Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale

Disegno di legge

 

Seguito della discussione dei disegni di legge:

(1306) Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale

(1251) CORTIANA ed altri. – Legge-quadro in materia di riordino dei cicli dell’istruzione

PRESIDENTE . L'ordine del giorno reca il seguito della discussione dei disegni di legge nn. 1306 e 1251.

Ricordo che nella seduta antimeridiana del 17 ottobre è stata respinta la questione pregiudiziale, formulata, con diverse motivazioni, dai senatori Mancino e Villone.

Dichiaro aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare il senatore Compagna. Ne ha facoltà.

COMPAGNA (UDC:CCD-CDU-DE). Signor Presidente, signor Ministro, come veniva opportunamente ricordato, qualche settimana addietro il Senato ha avuto modo di rispondere alla pregiudiziale di costituzionalità che alcuni colleghi avevano avanzato. I senatori dell’UDC non ebbero in quella occasione nessuna difficoltà… (Brusio in Aula. Richiami del Presidente).

 

PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, chi intende allontanarsi dall’Aula è pregato di farlo rapidamente, chi intende rimanere è pregato di farlo in modo da consentire ai colleghi, a cominciare dal senatore Compagna, di svolgere con tranquillità il proprio intervento.

Prego, senatore Compagna.

 

COMPAGNA (UDC:CCD-CDU-DE). Grazie, signor Presidente. Ricordavo che nelle scorse settimane i senatori dell’UDC non ebbero alcuna difficoltà ad allinearsi con gli altri colleghi della maggioranza nel respingere la pregiudiziale di costituzionalità, così come non abbiamo avuto difficoltà, in questi mesi di lavoro in Commissione, a pronunciarci a favore di questo disegno di legge delega. Eppure, sentiamo attorno a noi molta delusione e molto disorientamento per quella che è stata finora la politica scolastica o, secondo alcuni, la mancanza di politica scolastica da parte dell’Esecutivo.

Devo dire che molto probabilmente la discussione su questo disegno di legge ci aiuta. È un disegno di legge rispetto al quale c’è una sopravvalutazione da parte dell’opposizione; l’opposizione sopravvaluta l’incidenza riformatrice di questo disegno di legge e, con spirito di patriottismo nei confronti del precedente quinquennio, nel quale l’opposizione era maggioranza, ritiene che l’attuale maggioranza, allora all’opposizione, non debba azzardarsi a modificare la riforma dei cicli. Da parte del Governo si è ritenuto invece (e noi abbiamo appoggiato questa linea) pienamente legittimo che la nuova maggioranza correggesse quella legge, però si è ritenuta la riforma dei cicli una sorta di priorità, una specie di premessa a una politica scolastica tutta da scrivere.

A nostro giudizio in questo il Governo ha commesso un errore e, da un certo punto di vista, sia pure ad altro proposito, il collega e, se me lo consente, amico senatore Del Turco, richiamandosi stamattina, in un altro contesto, ad un articolo che ella, onorevole Ministro, ha pubblicato sul "Corriere della Sera" di questa mattina stessa, mi consente di argomentare meglio questo nostro atteggiamento.

E allora devo ritornare a quella che era stata la politica scolastica, essa sì - a nostro giudizio - del tutto sbagliata e miope. Ma certamente nella scorsa legislatura vi era stata una strategia politica; una strategia politica di parte perseguita – come è legittimo – attraverso vari atti legislativi (le cosiddette riforme Bassanini), vari provvedimenti amministrativi e, come ciliegina finale, con qualche forzatura parlamentare, la riforma dei cicli. Era perciò comprensibile (oltre che legittimo) che la nuova maggioranza e il nuovo Governo dovessero correggere quella riforma. Si sono però impegnati in una sorta di girotondo attorno a sé stessi che ha reso se non condivisibili molto comprensibili le critiche che le rivolgeva sul "Corriere della Sera" di domenica uno spirito libero e caustico, talora paradossale, ma non certo pregiudizialmente avverso all'attuale maggioranza di Governo, come Ernesto Galli della Loggia. E la sua risposta di stamattina, tutta di girotondo attorno alla legge delega, finisce per dar ragione alle nostre perplessità che non riguardano questo provvedimento. Non abbiamo difficoltà ad essere leali con il Governo né ad essere al fianco degli altri colleghi di maggioranza, ma ci domandiamo, a proposito di questo provvedimento, come e quante siano state le occasioni sciupate in un anno e mezzo di presenza politica legislativa e amministrativa alla guida del Dicastero di viale Trastevere. Certo, abbiamo assistito da parte dell'allora ministro Berlinguer e nell'ultima fase da parte del ministro De Mauro (ma anche da parte del ministro Zecchino) a quel tipo di riforma dei cicli, sia pure giunta alla fine della legislatura, che era molto coerente con quella generale impalcatura di facilismo pedagogico e pedagogistico rappresentato dal "3 più 2" all'Università. E quindi ci sembrava abbastanza coerente da parte di chi era stato allora all'opposizione cercare di correggere in entrambe le direzioni quella politica.

Signora Ministro, un anno e mezzo fa avevo apprezzato la sua presentazione politica in Parlamento quando mi sembrava che ci fosse da parte sua e della sua ascesa ai vertici della pubblica amministrazione in politica scolastica lo sforzo di correggere tutti gli errori compiuti in passato. Devo dire che da questo punto di vista quel tipo di pedagogia permissiva avallata da leggine e decreti di comodo aveva picconato e colpito al cuore il Governo della scuola. Non è vero, signora Ministro, quanto lei scrive oggi sul "Corriere della Sera", accusando la storia della burocrazia scolastica italiana di essere stata molto arida. Non è così. Nella storia del nostro Paese, ai vertici di viale Trastevere, ci sono stati funzionari che hanno onorato e onorano la politica scolastica nel senso più degno del termine. Penso, ad esempio, ai Vinciguerra e ai De Ruggero di parte laica così come ad altri grandi direttori generali. Senonché la Bassanini aveva picconato a morte niente di meno che il Provveditorato agli studi; quell'istituto nel quale l'unità nazionale aveva potuto essere difesa anche dal regionalismo più spregiudicato e superficiale.

Penso al decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del professor Giannini: all’epoca eravamo alla metà degli anni Settanta.

Allora, signora Ministro, a lei è capitato di raggiungere i vertici di viale Trastevere, allorché il nuovo articolo 117 della Costituzione, in combinato disposto - mi si consenta questa espressione - con l’articolo 118, aveva condizionato pesantemente la manovra riformistica e riformatrice sul serio nel campo della politica scolastica.

Tuttavia la debolezza cronica e direi storica, culturale ed organizzativa delle Regioni, nell’assolvimento dei compiti di politica scolastica, rappresenta un grande dramma nazionale. Ha ragione il senatore Del Turco: anche in tema di sicurezza delle scuole, c’è molta disattenzione nel riscontrare come le Italie siano due. Le Regioni meridionali, in tutti i tipi di classificazione, sono quelle più deboli.

Allora, cosa siamo andati a fare? Non abbiamo svolto alcuna riflessione critica su quello che aveva significato l’attuazione del dettato della Costituzione. Trasferire la formazione professionale alle Regioni (come si dovrebbe fare) è stata una catastrofe. Ho visto denunziare Tangentopoli con spirito moralistico. Si denunziano persino i "pianisti" nelle Aule parlamentari; tuttavia quando si parla delle vicende relative alla formazione professionale come formazione regionale, tutti stiamo zitti e troviamo oggi una forma di atterraggio in una politica - me lo consenta, signora Ministro - in cui c’è il passato, c’è il futuro, ma non c’è mai il presente. Si trova questa formula ad effetto nella quale una cosa è la formazione ed un’altra è l’istruzione. Il liceo dovrebbe istruire mentre l’istituto professionale dovrebbe formare.

Allora, queste dicotomie fatte di una granitica banalità di luoghi comuni hanno portato alla despecializzazione dei nostri istituti tecnici, i quali servivano a correggere quei dati di disoccupazione intellettuale, anzi di inoccupazione, che poi colpiscono soprattutto le Regioni meridionali. Era importante, quindi, operare una loro riconversione in termini molto più urgenti di quelli della ricerca di una tipologia complessiva.

Poi, colleghi della sinistra, consentitemi di sottolineare che le bandiere dell’autonomia delle scuole (forse è una legge che votai anch’io nel 1993, quando c’era il ministro Russo Jervolino) diventano una forma per dire "arrangiatevi" di fronte ai problemi concreti di mandare avanti le istituzioni scolastiche.

Allora, signora Ministro, la sinistra si è scatenata in Commissione contro l’ipotesi del doppio canale in nome di una visione molto arcaica e, a mio giudizio, molto cinica; si tratta di una visione nella quale dobbiamo sforzarci, al contrario, di rendere ogni canale rispetto all’altro molto nitido e, quindi, i percorsi distinti. Da questo punto di vista, Benedetto Croce e Giovanni Gentile sono ministri infinitamente più moderni di quelli che l’hanno preceduta, i quali hanno perseguito una politica di occupazione nel senso gramsciano nel governo della scuola. Poi, francamente non riesco a sentire il rischio che il secondo canale sia di serie B; so che semmai di serie B, fino a dieci anni fa, erano i licei classici e scientifici rispetto agli istituti tecnici, almeno finché Emanuele Caruso era alla direzione generale in viale Trastevere.

Allora, non basta stabilire che le modalità di accertamento della rispondenza dei titoli e delle qualifiche dell’istruzione e formazione professionale, anche ai fini della loro stessa spendibilità nell’ambito della Unione europea - sto recitando il comma 5 dell’articolo 4 del disegno di legge in esame - debbano essere previste. Fra l’altro ciò è demandato ad un regolamento e quando le leggi demandano ai regolamenti - lo dice uno che non solo non è giacobino ma, è al contrario, veramente girondino - vuol dire che si tratta di norme che hanno una scarsa incidenza. Accanto alla preventiva definizione degli standard formativi, previsti sempre al comma 5 dell’articolo 4 del provvedimento in esame, ritengo che andrebbero precisate in modo più pertinente e immediato le modalità di controllo sanzionatorio; anche perché in assenza di tale precisazione quel comma m) - che il sottosegretario Aprea ha presidiato con orgogliosa competenza nell’aula della Commissione - diventerebbe o per lo meno rischierebbe di diventare assai generico, una sorta di mera petizione di principio, quale quella sul diritto alla salute o sulla necessità che la scuola sia sociale e democratica, in tal modo facendo sì che in nome dell’aggettivo non ci si preoccupi più di aver vanificato il sostantivo.

La nostra preoccupazione è quindi che la politica scolastica del Governo si sia autorinchiusa nel ghetto di questa riforma e che quindi tale riformismo, invece di essere riformatore, rappresentati una abdicazione massimalistica verso il futuro quando invece c’è il presente, signora Ministro, un presente incalzante e difficilissimo che va governato. Lei ha tutto il diritto di scaricare molte e forse moltissime responsabilità su chi l’ha preceduta, però non può abdicare al diritto-dovere di guidare l’amministrazione. A quest’ultima bisogna restituire l’orgoglio di credere in se stessa; non è vero, come invece ha preteso il collega Bassanini con le sue riforme, che bisogna rendere i quadri dell’amministrazione neutrali, tecnici e non più serventi - consentite anche a me un’espressione gergale - rispetto all’indirizzo politico. Questa è demagogia e può essere demagogica anche l’idea, alla quale noi certo non diciamo di no, dell’importanza dell’insegnamento della lingua inglese, che va benissimo, come pure va benissimo l’insegnamento dell’informatica, tuttavia non vorrei che la scuola italiana diventasse un qualcosa in cui si arriva e da cui si esce senza sapere niente, anche se magari in un ottimo inglese.

Peraltro, stiamo parlando di un obiettivo utopistico perché le istituzioni sono fatte di uomini e gli insegnanti vanno rimotivati e da questo punto di vista vorrei aggiungere un’altra considerazione. Questo Governo ha avuto tra i suoi collaboratori più degni il professor Biagi e ci avrebbe fatto piacere se questo stesso Governo, tacciato più volte di essere sempre in cerca di flessibilità, avesse impegnato tutto se stesso per realizzare appunto la flessibilità nel contratto della scuola. Bisogna infatti che la scuola sia desindacalizzata e "debassaninizzata". Ogni volta che in Commissione qualche collega cercava di fare riferimento alle discipline, giustamente il sottosegretario Aprea replicava che non era possibile perché questa è materia delegata. Ma è un limite della sovranità del Parlamento non poter incidere su questa materia. E sono dei paletti che vanno spezzati e che proprio un Governo di centro-destra doveva sentire l'orgoglio di spezzare.

Faccio queste considerazioni per confermarle che noi saremo in quest'Aula, a fianco della sottosegretario Aprea, a respingere gli emendamenti, almeno quelli di carattere ostruzionistico - e non ne mancano - dei colleghi dell'opposizione. Però riteniamo, signora Ministro, che la sua presenza al Dicastero di viale Trastevere debba caratterizzarsi in modo molto più incisivo, e soprattutto non si possa rimettere tutto alla maxilegislazione. Bisogna amministrare quotidianamente, soprattutto in un Governo nel quale molti Ministri amano citare Luigi Einaudi. Invece di citarlo, lo frequentassero e lo onorassero! Ed Einaudi era uomo che agli atti amministrativi di viale Trastevere guardava sempre con attenzione. (Applausi dai Gruppi UDC:CCD-CDU-DE, FI e AN. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Franco. Ne ha facoltà.

FRANCO Vittoria (DS-U). Signor Presidente, signora Ministro, onorevoli colleghi, prendo atto delle dichiarazioni rilasciate or ora dal senatore Compagna, almeno in alcune parti: sono il sintomo di una difficoltà seria della maggioranza rispetto a questo disegno di legge. È un provvedimento che sta incontrando sulla sua strada numerosi ostacoli. Tra questi vi è certamente lo scarso consenso che la proposta ha raccolto, e poi il fatto che parallelamente sta procedendo nel suo iter una proposta di riforma costituzionale la cui approvazione creerebbe problemi di costituzionalità a questo disegno di legge. Ma l'ostacolo più importante riguarda le risorse. Si tratta di un disegno di legge che può vivere solo grazie a tagli consistenti, che destrutturano la scuola pubblica.

La Commissione bilancio condizionava il suo parere favorevole ad una disponibilità di risorse nella legge finanziaria per il 2003. Ma qui le risorse per realizzare la riforma sono davvero poche, troppo poche. Mi chiedo allora se, parlando di una riforma che in realtà è un'architettura di tagli, non stiamo mettendo in scena una finzione di fronte al Paese; una finzione di fronte alle famiglie preoccupate per il futuro dei loro figli, una finzione di fronte agli insegnanti, mortificati nella loro professionalità e nelle loro aspettative, una finzione di fronte alle istituzioni scolastiche, che hanno dovuto gestire periodi di riforme varate e poi sciaguratamente bloccate, e di riforme annunciate e ancora non realizzate, con il risultato che sono passati altri due anni senza riforma, due anni nei quali le scuole sono state private di innovazioni pronte per essere realizzate. L'inglese, l'informatica, altre materie nuove come la musica, previste nella scuola primaria, sarebbero già una realtà signora Ministro, anziché restare un semplice slogan.

Riformare il nostro sistema scolastico è sicuramente necessario ed urgente. Ce lo chiede l'Europa, ma soprattutto ce lo impone la domanda crescente di conoscenza e sapere che sale da una società che muta velocemente. A queste domande bisogna dare risposte adeguate, ma adeguate non sono certo le proposte del Governo, che non solo non corrispondono a questi nuovi bisogni, ma rappresentano un ritorno indietro di qualche decennio.

Porto solo qualche esempio. Mentre tutti i Paesi europei elevano l'obbligo scolastico e cercano di rispondere positivamente alla richiesta di elevare gli standard di qualità dell'istruzione, il Governo italiano propone di abbassare gli anni di istruzione obbligatoria e cancella la legge n. 9, che estende l'obbligo ai primi due anni di scuola secondaria superiore. Che senso ha riportare indietro l'orologio? Che cosa vuol dire che si preferisce la formula diritto-dovere alla parola obbligo? Non sarà certo una semplice questione lessicale. Certamente l'istruzione costituisce un diritto, ma è anche un obbligo dello Stato garantirla nelle forme più elevate possibili. E chi mira a rendere meno cogente questo obbligo attribuisce in realtà scarso valore all'istruzione pubblica qualificata.

Abbiamo il timore che si voglia stravolgere lo spirito costituzionale che consiste nella creazione di condizioni di eguaglianza e di opportunità, indipendentemente dalle condizioni sociali di provenienza, come ha ricordato di recente anche il presidente Ciampi.

E non ci si risponda che si mantiene l'obbligo formativo a 18 anni; tutti sono in grado di capire che istruzione e formazione non sono sovrapponibili, non sono coincidenti.

Il rapporto tra formazione e lavoro è un grande tema della nostra epoca a cui ci richiama la realtà delle cose; ma non può esservi formazione adeguata senza adeguata istruzione. L'Europa ha messo in campo strategie di sviluppo sociale, culturale ed economico che hanno il loro perno nella conoscenza. Si parla di società della conoscenza e di economia della conoscenza; allora libertà, diritti individuali e conoscenza sono sempre più legati nella formazione della cittadinanza italiana ed europea.

Per consentire a ciascuno la realizzazione della sua personalità e della piena cittadinanza, deve essere garantito a ciascuno il successo nell'istruzione, nell'acquisizione di capacità critiche, di abilità di pensiero. Conoscenza, oggi, vuol dire molto più di ieri: vuol dire essere in grado di familiarizzare con i nuovi saperi, con la tecnologia, con l'informatica, con la bioetica, con i nuovi linguaggi.

La scuola oggi deve saper formare cittadini capaci di stare in questo mondo più complesso, nuovo, che muta velocemente. I mutamenti influiscono sull'organizzazione sociale, sull'organizzazione del lavoro, oltre che sui costumi e sulle mentalità: entrano a far parte della vita quotidiana.

Dunque formazione, certo, e soprattutto buona formazione, ma prima di questa bisogna riuscire a sviluppare un'abilità peculiare che è sempre più condizione di una buona formazione e che solo l'istruzione può fornire, la learning ability, la capacità di imparare lungo tutto l'arco della vita, l'addestramento a sviluppare quell'abilità specifica che viene prima dell'addestramento professionale: bisogna, cioè, imparare ad imparare. Questo richiede anche la nuova cultura del lavoro.

Costringere invece un adolescente di poco più di 13 anni, come prevede il disegno di legge, a scegliere fra il percorso liceale che porta alla formazione superiore e alla formazione professionale significa separare istruzione e formazione; significa creare di fatto due binari paralleli, senatore Compagna: la scuola per le élite e la scuola per i più svantaggiati, con il rischio reale di reintrodurre le gerarchie sociali.

Anche qui c'è un ritorno indietro. E' una proposta che contrasta con la nostra storia repubblicana, che è storia di progressiva inclusione, di continuo accrescimento dell'offerta di istruzione e della sua qualità. Quando parliamo di controriforma, parliamo anche di questa dissonanza rispetto alla nostra storia.

Vi è un diritto di libertà che dobbiamo saper garantire ai nostri giovani, che lo Stato ha il dovere di garantire. È il diritto a realizzare i propri progetti di vita. E non vi è dubbio che a disporre di maggiori opportunità sono coloro che dispongono di maggiore istruzione, a partire dai primi anni di vita.

Per motivi di tempo sono costretta ad abbreviare il mio intervento, ma vorrei fare un accenno alla sperimentazione. Quando il Governo ha caparbiamente deciso di rimediare alle lentezze del cammino di questo disegno di legge delega, con una sperimentazione tanto inconsistente quanto propagandistica, lo abbiamo denunciato.

Infine: quale senso di giustizia sociale, di eguale cittadinanza comunica una riforma che può entrare in vigore solo a condizione che i comuni o il Governo dispongano delle risorse necessarie? Siamo davvero alla legalizzazione delle discriminazioni sociali.

 

PRESIDENTE. Senatrice Franco, posso darle un tempo ulteriore per concludere il suo intervento, che naturalmente sarà sottratto al tempo complessivo a disposizione del suo Gruppo.

 

FRANCO Vittoria (DS-U). Sto concludendo, signor Presidente. Dai nostri emendamenti e dalla relazione di minoranza presentata dalla senatrice Soliani risultano chiari i pilastri sui quali poggia il nostro progetto di scuola rinnovata per qualificare il sistema pubblico: elevamento dell'obbligo scolastico; generalizzazione della scuola dell'infanzia; integrazione tra scuola e lavoro; formazione degli insegnanti e investimenti continui nella loro qualificazione professionale; apprendimento lungo tutto l'arco della vita; maggiori risorse per la scuola, per le innovazioni e per gli insegnanti.

È sulle risorse che si misura la reale volontà di fare dell'istruzione e della sua qualità il volano dello sviluppo, quale si addice a un Paese moderno che si fa carico del futuro dei suoi giovani. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U, Misto-Com e Misto-SDI. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Valditara. Ne ha facoltà.

VALDITARA (AN). Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli Sottosegretari, colleghi, oggi siamo davanti ad un’alternativa: conservare e dunque necessariamente applicare la legge Berlinguer o cancellarla proponendone una diversa. Solo in questo caso potremo permetterci di non applicare la Berlinguer. Per capire quale scelta prendere, dobbiamo avere ben chiaro che cosa sia necessario per migliorare la scuola italiana.

La scuola italiana ha grandi tradizioni. Intanto, voglio sottolineare che non è vero che tutto è allo sfascio. Vi sono molti insegnanti che fanno grandi sacrifici, svolgendo un’importante funzione educativa, pagati indecorosamente, in strutture spesso fatiscenti, con programmi inadeguati. Anche queste sono priorità che dovremo saper affrontare.

Oggi dobbiamo parlare degli ordini e gradi di studio. Per dare una risposta, dobbiamo chiederci quale obiettivo debba avere il sistema formativo. Per noi è quello di dare ad ogni giovane un’opportunità, valorizzare le individualità ed i talenti, fornendo ad ognuno un sistema di valori, in altre parole, dare un futuro ai giovani, consentendo loro di inserirsi fattivamente nella società. Siamo consapevoli che i giovani hanno vocazioni, interessi, predisposizioni, abilità diverse; esse vanno incoraggiate e coltivate, proprio per non creare futuri disadattati, future frustrazioni, future emarginazioni sociali. Siamo convinti che ognuno debba fare al meglio ciò per cui è più predisposto, per dare un contributo utile alla società.

Quale modello di formazione può realizzare tutto ciò? Intanto, occorre una scuola di base forte, per dare a tutti gli elementi culturali che consentano ad ognuno di essere un cittadino consapevole. Abbiamo avuto, fino agli anni Ottanta, una grande scuola elementare, che tutte le indagini consideravano la migliore d’Europa ed una delle migliori del mondo. E’ la scuola elementare che ha unito l’Italia, dando agli italiani una base culturale unica. Con la seconda metà degli anni Ottanta, secondo i dati OCSE, il livello della nostra scuola elementare diminuisce sensibilmente, sino a crollare negli anni Novanta. La data di questa svolta coincide con l’introduzione delle sperimentazioni e poi dei tre maestri. Occorre dunque rafforzare le elementari, ripristinando e semmai potenziando la loro antica funzione.

Le medie oggi sono una scuola senza identità. Non è un caso che, sempre stando ai dati OCSE, il livello più basso di preparazione dei nostri giovani si situi a 15 anni, età che ci vede perdenti con tutti i raffronti internazionali. Erano state concepite come delle superiori di primo livello, sono diventate la continuazione debole delle elementari.

Manca poi in Italia un adeguato sistema di istruzione e formazione professionale, con una sua dignità, che fornisca una valida alternativa a chi ha altre abilità, altri interessi più legati al fare. Vi è un inadeguato collegamento tra scuola e mondo del lavoro. In alcuni casi, a fianco di una preparazione teorica, non ve n’è una pratica.

Il sistema delle scuole superiori, con la parziale eccezione dei licei, non è sempre idoneo a fornire una preparazione adeguata ad affrontare con successo il percorso universitario.

Occorre infine, da un lato, individuare forme di preparazione e di reclutamento più adeguate del personale docente e, dall’altro, ripristinare una maggiore serietà nel percorso scolastico, superando il sistema dei debiti infiniti e tornando a considerare il rispetto delle regole di comportamento da parte dello studente come un elemento della sua valutazione complessiva.

Se queste sono le necessità, la riforma Berlinguer si rivela inadeguata: non affronta i punti di debolezza, indebolisce i punti di forza. Esaminiamone i difetti più gravi.

In primo luogo, sopprime le medie, che sono un passaggio necessario per la maturazione e la formazione del ragazzo. Si completa piuttosto quel processo di sostanziale elementarizzazione del percorso e ciò comporta il rischio di un grave abbassamento delle basi culturali dei nostri giovani. Le relazioni alla legge indicano che l’ultimo biennio delle primarie deve servire essenzialmente a consolidare le conoscenze acquisite. Era questa peraltro la prospettiva originaria della Commissione Bertagna. Si taglia di un anno il percorso di base.

In secondo luogo, le elementari sono sconvolte e viene annullata la loro identità. Oltretutto, non si chiarisce come dovrebbero interagire maestri e professori di scuola media. Il relatore Donise ammetteva inoltre che nel 47 per cento dei comuni non si potrebbe comunque garantire l’unitarietà del percorso formativo e che in quasi il 30 per cento si dovrebbe ricorrere ad edifici situati in altri comuni.

In terzo luogo, il liceo viene indebolito con il biennio comune a tutti e dunque necessariamente caratterizzato da una preparazione livellata verso il basso. Si tratta di un biennio in cui si realizza quello che è stato efficacemente definito il "mercato della frutta": è infatti garantita un’ampia possibilità di passare da un modulo all’altro, anche di aree e di indirizzi diversi. Prevalgono le esigenze legate all’orientamento su quelle relative all’approfondimento della preparazione.

Quarto, non vi è nessuna qualificazione per chi a 15 anni decida di non continuare: ha perso due anni senza un progetto di formazione serio.

Quinto, la formazione professionale è considerata ancora come un percorso di serie B.

Non si struttura un vero e proprio canale alternativo al sistema dei licei dotato di una sua dignità e serietà. Ci si limita a rinviare alle leggi vigenti (la n. 196 del 1997 e la n. 144 del 1999) parlandosi genericamente di un obbligo di attività formativa sino a 18 anni e tutti sappiamo in quale degrado versi l’attuale sistema della formazione professionale.

Sesto, la formazione nell’azienda è limitata a brevi stages che come è noto fanno perdere tempo a studenti ed imprenditori.

Settimo, appare solo genericamente la necessità di un collegamento con l’università.

Ottavo, si incide pesantemente sugli organici. Si è calcolata - dati del Ministero ripresi dai giornali - la perdita di 80.000 posti di lavoro con quali conseguenze sull’immissione di chi è già in possesso di una abilitazione è facile immaginare.

Nono, si determina il problema dell’onda anomala; decimo, non è previsto alcun piano finanziario.

Quali sono i punti della riforma che ci si chiede di approvare.

In primo luogo, ritorna la distinzione netta tra elementari e medie. E’ questo un punto fortemente voluto da AN e che così non era nella prima bozza Bertagna. La nuova articolazione delle elementari mira inoltre a rafforzare la preparazione del bambino, anticipando elementi di formazione in vista delle secondarie. Sarebbe stato forse più opportuno un esame al termine della quinta elementare, in ogni caso si sarà valutati al fine della ammissione al primo biennio delle secondarie.

In secondo luogo, ritorna il maestro prevalente per ridare una unica figura di riferimento al bambino rimediando al caos dei tre maestri.

In terzo luogo, le medie sono concepite come una vera e propria scuola secondaria di primo grado. Si legge infatti che esse devono fornire "strumenti adeguati alla prosecuzione della attività di istruzione e formazione". Dunque la media non dovrà più essere il luogo del semplice consolidamento. AN rivendica anche questa innovazione. Le medie devono cioè consistere in una piattaforma contenutisticamente forte non solo per consentire una scelta consapevole, ma anche per offrire una preparazione culturale più adeguata. Insomma, schematizzando, tre anni di superiori di primo livello nella riforma Moratti contro i due del primo biennio delle superiori nella Berlinguer. Questo potenziamento delle medie è destinato fra l’altro a facilitare l’anticipo a 14 anni della scelta tra i successivi percorsi.

In quarto luogo, il doppio canale è uno dei passaggi più importanti della riforma. Con esso si intende dare una autonoma dignità al sistema della formazione e dell’istruzione professionale garantendo una qualificazione ed una professionalità concreta a quei giovani che siano particolarmente versati nel fare e che non vogliano iscriversi al liceo. Deve servire ai giovani per entrare presto e bene nel mondo del lavoro, deve servire al sistema produttivo che richiede professionalità adeguatamente formate. Verranno comunque salvaguardate, anche in questi percorsi, alcune fondamentali materie culturali come italiano e matematica, fisica o chimica. Il doppio canale era già nel programma elettorale della Casa delle libertà. Ci si ispira qui ad un sistema diffuso nei Paesi di lingua tedesca dove è uno dei pilastri dell’intero sistema produttivo e dove va estendendosi. Nei due soli Laender tedeschi ove non era applicato è stato recentemente introdotto. Questo modello è d’altro canto applicato anche in Trentino-Alto Adige. Proprio il senatore Betta in Commissione ha dichiarato di apprezzare questa parte della riforma adducendo il buon funzionamento del sistema duale trentino. Tra l’altro, non posso non sottolineare che in Trentino-Alto Adige ci sono maggioranze che coinvolgono anche i partiti di sinistra.

Romano Prodi nel "Tempo delle scelte", un libro del 1992, esaltava quello tedesco come un sistema che differenziando fra istruzione e formazione non costringe tutti a seguire percorsi culturalmente affini, ma consente di distinguere a seconda delle potenzialità e delle abilità individuali. O Prodi nel 1992 era un teorico del darwinismo sociale, per usare un’espressione che compare su un vostro libello propagandistico, oppure siete forse voi legati a pregiudizi ideologici stantii, che sanno di anni ‘70. Su questa proposta si è raccolto il consenso pressoché unanime dei commentatori. Cito solo alcuni dei nomi più autorevoli: Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino, Barbiellini Amidei sul "Corriere della Sera", Pirani su "la Repubblica", Casalegno sul "Sole 24 Ore". Questo passaggio della riforma ha il consenso pressoché unanime delle categorie produttive - posso citare diversi documenti delle Camere di commercio - che da troppo tempo chiedevano una maggiore preparazione qualificata e specifica dei nostri giovani. Si è detto da taluno che il doppio canale sarebbe antidemocratico e favorirebbe la discriminazione sociale. Mi piace citare per rispondervi Ralph Dahrendorf, che autorevoli esponenti della sinistra democratica hanno definito come "l’uomo che più di tutti in Europa si è occupato del problema della giustizia sociale, della promozione delle nuove classi, dell’equità". Orbene egli scriveva: "la scuola è alla base della equità e della giustizia sociale laddove sia la scuola delle opportunità, opportunità che permettono alle persone di sfruttare al meglio i talenti individuali". Se si ragiona con la vostra mentalità vi sarà in ogni caso discriminazione sociale.

Esiste il pregiudizio secondo cui chi è più colto sarebbe superiore. La distinzione per noi passa invece tra chi sa fare bene il suo lavoro, tra chi dà un contributo positivo alla crescita della società e chi approfitta della società per ritagliarsi rendite parassitarie. Troppi intellettuali falliti, inutili e mantenuti hanno partorito dannosi pregiudizi, pochi tecnici ed operai qualificati di valore.

Si è detto che la scelta a 14 anni per taluni, a 13 anni e mezzo per altri - questa è poi la realtà - sarebbe prematura. In Germania la scelta è a 10 anni, dopo soli 4 anni di elementari. In ogni caso, noi garantiamo il passaggio da un sistema all'altro. Come è stato testimoniato in Commissione, il meccanismo delle passerelle funziona senza problemi nelle scuole trentine ed altoatesine.

Come quinto punto, l'obbligo formativo rimane a 18 anni, e come sesto, si introduce l'alternanza scuola-lavoro. Alleanza Nazionale ha insistito molto su questo passaggio. Intanto occorre chiarire alcuni equivoci. L'alternanza - leggo testualmente nella legge - "verrà progettata, attuata e valutata dalle istituzioni scolastiche al fine di fare acquisire, in aggiunta alle conoscenze di base - che dunque non sono sostituibili - l'acquisizione di competenze spendibili nel mercato del lavoro". È logico che tale alternanza vada applicata specificatamente nei tecnologici, negli economici e nei professionali. Il giovane acquisisce una mentalità diversa, quella del lavoro, che è una grande occasione di maturazione personale, un'occasione che lo stimola e lo responsabilizza. Lo studente, inoltre, è messo nelle condizioni di ricevere una preparazione concreta, matura una professionalità immediatamente spendibile sul mercato del lavoro, può farsi apprezzare e quindi gli si possono offrire anche prospettive occupazionali immediate. D'altro canto, l'impresa avrà a disposizione giovani già adeguatamente formati.

Questo modello sta dando risultati egregi nelle province di Trento e Bolzano. Ricordo la legge provinciale del 3 settembre 1987, n. 21, e in particolare l'articolo 13, per Trento, e la legge del 7 aprile 1997, n. 6, per Bolzano. È un sistema da tempo utilizzato in Svezia, in Germania, in Austria e in Svizzera. Là nessuno ha posto problemi ideologici che qui la CGIL e, sulla sua scorta, una parte della sinistra ha avanzato. È curioso, peraltro, che proprio Romano Prodi nel 1992, forse quando non era ancora sotto la tutela di una sinistra che ci appare un po’ arretrata, si domandasse: "La scuola ed il mondo del lavoro debbono continuare ad essere separati?" e, citando proprio l'esempio tedesco, aggiungeva: "I docenti di professione devono insegnare le materie fondamentali, quelle di base, mentre l'aggiornamento tecnologico e professionale deve venire dall'esterno, dalle esperienze degli imprenditori e dei manager", eventualmente dalle imprese.

Settimo punto, ritornano i 5 anni pieni del liceo. Ricordo che il progetto Bertagna prevedeva all'origine 4 anni. È questo uno dei punti su cui Alleanza Nazionale ha più insistito. In particolare, voglio ricordare che il quinto anno, come si legge nel testo della legge, è destinato a "prioritariamente completare il percorso disciplinare". Questo significa che non potrà essere un anno zero, ma dovrà essere un anno pienamente integrato nel percorso precedente. Tanto per essere chiari, i programmi di storia o di letteratura latina si completeranno nel quinto anno.

Ottavo punto, è previsto un raccordo tra scuola ed università che comporterà, nell'ultimo anno di liceo, un approfondimento delle conoscenze richieste, soprattutto di base e di metodo - come auspico - per l'accesso ai corsi di studio universitari.

Nono punto: la riforma prevede, inoltre, valutazioni biennali degli studenti. Rispetto al sistema dei debiti infiniti, sistema che non garantisce mai una seria valutazione, si tratta di un passo in avanti importante. Ci auguriamo, peraltro, che questi bienni valutativi possano assicurare la responsabilizzazione dello studente; ci auguriamo che vengano accolti come stimolo e non siano invece un incentivo ad un temporaneo disimpegno. In ogni caso, Alleanza Nazionale ha presentato un ordine del giorno firmato da tutte le forze della maggioranza con cui chiediamo una verifica triennale di questo passaggio per valutarne gli effetti concreti.

Come decimo punto, veniamo all'anticipo: per come è stato congegnato, si configura come una possibilità lasciata alla discrezione delle famiglie di non far perdere un anno a bambini precoci nati fra gennaio e febbraio e, in una seconda fase, entro aprile. È in tale ottica che Alleanza Nazionale, pur non avendo proposto questa misura, ha dato e mantiene il suo assenso ad essa. D'altro canto, in circa la metà dei Paesi europei i bambini vanno a scuola a 5 anni. Non posso, inoltre, non ricordare che nel disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 3 giugno 1997 si proponeva di rendere obbligatorio l'ultimo anno di asilo con una funzione prescolare. Non posso soprattutto non ricordare che l'ex ministro Berlinguer si era in passato dichiarato più volte favorevole all'anticipo scolastico. Si veda - per esempio - quanto dichiara "La Stampa" di Torino del 15 gennaio 2002.

Del resto, se riconosciamo che una delle funzioni della scuola è quella di aiutare il bambino ad inquadrare i messaggi e gli stimoli che gli giungono, dobbiamo riconoscere che se un tempo, in una società contadina, i messaggi erano pochi, ora il bambino ne è bombardato. Avviare in anticipo il suo ingresso a scuola può essere anche pedagogicamente positivo. È poi innegabile che oggi il bambino sia più precoce di un tempo.

Undicesimo, un punto molto delicato ma molto importante per noi: ritorna il voto di condotta. Noi crediamo nel valore dell’ordine e della disciplina, come momenti essenziali della maturazione e responsabilizzazione dell’individuo. All’interno di un contesto democratico, che garantisce che essi non siano vissuti come accettazione passiva dell’autorità, sono elementi indispensabili per assicurare il rispetto verso il prossimo e la comunità. La storia educativa ci testimonia che proprio questi valori hanno garantito relazioni intersoggettive di grande civiltà. Proprio il disordine educativo imposto da una certa cultura di sinistra è una delle cause della disgregazione crescente, dell’egoismo e della inciviltà dilagante.

Dodicesimo: la riforma risolve il problema del reclutamento che dovrà passare attraverso l’università garantendo una selezione più adeguata ed equilibrata, meno casuale. Il biennio di laurea specialistica si concluderà con un esame di abilitazione che dovrà essere particolarmente selettivo. Grazie al numero programmato degli ingressi nel biennio di specializzazione, si adeguerà l’offerta con la richiesta effettiva di insegnanti, risolvendosi così una volta per tutte il problema annoso del precariato.

Alleanza Nazionale ritiene peraltro auspicabile un modulo che ripristini la laurea unitaria. In ogni caso abbiamo presentato un emendamento che, sulla scorta di un ordine del giorno già approvato in Commissione, chiede che il biennio di specializzazione sia essenzialmente di approfondimento disciplinare e non invece a prevalente contenuto pedagogico. Questo è per noi un passaggio irrinunciabile. Riteniamo poi doveroso che, prima di far entrare a regime il nuovo sistema, si dia una equa sistemazione agli attuali precari.

Infine - tredicesimo punto - con la riforma viene abrogata la legge Berlinguer.

Mi avvio a concludere. Intanto con il dire che sono due riforme pienamente legittime. Ho letto dichiarazioni strampalate di chi pretenderebbe di difendere la democrazia lottando contro la riforma Moratti. Voglio ricordare a chi ha ancora difficoltà all’uso di questo termine che "democratico", nella accezione liberale e occidentale, è solo ciò che è fondato sulla sovranità del popolo. Dunque, la riforma Moratti, approvata da un Parlamento liberamente eletto, sarà pienamente democratica.

Sono due riforme certamente diverse. La riforma Berlinguer, come del resto quella universitaria del "3 più 2", il cui vero ispiratore fu Guerzoni, appartiene a quelle riforme caratterizzate da un impianto ideologico che è portato tendenzialmente a privilegiare un modello di scuola che livelli ed appiattisca i giovani, tutti con lo stesso modello formativo, il più a lungo possibile e dunque necessariamente orientato verso il basso. È un modello giacobino e poi marxista e comunista e solo in parte socialista. Da qui il parallelismo che il ministro De Mauro e il relatore Donise credettero di scorgere con la tradizione riformatrice dello Statuto dei lavoratori. Da qui il porsi su una logica di tendenziale continuità con il progetto Alberici dell’allora Partito comunista italiano, che replicava a sua volta l’esperimento dei socialisti Langevin e Vallon attuato nella Francia del 1947. Noi crediamo invece che prima di tutto ci sia la persona, con le sue differenze e le sue potenzialità, che vanno coltivate e valorizzate. Noi non concepiamo le differenze come un ostacolo, ma come una ricchezza.

Per tutto questo noi riteniamo che la riforma Berlinguer sia vecchia, inapplicabile, inadeguata e dannosa. Riteniamo che la riforma Moratti innalzi la preparazione complessiva dei giovani, offra ad ognuno una opportunità, sia rispondente alle esigenze di una società complessa e dinamica. Anche per questo auspichiamo che venga al più presto approvata. (Applausi dai Gruppi AN, FI e UDC:CCD-CDU-DE. Congratulazioni).

 

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Bianconi. Ne ha facoltà.

BIANCONI (FI). Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli Sottosegretari, colleghi, la discussione sul disegno di legge delega è stata lunga ed approfondita, sia nelle sedi istituzionali che fuori e dentro la scuola. Come ha avuto modo di sottolineare il ministro Moratti, non si sono sollevate critiche e obiezioni sulle finalità generali, così come enunciate nel suo primo articolo; questo significa che vi è condivisione sui valori fondanti dell’enunciato, già peraltro presenti anche nella legge n. 30 del 2000.

Da questa constatazione nasceva l’auspicio di un sereno confronto democratico qui in Aula, come anche nel resto del Paese, nelle scuole come nei consessi degli operatori del settore, dove abbiamo invece dovuto purtroppo registrare, soprattutto da parte di appartenenti a certe componenti, molta disinformazione mirata, troppa propaganda mistificante che ha certamente determinato, in parte dei settori interessati, una mancata comprensione e l’impossibilità di avanzare serie valutazioni, pur critiche nella sostanza, ma almeno basate su dati concreti e reali.

La riflessione sulla riforma del sistema educativo del nostro Paese non può non inserirsi in questo quadro.

Non sfugge a nessuno, però, che sia il processo di ampliamento dei confini sia quello di integrazione di altri soggetti non devono comportare lo snaturamento della nostra cultura, della nostra identità, delle nostre radici, dei valori che sono a fondamento della nostra Carta costituzionale e che hanno rappresentato il cemento dell'unità nazionale. La cultura dell'umanesimo, dei valori di solidarietà e tolleranza, del pluralismo e delle libertà individuali, dell'etica e della convivenza civile devono essere il fondamento su cui si costruirà il sistema educativo rinnovato. Servirebbe, tuttavia, una riflessione pacata, non ideologica e più attenta ai problemi a cui le istituzioni e la scuola dovranno fare fronte, in una società che accentui i caratteri multietnici e transnazionali.

L'interrogativo di fondo è come coniugare l'identità con la diversità, la salvaguardia dell'unità culturale, in senso nazionale, e il rapporto tra culture diverse.

Si tratta di pensare un sistema educativo moderno, competitivo ed accogliente per i nostri giovani e per quelli stranieri che desiderano diventare cittadini italiani. Un sistema educativo europeo fondato sulle nostre radici culturali, che dialoga con il sistema sociale e produttivo, che valorizza le sue risorse umane e professionali, capace di non abbandonare centinaia di migliaia di giovani che lasciano i percorsi di istruzione e di formazione. Un sistema che offra a tutti pari opportunità di accesso alla cultura e all'istruzione come diritto di cittadinanza e dovere di osservanza delle regole, dei valori e dei principi su cui si fonda la nostra Repubblica.

La riforma del sistema educativo va, inoltre, commisurata all'interno della più generale riforma dello Stato e della delocalizzazione dei suoi poteri. In questo senso, la riforma del Titolo V della Costituzione, determinata dalla legge n. 3 del 2001, ci obbliga a ragionare in modo nuovo ed originale. Si tratta di avviare un processo basato su una ampliata potestà legislativa delle Regioni e sull'autonomia delle scuole che assegni allo Stato poteri di indirizzo, controllo e valutazione. Questo processo modifica radicalmente l'attuale struttura del sistema d'istruzione e di formazione che, ancorato in prevalenza ad un modello organizzativo "Stato-centrico" e "scuola-centrico", si trova in grave ritardo rispetto ai processi evolutivi del sistema economico e sociale. Ritardo che si manifesta principalmente con una vistosa carenza nel raccordo istruzione-formazione-lavoro e una profonda inadeguatezza dei processi di orientamento, di personalizzazione dei percorsi formativi che hanno determinato fenomeni di dequalificazione degli studi, rappresentati dalla scarsa corrispondenza tra i livelli formali di istruzione e la domanda del sistema produttivo, e alti indici di dispersione scolastica.

Il nuovo assetto costituzionale porta al superamento della concezione secondo la quale il sistema pubblico di istruzione si identifica con lo Stato e con la sua organizzazione. Viene messo cioè definitivamente in crisi l'approccio che identifica la scuola pubblica con una scuola eminentemente statale.

Al Governo, anche in riferimento alla nuova potestà legislativa regionale, è attribuita la responsabilità più generale di sostituirsi agli organi delle istituzioni regionali, provinciali, comunali, quando è necessario tutelare l'unità del Paese. Un nuovo volto dell'interesse nazionale che fa riferimento all'insopprimibile unità del nostro Paese.

Questo quadro vede esplicitarsi la concezione del sistema integrato come sistema pubblico allargato, nella piena attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale e verticale. Sistema che trova fondamento in un rinnovato ruolo delle autonomie locali (Regioni, città metropolitane, province e comuni) e delle autonomie funzionali (istituzioni scolastiche, centri di formazione professionale, agenzie formative, enti pubblici e privati che erogano formazione e associazioni no profit).

È evidente che in questo nuovo assetto costituzionale alcune leggi approvate nella scorsa legislatura sul sistema di istruzione hanno mostrato tutti i loro limiti e le loro incongruenze. La legge n. 30 del 2000 e in particolare la legge n. 9 del 1999 non colgono questa nuova dimensione così come la legge n. 62 del 2000 sulla parità mostra limiti evidenti rispetto all'azione di governo delle Regioni e ai poteri che la Costituzione assegna loro.

Siamo consapevoli che con la modifica del Titolo V della Costituzione si è avviato un processo di cambiamento, che è innanzitutto culturale e che si svilupperà in un periodo medio lungo.

Per questo siamo convinti che la costruzione del nuovo sistema debba avere ottime fondamenta. Un pilastro ineludibile è senz'altro quello della libertà educativa che, nel contesto dato, dovrà comportare la revisione della legge di parità. Altrimenti, come prima accennato, verrebbe limitata la capacità di governo delle Regioni nella loro autonoma azione di sviluppo del sistema integrato e potrebbe essere frenata la stessa autonomia delle istituzioni scolastiche e formative.

Noi abbiamo a riferimento l'Europa in modo chiaro e preciso, senza equivoci e confusioni come fa, invece, la minoranza.

È singolare, infatti, che nella relazione di minoranza si continui ad accusare questa maggioranza e questo Governo di "aziendalismo" nel campo educativo e, nel contempo, rispetto alle politiche europee, si faccia riferimento soltanto alla linea d’azione della adattabilità. Si tratta di una linea importante nelle politiche comunitarie che interessano tutti gli Stati, ma centrata prioritariamente sulla riorganizzazione del sistema delle imprese e sulla riconversione dei lavoratori in funzione dei cambiamenti dei sistemi produttivi (la formazione continua). È senz’altro una linea d’azione da non trascurare, ma nel campo dell’istruzione e della formazione dei giovani sono centrali altre due linee d’azione comunitarie: l’occupabilità e le pari opportunità.

L’occupabilità, senatrice Soliani, è l’elemento centrale per lo sviluppo dei sistemi educativi. Essa si basa sulla realizzazione di politiche preventive e ha come fine la creazione di nuove opportunità di lavoro, di formazione e di riqualificazione professionale. Si tratta di politiche attive - la prevenzione e non il recupero - che assegnano un ruolo nuovo e centrale ai sistemi di istruzione e di formazione, favorendo l’inserimento dei giovani nella società e nel lavoro, nella prospettiva della formazione lungo tutto l’arco della vita.

Così come le pari opportunità, intese in senso molto più ampio della parità uomo-donna, sono volte a favorire azioni preventive estese al complesso dei fenomeni di esclusione sociale e ai gruppi svantaggiati nel mercato del lavoro.

Il disegno di legge è coerente con queste linee d’azione e pone al centro del percorso educativo la persona umana.

La centralità della persona umana permea tutto il disegno di legge.

I piani di studio, ad esempio, sono lo strumento delle istituzioni autonome per perseguire la personalizzazione dei percorsi di istruzione e di formazione, in relazione alle vocazioni, alle attitudini e alle aspettative dei nostri giovani e delle loro famiglie. Sono percorsi personalizzati che avranno come limite definito dallo Stato i livelli minimi (le competenze finali per i titoli di studio) e il profilo educativo sia per il primo che per il secondo ciclo.

La legge e la normativa nazionale forniranno solo le indicazioni rispetto alle competenze "pubbliche" e non a quelle che riguardano la libertà di educazione.

Questo modello valorizza l’autonomia delle scuole ed il ruolo della famiglia. In questo modo, si esalta la responsabilità delle autonomie funzionali nella definizione dell’impianto pedagogico-didattico. È proprio il contrario di quanto affermato nella relazione di minoranza.

I piani di studio stanno all’autonomia, alla centralità della persona, al suo sviluppo armonico, anche come elemento di autoresponsabilizzazione delle famiglie e dei giovani - l’identità personale - e allo sviluppo della libertà di educazione, mentre il curriculum sta a modelli burocratici che, in molti casi, per la loro rigidità, non consentono ai giovani di conseguire risultati adeguati alle loro capacità ed aspettative. Ne sono testimonianza i dati sulla dispersione scolastica e formativa, che danno la misura della drammaticità del fenomeno dell’esclusione dai processi formativi di centinaia di migliaia di giovani. Circa 240.000 giovani della fascia 15-18 anni non frequentano alcun percorso di obbligo formativo. Nell’anno scolastico 2000-2001 circa il 16,5 per cento di ragazzi quattordicenni e quindicenni ha abbandonato durante l’ultimo anno di obbligo scolastico oppure al termine dell’obbligo non si è iscritto ad alcun percorso formativo.

Sono risultati che ci danno la misura dell'inadeguatezza della legge n. 9 del 1999 e sono frutto della "liceizzazione" degli studi secondari che la legge n. 30 enfatizzava e sviluppava portando tutto a insegnamento liceale.

Il disegno di legge presentato dal Governo tende, con sano realismo, a dare risposta a questi problemi. Il realismo è funzionale ai bisogni dei giovani più del velleitarismo ideologico. La personalizzazione dei percorsi prende spunto dai bisogni dei soggetti, che il sistema di istruzione deve trasformare in opportunità per i giovani. Si tratta di perseguire l’eguaglianza delle opportunità contro l’uniformità che crea, questa sì, selezione ed abbandoni.

Questo processo è l’antitesi dell’individualismo, come lo presenta strumentalmente la minoranza. Vuole essere, come la ministro Moratti ha sempre sottolineato, la ricerca di coniugare la solidarietà con l’eccellenza; la sfida di fare raggiungere a tutti, secondo le proprie vocazioni, capacità ed attitudini, i livelli più elevati di istruzione e formazione.

Il disegno di legge riprende e valorizza le nostre migliori tradizioni nel campo dell’istruzione.

Esso valorizza infatti la scuola dell’infanzia, prevedendone la generalizzazione e l’ingresso a pieno titolo negli ordinamenti scolastici; rilancia, seppur in un ciclo unitario di 8 anni, il profilo educativo della scuola elementare e quello della scuola media, profili e ordini di scuole che venivano cancellati dalla legge n. 30 del 2000 e non, come si afferma nella relazione di minoranza, da questo Governo e da questa maggioranza.

Nel secondo ciclo la proposta coglie il meglio della nostra tradizione culturale, ampliando lo spazio dei licei, e pone le condizioni per realizzare, in piena coerenza con il dettato della nuova Carta costituzionale, un sistema di istruzione e formazione professionale adeguato ad un Paese industrializzato come il nostro e che ci potrà consentire di metterci alla pari con gli altri Paesi europei.

I percorsi dell’istruzione e della formazione professionale rappresentano un’ulteriore opportunità da offrire ai nostri giovani. Il disegno di legge coglie in maniera innovativa e moderna la necessità di garantire a tutti il diritto allo studio per 12 anni e almeno fino al conseguimento di una qualifica professionale. Si tratta di dare dignità ad una gioventù che non è difficile, ma che, spesso, dopo gli insuccessi e le esclusioni collezionati del sistema scolastico può diventare una gioventù difficile.

Noi abbiamo Centri di formazione professionale di eccellenza, che formano ottimi tecnici, che danno speranza a migliaia di ragazzi. La formazione fatta in questi centri è di pari dignità a quella di qualsiasi altro percorso di istruzione.

Pensare, come fa la minoranza, che queste opportunità formative siano di scarsa qualità (la serie B del sistema educativo), che l’alternanza sia una sorta di "sfruttamento minorile", senza preoccuparsi della sorte dei giovani che a 14 anni, espulsi dal sistema di istruzione, abbandonano qualsiasi percorso formativo, appare soltanto una posizione ideologica e corporativa che danneggia i ragazzi più deboli.

È necessario che il sistema educativo contribuisca a sviluppare quelle capacità che permettono a ciascuno di costruirsi un proprio percorso e a prendere attraverso diverse dimensioni della propria esperienza professionale. Ciò si potrà realizzare sviluppando l’alternanza scuola-lavoro come modalità di apprendimento legata alla esperienza diretta nel mondo del lavoro. Quello che si prospetta nel disegno di legge è una grande opportunità per i nostri giovani. Opportunità della quale fruiscono i giovani di tutto il mondo industrializzato. L’esperienza del lavoro può essere momento di crescita della persona, di sviluppo dell’autostima, di autoresponsabilità, di strumento per l’orientamento al lavoro e proseguimento degli studi.

Infine, per quanto riguarda il corpo insegnanti, non credo di essere in errore quando considero i docenti, ad ogni livello, il vero nodo della questione istruzione. Prima di essere pubblici ufficiali impiegati nella trasmissione del sapere, sono o dovrebbero essere degli intellettuali, e prima che intellettuali dovrebbero essere donne e uomini in rapporto di continua dialettica con la realtà e con il proprio sapere.

Poiché se è grave non poter insegnare ciò che non si sa, è ancor più grave insegnare ciò a cui non si sa dare un significato. E di qui arriviamo al punto centrale del problema: l’educazione è un’introduzione alla realtà nella sua totalità. Questa consapevolezza determina inevitabilmente la concezione che l’uomo ha di sé e della società ed è dunque da essa che scaturisce ciascun atto politico, soprattutto se è finalizzato ad una riforma epocale dell’intero sistema scolastico, una riforma che investe l’intera comunità dei docenti e dei discenti.

Non si educa però senza un’ipotesi interpretativa della realtà e della storia e senza tenere in grande considerazione la tradizione culturale da cui si proviene. La didattica ha quindi il compito di favorire un paragone tra l’ipotesi di significato che viene offerta dal docente sulla realtà che è data, e la verifica da parte dello studente della realtà da lui percepita in un continuo rapporto dinamico. La noia e lo scetticismo che governano, ahimè, il quotidiano scolastico non si superano certamente con l’affinamento delle strumentazioni, ma con l’approfondimento del rapporto dinamico tra il docente e i discenti.

Chi educa, nel rispetto della libertà dell’altro e con la passione per la propria libertà sperimenta certamente la drammaticità di un tale rapporto, ma giunge, inevitabilmente e fortunatamente ad incontrare l’altro che, in caso contrario, finirebbe per porsi in una posizione di estraneità, creando una situazione di disinteresse tra docente e discente. Tutto ciò presuppone l’identificazione dell’individuo come persona.

È in questo modo che l’istruzione può a ragione dirsi al servizio della società e del suo progresso, nella misura in cui tende al massimo sviluppo della persona e delle sue capacità, fornendole elevate qualità culturali ed educative mediante un percorso formativo graduale. In questo scenario il provvedimento in esame ha accolto positivamente la sfida relativa alle risorse umane della scuola. Si tratta di una proposta che rilancia il ruolo professionale e sociale dei docenti togliendoli dal limbo nel quale sono stati relegati da decenni di politiche miopi ed assistenziali.

Il ruolo e il prestigio di questa professione sono stati minati dalla massificazione della funzione docente avvenuta negli anni scorsi, una massificazione che affonda le radici sia nella burocratizzazione, sia nella concezione impiegatizia del lavoro docente, sia nell'inadeguatezza degli strumenti contrattuali a rappresentare una professione così delicata. Si è operata una scelta precisa: massima occupazione precaria, bassi stipendi e orari ridotti scambiati con la dequalificazione professionale e con l'assenza di strumenti e meccanismi di verifica e valorizzazione delle professionalità. Il paradosso è stato quello di avere dilatato la spesa per stipendi in modo incontrollato, e nel contempo le retribuzioni individuali degli insegnanti sono diminuite di oltre il 5 per cento. Altro che valorizzazione degli insegnanti!

Il profilo professionale degli insegnanti è privo di qualsiasi elemento di differenziazione che non sia legato all'anzianità ed è soggetto ad una massificazione con gli altri operatori della scuola: dal bidello all'insegnante la stessa struttura normativa e contrattuale. Non c'è un'articolazione del profilo rispetto a funzioni legate allo sviluppo dell'autonomia delle scuole, ai bisogni di formazione differenziata dei giovani, né tanto meno rispetto ad una legittima aspettativa individuale di sviluppo della carriera professionale, come avviene in tutti i Paesi europei ed industrializzati. L'equiparazione all'Europa passa attraverso un investimento che coniughi gli aspetti relativi alle retribuzioni con quelli relativi agli orari e allo sviluppo professionale e di carriera. Il disegno di legge dà una risposta importante in tal senso e sbaglia chi continua ad anteporre difese corporative dello status quo.

Vogliamo rilanciare la funzione dell'insegnamento, e per questo pensiamo che sia ormai indifferibile prevedere una specifica area di contrattazione per la docenza e riscrivere per legge lo stato giuridico della professione docente, stato giuridico che negli ultimi anni è stato eroso da un modello di contrattazione di diritto privato, che peraltro non è apparso adeguato a rappresentare funzioni così delicate ed importanti. In Parlamento si dovrà porre a breve questo problema, pena il fallimento di qualsiasi processo di riforma del sistema educativo.

Infine, dalla relazione della minoranza abbiamo appreso che la legge costituzionale n. 3 del 2001 è stata promossa da questa maggioranza. Si dice, infatti, nella relazione: "la riforma costituzionale promossa dalla maggioranza vuole trasferire i docenti alle regioni senza la garanzia di un contratto nazionale e della mobilità su tutto il territorio". Questo non è un modo corretto di fare politica, senatrice Soliani!

A parte il fatto, non trascurabile, che non esiste alcun documento della maggioranza o del Governo che prefigura lo scenario da lei sostenuto, voglio ricordarle che la legge costituzionale è stata promossa nella scorsa legislatura dall'attuale minoranza - quindi anche da lei e dagli altri suoi colleghi dell'Ulivo - ed è stata approvata pochi giorni prima della fine della legislatura - vale la pena ricordarlo - con soli quattro voti di scarto. Ma questa legge oggi è legge della Repubblica, è la Carta costituzionale di tutti i cittadini italiani.

Vorrei anche dire che per avviare un dialogo costruttivo per il bene comune occorrerebbe evitare di presentare artatamente le proposte della maggioranza e del Governo come lesive dei diritti di cittadinanza o fautrici di divisioni sociale. Anche perché ormai è chiaro a tutti che le strade che abbiamo davanti sono due: da un lato, quella del progresso e del futuro, dall'altro quella della deriva, della stasi, ed inevitabilmente dell'oblio della nostra grandissima civiltà. (Applausi dai Gruppi FI, AN, LP e UDC:CCD-CDU-DE. Congratulazioni).

PRESIDENTE . Data l'ora, rinvio il seguito della discussione dei disegni di legge in titolo ad altra seduta.

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