetti che il disegno di legge va a normare.

Apprezzo l’intervento del senatore Compagna nella parte in cui afferma che, ubbidiente, voterà a favore. Nessuno, però, chiede di essere ubbidienti; si chiede invece, anche a coloro che fanno parte della Casa delle libertà, di votare per convinzione. Mi auguro che tutti noi - e non solo noi - votiamo a favore di un provvedimento perché siamo convinti della sua bontà.

Non condivido gran parte dell’intervento della senatrice Franco, soprattutto quando dice che bisogna imparare ad imparare. Del resto, questa riforma è indispensabile per il nostro Paese. Alcuni colleghi lo hanno già accennato, ma voglio ribadirlo con forza: non è importante varare questa legge solo perché nel Paese c’è un problema dell’istruzione, di non essere in ritardo rispetto ai Paesi più progrediti (tra i quali l’OCSE oggi ci colloca), ma soprattutto è indifferibile portare avanti questa riforma a seguito della modifica del Titolo V della Costituzione.

Non vorrei infatti che domani, senza che questo Parlamento abbia fissato criteri e princìpi generali, specie per quanto attiene alla formazione professionale, alcune Regioni più forti, dal punto di vista economico o culturale, legiferino su questo aspetto, come è loro consentito dal nuovo Titolo V della Costituzione. Avremmo un’Italia divisa, a macchia di leopardo, e sarebbe difficile poi tornare indietro con leggi che affermino criteri e princìpi nazionali.

La mia preoccupazione forte, che credo sia un po’ di tutti, è quella di vedere l’Italia divisa culturalmente. Temo veramente che si porti avanti una divisione culturale del Paese; dobbiamo tutti lavorare affinché ciò non avvenga. A tal fine, dobbiamo legiferare quanto prima per fissare i criteri e i princìpi di carattere generale. Non voglio far polemica, me ne guardo bene, ma desidero ricordare a tutti che la legge n. 30 fu varata all’inizio del 2000 dal Parlamento e che le elezioni si sono tenute nel maggio 2001.

Spesso mi domando, e tutti quanti dobbiamo domandarci, come mai non fu attuata. Forse perché il nuovo Titolo V della Costituzione la stoppò? Perché l'onda anomala creava problemi economici? Quali i motivi? Oggi non saremmo qui a discutere di questo, ma di altro. Quindi un esame di coscienza ce lo dobbiamo fare un po' tutti e lo dico senza polemiche di sorta.

Quando poi si dice, e molti vi hanno fatto riferimento, che con questa legge si vuole tornare ad una divisione sociale, io farei un po' d'attenzione. Di divisione sociale nel Paese ce n'è tanta, così come sono tanti i ragazzi che abbandonano, e per svariati motivi, gli studi. Inadeguatezza dell'istruzione? Forse. Inadeguatezza delle strutture? Forse. Una cultura non adeguata? Forse. Allora dobbiamo tutti cercare il modo affinché queste divisioni non ci siano. Non pensiamo che la divisione nasca o nascerà dal fatto che finalmente mettiamo mano ad un'istruzione professionale seria. Parliamo della formazione professionale di oggi. Ne abbiamo il coraggio? Dovremmo averlo! Esiste nel Paese una vera formazione professionale? Tranne poche eccezioni, la risposta è no. E non dobbiamo vergognarci di dirlo. Quando parliamo di dignità dell'istruzione e della formazione professionale non lo facciamo così, tanto per riempire una nota in un disegno di legge, ma perché ci crediamo e ci deve credere, dobbiamo farci credere, il Paese. E' un modo a mio avviso corretto, perché anche con quella cultura, che oggi molti disdegnano o della quale si preoccupano, ma che è cultura, si possa permettere ai giovani di avvicinarsi a quel mondo per poter essere inseriti nella società a pieno diritto, piuttosto che vederli tutti dentro lo stesso calderone delle scuole superiori, a vari livelli, come accade oggi, per poi perdersi a metà degli studi per abbandono e non avere niente in mano da poter spendere per sé e per il Paese.

Ho apprezzato l'intervento del senatore Valditara. Ringrazio la senatrice Bianconi per le sue parole, perché nell'analisi che ritengo non di parte e nemmeno demagogica è stata puntuale. Non solo lei, ma anche altri rappresentanti della maggioranza e dell'opposizione hanno parlato a difesa del corpo docente. Ma tutti dobbiamo prendere coscienza che senza il corpo docente rivalutato e riqualificato nessuna riforma è percorribile, ripeto, nessuna riforma è percorribile. Il ministro Moratti può produrre la più bella riforma del mondo, ma se essa non ha le gambe per camminare, non camminerà mai. Dobbiamo mettere il corpo docente nelle condizioni di tornare alla dignità che un tempo aveva. E non è solo un problema di natura economica. È anche quello, ma non solo quello. La dignità gliel'abbiamo tolta. Qualcuno ha parlato di docente come ormai di un impiegato dello Stato. Sarà anche un impiegato dello Stato, ma dobbiamo restituirgli la funzione di docente, che oggi non ha.

Senatore D'Andrea, sono d'accordo con lei. Anche noi conveniamo che non va bene un centralismo esasperato, come da lei definito. Anche noi siamo per l'autonomia, vera, non di parola o di facciata, con dei princìpi e dei criteri ben fissi, stabiliti.

E speriamo che la delega che noi diamo al Governo sia portata avanti in questa direzione.

Alla senatrice Manieri, quando parlava degli insegnanti mal pagati, avevo già risposto: non c’è niente al riguardo in questa riforma, come non c’era niente nella legge n. 30 del 2000, è un problema che esula dalle leggi che stiamo dibattendo.

Lei ha fortemente difeso la scuola pubblica: ma anche noi difendiamo fortemente la funzione della scuola pubblica; ma non solo questo: difendiamo anche le altre possibilità. Del resto, non potete smentirvi oggi, colleghi dell’opposizione: è vostra la legge sulla parità scolastica. Quindi, a maggior ragione il servizio pubblico nella sua interezza va salvaguardato.

Sono d’accordo anche con il senatore Tessitore quando chiede di investire sia nella professionalità dei docenti, sia in una nuova qualità dell’istruzione, che sono princìpi che dovrebbero essere cari a tutti.

Ringrazio in particolare il senatore Favaro per il suo intervento più che condivisibile, perché ha riportato il dibattito in quest’Aula del Parlamento nella direzione corretta, giusta.

Spesso si fanno affermazioni fuori le righe, come sulla salvaguardia del pubblico rispetto al privato o, come ho sentito nell’ultimo sciopero dei sindacati, dalla voce di Panini, sul fatto che questo Governo nella finanziaria ha tolto alla scuola pubblica per dare alle private; le private quest’anno avranno meno da questo Governo (purtroppo, io aggiungo): infatti, sono aumentate le scuole paritarie e il budget è rimasto lo stesso, quindi avranno meno. Dunque, diciamo le cose per quelle che sono e poi critichiamole, ma, appunto, per quello che sono.

Sono ugualmente d’accordo con il senatore Monticone quando dice che bisogna guardare a un progetto della società: ma tutta la riforma, la legge delega del ministro Moratti è tesa, a mio avviso, a questo; possiamo dibattere, possiamo ragionarci intorno.

Lui chiede una cosa che condivido: dice che si può ragionare anche successivamente, non solo nelle sedi istituzionali, ma anche in tutte le sedi possibili, per far sì che questa riforma sia il più possibile di tutti, sia una riforma del Paese. Mi sembra di capire dalle tante volte in cui si è espressa, che il ministro Moratti - non voglio anticipare la sua replica - sia propensa a questo atteggiamento, perché la cultura per un Paese come il nostro non può essere di parte, sarebbe un altro Paese. E, per far sì che la cultura, l’istruzione sia di tutti, dobbiamo condividerla tutti.

Del resto, erano le stesse cose che io dichiaravo dai banchi dell’opposizione nella XIII legislatura, quando non ci fu consentito qui in Senato un dibattito serio. Ricordo il povero senatore Donise, avvilito, in un certo senso, dalle interruzioni della discussione in Commissione. E gli emendamenti al disegno di legge di allora erano in numero di gran lunga inferiore a quello degli emendamenti presentati in questa legislatura sia in Commissione che in Aula. Non avemmo possibilità di discutere.

Vado alla conclusione. Ringrazio ancora il senatore Brignone e il senatore Gaburro, che hanno svolto interventi più che condivisibili.

Senatore Tonini, le chiedo scusa, ma non è vero quello che lei ha affermato, cioè che in Commissione non è stato approvato nessun emendamento dell’opposizione.

Forse non saranno stati approvati emendamenti di qualità e significativi, ma questo è un altro fatto. Sono stati sei gli emendamenti approvati: due vedono come primo firmatario il senatore Cortiana e quattro il senatore Berlinguer.

 

ACCIARINI (DS-U). E' sempre lo stesso.

 

ASCIUTTI (FI). Poi si potrà discutere sulla qualità degli emendamenti approvati, ma non possiamo dire che non sia stato approvato nessun emendamento.

Ringrazio, infine, il senatore Barelli per il suo intervento. (Applausi dai Gruppi FI e AN. Congratulazioni).

PRESIDENTE . Ringrazio il relatore di maggioranza, senatore Asciutti. Ho pregato la senatrice Soliani, relatrice di minoranza, di svolgere la sua replica oggi pomeriggio e sempre nel pomeriggio prenderà la parola la signora ministro Moratti. Rinvio, pertanto, il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo alla seduta pomeridiana di oggi.

 

Sui lavori del Senato

PRESIDENTE . Ricordo che la votazione finale del disegno di legge n. 1271, contenente disposizioni regolamentari in materia di pubblica amministrazione, collegato alla manovra finanziaria, avrà luogo alle ore 18.

 

Interpellanze e interrogazioni, annunzio

PRESIDENTE . Comunico che sono pervenute alla Presidenza un'interpellanza e interrogazioni, pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Ricordo che il Senato tornerà a riunirsi in seduta pubblica oggi, alle ore 16,30, con lo stesso ordine del giorno.

La seduta è tolta (ore 13,08).

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