ISTRUZIONE (7a)

MERCOLEDI' 17 APRILE 2002
77a Seduta

Presidenza del Presidente
ASCIUTTI



Intervengono i sottosegretari di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca Maria Grazia Siliquini e Valentina Aprea.

La seduta inizia alle ore 14,45.


IN SEDE REFERENTE

(1251) CORTIANA ed altri.- Legge-quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione.
(1306) Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale.
(Seguito dell'esame congiunto e rinvio)

Riprende l'esame congiunto, sospeso nella seduta di ieri.

Nel dibattito interviene la senatrice ACCIARINI, la quale ricorda anzitutto come il ministro Moratti, nelle sue dichiarazioni programmatiche, avesse sottolineato l'assenza di ogni intento persecutorio nel blocco della legge n. 30, disposto invece dal nuovo Governo nella prospettiva di coinvolgere tutti gli operatori interessati. Tale obiettivo appare tuttavia miseramente fallito, come dimostra anche l'esperienza degli Stati generali dell'istruzione. La stessa scelta di operare attraverso il ricorso ad una amplissima delega legislativa, che abroga peraltro una legge quadro democraticamente votata dal Parlamento, nega l'intento di coinvolgimento e dimostra al tempo stesso l'arroganza e la debolezza del nuovo Governo nei confronti delle tematiche della scuola. Lo stesso Consiglio nazionale della pubblica istruzione ha del resto espresso un parere fortemente critico sul provvedimento, con una schiacciante maggioranza di voti.
Con riferimento al piano programmatico di interventi finanziari, cui è rinviata la realizzazione delle finalità della legge, ella osserva poi che esso rende aleatorio se non addirittura improbabile il reperimento delle risorse finanziarie necessarie, in quanto soggetto a potenziali rimodulazioni ad opera delle leggi finanziarie annuali. Né appare valido il metodo di calcolo adottato per i costi connessi all'anticipo dell'età scolare, in quanto essi dovrebbero essere commisurati all'intero gruppo demografico potenzialmente interessato dall'innovazione.
La senatrice Acciarini si sofferma poi sul silenzio, giudicato preoccupante, relativo alle norme sull'obbligo scolastico. A fronte della disciplina attualmente vigente, assai chiara, il disegno di legge del Governo prevede infatti una gradualità di applicazione del diritto-dovere all'istruzione e formazione, rimessa ai decreti legislativi. Si tratta di un grave abbaglio, che perde di vista il carattere costituzionale dell'obbligo scolastico e che del tutto inopinatamente lega la gradualità dell'applicazione al reperimento di adeguate risorse. La stessa durata variabile del percorso formativo (dodici anni nel caso dell'istruzione professionale quadriennale, che scendono tuttavia ad undici nel caso del conseguimento di una qualifica professionale triennale ma risalgono a tredici nel caso dell'istruzione liceale quinquennale) appare fortemente discutibile. Il progetto del Governo restaura inoltre un'antica dicotomia fra chi prosegue negli studi e chi è costretto ad interromperli per dedicarsi ad attività di carattere esecutivo, compiendo un vistoso passo indietro rispetto ad elementi di riforma ordinamentale, realizzati anche attraverso atti di natura secondaria, che – grazie all'impegno delle forze democratiche contro la discriminazione sociale ma anche al senso di responsabilità del mondo industriale – ne avevano nel tempo significativamente ridotto i margini.
L'opzione precoce fra due canali formativi fortemente distinti fra loro oscura invece il ruolo integrativo della formazione professionale rispetto all'istruzione. In tal senso, la scelta del Governo appare socialmente discriminatoria tanto quanto l'intenzione di rivedere l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, minando in modo assai simile le basi del tessuto sociale nazionale.
La stessa articolazione dell'istruzione liceale in due bienni seguiti da un anno conclusivo, rompendo la tradizionale articolazione di un biennio seguito da un triennio, sembra confermare che l'anno finale sia sostanzialmente un anno integrativo per chi proviene dalla formazione professionale e quindi nient'affatto fondante per la preparazione agli studi universitari.
Ella sottolinea quindi conclusivamente i gravi effetti di disarticolazione del sistema di istruzione inevitabilmente conseguenti al progetto del Governo, dando voce ai timori provenienti dagli istituti professionali che, ricorda, la legge Berlinguer prevedeva entrassero a far parte del sistema dei licei.

Il senatore BEVILACQUA nega che la riforma governativa sia stata varata senza tener conto del contributo della società civile, ricordando che il relativo dibattito è ormai in corso da oltre sei mesi, durante i quali il Ministro ha incontrato numerosissimi esponenti dei diversi settori interessati.
Il disegno di legge n. 1306 arriva del resto in Parlamento nient'affatto blindato, a differenza della legge Berlinguer alla quale il Senato non poté apportare alcuna modifica rispetto al testo varato dalla Camera, subendo così un esproprio delle proprie funzioni assai maggiore di quello oggi lamentato.
Se i decreti attuativi della legge Berlinguer non sono stati approntati in tempo, prima della fine della legislatura, ed il centro-destra – che aveva sempre osteggiato la riforma nel corso dell'esame parlamentare – ha fatto del loro ritiro uno dei punti qualificanti del suo programma elettorale, raccogliendo un ampio consenso popolare, ciò non appare certo contrario ai principi democratici; non esime peraltro la maggioranza dall'esprimere alcuni dubbi sul testo.
Anzitutto, egli chiede dunque chiarimenti in ordine alla necessità, prefigurata nella relazione introduttiva, di vincolare contrattualmente i docenti alla permanenza nella stessa sede per i bienni, quale parametro di continuità didattica: teme infatti che tale scelta possa vincolare i docenti in eterno presso la medesima sede.
Osserva poi che l'affermazione di un diritto-dovere di istruzione di dodici anni non pone in discussione la vigenza della legge n. 9 del 1999 sull'obbligo scolastico decennale. Chiede tuttavia precisazioni sulla sorte di quei ragazzi che non conseguissero una qualifica nell'arco dei dodici anni.
Quanto all'articolazione del percorso formativo in un canale liceale ed in un altro dedicato all'istruzione e formazione professionale, si dichiara d'accordo in linea di principio. Si interroga tuttavia sulla effettiva flessibilità fra i due canali, soprattutto negli ultimi anni. Invita pertanto il Governo a valutare la possibilità di limitare i momenti di passaggio al primo biennio.
Ritiene poi che la durata quadriennale dell'istruzione professionale, comprimibile peraltro a tre anni ai fini della qualifica, rischi di confermarne il carattere dequalificato. Suggerisce pertanto un'articolazione quinquennale, ovvero il suo trasferimento tout court nel sistema liceale.
Dopo aver convenuto sulle innovazioni relative alla valutazione del sistema scolastico, egli si sofferma quindi sulla formazione universitaria degli insegnanti, sottolineandone le difficoltà applicative. Paventa inoltre che tale aggravio del percorso formativo, se disgiunto da un significativo riordino dello stato giuridico della docenza, finisca per disincentivare le giovani generazioni dall'intraprendere detta professione soprattutto con riferimento alla scuola materna ed elementare, a fronte di alternative ben più brevi e remunerative. Si augura comunque che non vengano ripetute esperienze negative quali i corsi di formazione per gli insegnanti, troppo spesso gestiti in passato dalle organizzazioni sindacali per finalità nient'affatto corrispondenti agli obiettivi prefissi.
Nega infine che l'anno finale dell'istruzione liceale sia da intendersi come anno integrativo, al quale sarebbe egli stesso contrario.

Il senatore TOGNI ritiene che il compito primario della scuola debba essere la trasmissione dei valori, culturali, nazionali, familiari. Il disegno di legge del Governo ha tuttavia palesato una certa confusione e la sostanziale spaccatura dell'Italia fra due opposte concezioni di riforma scolastica. Esso testimonia del resto, a suo giudizio, la difficoltà del centro-destra a misurarsi con un interlocutore di opposizione assai agguerrito e fornito di ottimi argomenti, conseguenti ad approfondite riflessioni svolte nel tempo con successo.
La legge n. 30, voluta dall'ex ministro Berlinguer, aveva infatti senz'altro molti lati positivi, che adesso appare difficile voler modificare ad ogni costo. Ciò, indipendentemente da raffronti con altre esperienze europee, non sempre pertinenti, stante la forte tradizione culturale italiana che a suo avviso deve essere salvaguardata in quanto tale.
Egli mette quindi in luce alcuni profili critici del progetto Moratti: la riduzione dell'insegnamento a 25 ore settimanali, con evidente impoverimento dell'apprendimento dei ragazzi; l'abolizione di alcune discipline, che non favorisce lo sviluppo globale di tutti i linguaggi; la distinzione fra istruzione liceale e istruzione e formazione professionale, cui sarebbe preferibile un quadriennio unico, seguito da un anno integrativo per l'accesso all'università. Egli ritiene altresì che il disegno di legge n. 1306 non offra effettive pari opportunità a tutti gli studenti e si disperda eccessivamente nella disciplina di dettagli organizzativi perdendo di vista la sostanza dei contenuti, nonché l'esigenza di assicurare pluralità, creatività e motivazione così all'insegnamento come all'apprendimento.
Prende conclusivamente atto delle due visioni programmatiche a confronto, di cui l'una a suo giudizio più valida contenutisticamente e l'altra volta unicamente ad escogitare un terreno di modifica, e si augura che le correzioni che il centro-destra si appresta ad introdurre nell'ordinamento scolastico vigente non siano così squassanti da farne vacillare l'impianto.

La senatrice SOLIANI accoglie l'invito al confronto sul presente e il futuro della scuola italiana cui il Parlamento è chiamato, in un tempo peraltro a suo giudizio troppo breve.
Ella sottolinea anzitutto i passaggi fondamentali che dovranno caratterizzare la futura società italiana: coesione nazionale (di cui il sistema di istruzione rappresenta un pilastro), cittadinanza attiva, dinamismo e competizione, patto fra istituzioni, società ed economia affinché l'Italia svolga il suo ruolo nel contesto mondiale. In tal senso, l'istruzione e la formazione sono l'infrastruttura decisiva del Paese, nei confronti della quale il progetto del Governo sembra tuttavia intervenire con aggiustamenti di piccolo cabotaggio anziché con una iniziativa di ampio respiro. Ciò testimonia, a suo avviso, il ruolo residuale che la scuola riveste a fini di cambiamento nell'ottica di centro-destra, sì da non meritare neanche l'approntamento di adeguati investimenti. Al contrario, ella ritiene che la riforma scolastica metta in gioco i diritti sociali e civili dei cittadini.
E' ben vero che la riforma del Titolo V della Costituzione impone un intervento di adeguamento dell'ordinamento scolastico; il disegno di legge n. 1306 non si pone tuttavia affatto in quest'ottica, bensì in quella di sostituire di per sé la legge n. 30. Esso non ridetermina infatti i ruoli fra Repubblica e sistema di istruzione, così come fra istituzioni scolastiche, regioni, enti locali e società civile, evitando di dare risposte precise in assenza di una chiara indicazione programmatica. Né esso risponde ad una nuova, forte domanda proveniente dalla società civile e relativa alla costruzione della cittadinanza. In linea con una visione mercantilistica della società, esso prevede infatti una rigida separazione fra il canale dell'istruzione liceale e quello dell'istruzione e formazione professionale, tralasciando l'impegno a non perdere alcun soggetto nel percorso formativo.
La senatrice Soliani si sofferma quindi sugli aspetti di maggior debolezza del provvedimento governativo, in termini di autonomia: risulta infatti cancellato il curricolo delle istituzioni scolastiche autonome, inopinatamente sostituito dai piani di studio, così come viene dimenticato l'obiettivo di un'autonomia del sistema scolastico dentro il Paese, che dialoghi ma non dipenda da altre strutture.
Ella lamenta poi che il disegno di legge non garantisca in modo sufficientemente chiaro l'indirizzo di unità nazionale, su valori condivisi, nella cornice europea, ponendo scarsa attenzione al forte dibattito culturale in corso sull'argomento presso le istituzioni scolastiche.
Quanto all'accesso anticipato al percorso formativo, ella giudica negativamente la conseguente precarizzazione, che mette in difficoltà le famiglie e si connette a suo giudizio ad un altrettanto precario accesso al mondo del lavoro. Osserva altresì che esso rischia di attribuire un ruolo assistenziale alla scuola dell'infanzia.
Dopo essersi soffermata sulla tematica dell'obbligo scolastico, rammentandone i termini costituzionali e materiali, ella afferma con decisione che le logiche di mercato non possono rappresentare il perno della politica scolastica, la quale deve essere invece in stretta sintonia con la società civile. Contesta al riguardo l'ipotesi prefigurata dal senatore Valditara di accordi fra direzioni scolastiche ed imprese per la regolamentazione dell'alternanza scuola-lavoro, in quanto incuranti della centralità delle istituzioni scolastiche.
Nel deplorare lo svilimento del ruolo rivestito dall'istruzione nella costruzione della vita sociale del Paese nell'ottica di centro-destra, ella critica poi la scelta di anticipare l'opzione fra prosecuzione degli studi e istruzione e formazione professionale, che contrasta con l'obiettivo di coniugare il percorso intellettuale e la cultura del lavoro.
Il disegno di legge del Governo modifica altresì, prosegue la senatrice Soliani, le relazioni fra docenti e studenti, in una visione frammentaria del processo formativo.
Del tutto insufficiente appare infine l'approccio per la formazione dei docenti, cui la società moderna chiede una visione integrata e di prospettiva. La riforma perde pertanto l'occasione di fare un salto di qualità su questo piano, corrispondendo ad una crescente domanda di educazione e formazione, di visione prospettica, di competitività, e cancella quella visione unitaria che aveva invece caratterizzato la stagione del centro-sinistra.

Il senatore DELOGU nega che il ricorso alla delega legislativa espropri il Parlamento del suo ruolo istituzionale, come dimostrato dall'ampio dibattito in corso. Né peraltro l'opposizione pare sempre rispettare le decisioni assunte in sede parlamentare, promuovendo contro di esse scioperi e girotondi.
Quanto ai contenuti del disegno di legge n. 1306, egli ne apprezza anzitutto la centralità assicurata agli studenti. Né può del resto ipotizzarsi che la legge costituzionale n. 3 dello scorso anno, di riforma del Titolo V della Costituzione, possa condurre ad effetti devastanti quali un diverso valore dei titoli di studio conseguiti nelle diverse regioni. Correttamente pertanto il progetto governativo fissa parametri validi su tutto il territorio nazionale, assicurando ai piani di studio nuclei omogenei.
Si sofferma quindi sulla separazione fra istruzione liceale e istruzione e formazione professionale, convenendo al riguardo con le osservazioni del senatore Bevilacqua in ordine alle difficoltà di una effettiva fluidità fra i due canali. Sollecita pertanto una riflessione sull'opportunità di assicurare reali possibilità di passaggio fra un canale e l'altro.

La senatrice MANIERI dichiara di condividere in linea di principio l'intento di riformare il sistema dell'istruzione del Paese. Nega tuttavia che il disegno di legge Moratti possa considerarsi il primo progetto di ampio respiro dopo la riforma Gentile. La stessa esposizione introduttiva del presidente relatore Asciutti ha del resto messo in evidenza gli stretti legami storici fra crescita demografica e istruzione di massa, fra sviluppo economico e ampliamento dei diritti dei cittadini, fra cui in primo luogo quello all'istruzione.
La prima riforma di sistema dell'Italia repubblicana si ebbe pertanto, a suo giudizio, nel 1962 allorché il primo Governo di centro-sinistra varò la scuola media unificata, l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 14 anni e l'abolizione dell'avviamento professionale.
Oltre alla liberalizzazione degli accessi universitari disposta dalla legge Codignola sull'onda della contestazione studentesca, la seconda riforma di sistema fu poi quella dell'autonomia varata dal Governo dell'Ulivo nella scorsa legislatura.
Ciò dimostra inequivocabilmente come l'istruzione rappresenti un elemento essenziale del processo di modernizzazione e di lotta alla diseguaglianza sociale.
La politica scolastica italiana è peraltro costellata anche di fallimenti, dal riordino della scuola secondaria superiore (che avrebbe dovuto seguire la scuola media unica) alla riforma in senso autonomistico dello Stato (che avrebbe dovuto seguire l'autonomia scolastica). Le ragioni del fallimento non risiedono tuttavia in un deficit di informazione e consultazione, bensì in un eccesso di contrapposizione ideologica e nell'incapacità di risolvere il nodo della formazione professionale, oltre che nel peso rivestito dalla Chiesa cattolica.
Sembrava dunque che, superata l'impostazione gentiliana e tramontata la cultura tardo-comunista a favore di una scuola unica per tutti, la società italiana fosse pronta per una riforma ragionevole, non ideologica, in linea con l'integrazione europea.
Il disegno di legge n. 1306 testimonia invece il contrario e la senatrice Manieri muove pertanto obiezioni di metodo e di merito nei suoi confronti, lamentando l'immaturità politica del Governo nel non prestare ascolto ai movimenti di piazza.
Nel sottolineare l'irresponsabilità del Governo nel non dare attuazione ad una legge vigente, formalmente non ancora abrogata, ella ritiene del resto che il progetto governativo, viziato di totalismo riformatore, contenga già in sé il germe del suo fallimento, anche per le difficoltà che inevitabilmente incontrerà nel percorso parlamentare, con particolare riferimento al parere che su di esso dovrà esprimere la Commissione parlamentare per le questioni regionali nella composizione integrata prevista dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 dello scorso anno.
Quanto ai contenuti del provvedimento, ella critica che la riforma riapra un dibattito che per anni ha ostacolato qualunque riforma: quello sulla distinzione tra istruzione liceale e istruzione e formazione professionale. Al riguardo, il centro-sinistra aveva raggiunto una larga convergenza nel Paese e fra le forze politiche consegnando alla scuola la titolarità del diritto all'istruzione fino al quindicesimo anno di età. Ora invece l'obbligo scolastico trascolora in un obbligo formativo di durata peraltro variabile (dodici, undici o tredici anni), che contrasta con il concetto stesso di obbligo.
Se peraltro si conviene che la formazione professionale sia un sapere forte e non residuale, come era nella concezione gentiliana, non si può prescindere dalla constatazione delle differenze territoriali che caratterizzano il Paese. Occorre dunque che lo Stato si impegni a garantire un sistema dignitoso ed omogeneo prima di consegnare l'istruzione e formazione professionale alle regioni.
Conclude confermando le forti perplessità sul provvedimento che, a suo giudizio, introduce gravi disparità e rischia comunque di essere fallimentare.

Il seguito dell'esame congiunto è quindi rinviato.

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